Gli Stati Uniti ci hanno abbandonato e minacciano di chiudere l’ombrellone che dalla fine della seconda guerra mondiale ci ha protetti dai raggi ultravioletti sparati dal nemico. Noi non vogliamo abbandonare gli USA ma al tempo stesso dobbiamo costruire un nostro ombrellino per difenderci perché il nemico, magari non quello di ieri oppure lo stesso sotto mentite spoglie, continua a minacciarci. Magari vuole invaderci. È l’Europa che (s)parla, quella targata UE con sede a Bruxelles, che infine conclude così il suo ragionamento: il riarmo è l’unica strada, ogni paese deve investire in nuovi e sempre più sofisticati armamenti, tanti piccoli eserciti sempre meno piccoli, e magari quello tedesco più grande di tutti, per obbedire al diktat della Nato (l’ombrellone di marca americana che finora ci ha “difesi”) che ci chiede il 5% del PIL dirottato da dove ci pare, magari dal welfare, magari indebitandoci fino al collo. Non un esercito europeo, perché l’Europa politica priva di una Costituzione di fatto non esiste e il suo modello sociale ed economico è stato spazzato via, ma tanti eserciti che un giorno potrebbero persino combattersi tra di loro e che comunque farebbero fiorire, con l’economia di guerra, un grande mercato delle armi (e della morte). E per convincere Trump e l’America a non abbandonarci definitivamente e a non affamarci con i dazi, quelle armi sofisticate che da soli gli europei non saprebbero costruire le compreremmo proprio dagli USA. Geniale: per affrancarci da Washington che ci ha abbandonato ci armiamo fino ai denti con missili e bombe a stelle e strisce. Così predica Ursula von der Leyen, che decreta una spesa UE di 800 miliardi in armamenti prendendo i soldi dal PNRR, così nel suo piccolo Giorgia Meloni a giorni alterni in ginocchio da Trump a supplicare sconti sui dazi e a promettere acquisti bellici faraonici. La guerra tira, se ben sfruttata può rilanciare un’economia in crisi. Cosa ci vuole a rialzarsi? Invece di produrre automobili che per colpa degli ambientalisti che le vogliono a basso impatto sono diventate troppo care, produciamo autoblindo, cannoni, droni, missili visto che la domanda cresce a dismisura. Invece di investire sugli stipendi di medici, infermieri, insegnanti, ricercatori, assistenti sociali investiamo su colonnelli e generali, che peraltro possono insegnare agli studenti come si combatte in difesa della Nazione con la maiuscola. Del resto, già lo fanno. A questa narrazione infetta bisogna dire no, svelarne l’imbroglio, costruirne un’altra di segno opposto, gridare “non in mio nome” al cancelliere tedesco che spara “Israele sta facendo il lavoro sporco per noi”. Bisogna ridare la parola a un’Europa ammutolita di fronte a una guerra mondiale a pezzi, come diceva papa Bergoglio, in cui i pezzi rischiano oggi di ricomporsi rovinosamente nella terza, e magari ultima, guerra mondiale. Sabato 21 i nemici della guerra torneranno in piazza a Roma, Bruxelles, in Spagna, in Francia e in Svizzera (a Berna), in altre capitali hanno già riempito le piazze e in altre ancora stanno per farlo. Tutte e tutti dietro la bandiera di Stop ReArm Europe. Welfare not Warfare. Non sono i partiti a promuovere l’appuntamento europeo, ma i movimenti sociali, le associazioni, gli ambientalisti e soprattutto i pacifisti, quelli che salvano i migranti in mare e i sindacati, quelli almeno che difendono i diritti dei lavoratori. In Italia, che per una volta guida la marcia umanitaria, sono quasi 500 le adesioni collettive, dalla CGIL all’ARCI, dalle ACLI all’ANPI, da Greenpeace a Sbilanciamoci, e poi premi Nobel come il fisico Parisi, attori e vignettisti. Contro tutte le guerre, contro il genocidio dei palestinesi e le bombe “preventive” su Teheran. “No a 800 miliardi in armi rubati ai servizi sociali, alla sanità, all’istruzione, al lavoro, ai costi per costruire la pace, alla cooperazione internazionale, a una giusta transizione e alla giustizia climatica. Andranno solo a beneficio dei costruttori di armi in UE come negli USA. Renderanno la guerra – si legge nel testo di convocazione della manifestazione di Roma che da Porta San Paolo approderà al Colosseo – più probabile e il futuro meno sicuro per tutti. Produrranno più debito, più austerità, più confini, più razzismo, più cambiamenti climatici”. E, si potrebbe aggiungere, più diseguaglianza, più autoritarismo, più stato di polizia in nome di una sicurezza che invece viene negata proprio dal modello sociale bellico, meno diritti per chi non ci sta, per i lavoratori, gli studenti, le donne, i pacifisti. Verso un ritorno alle centrali nucleari bocciate plebiscitariamente con ben due referendum dal popolo italiano. Te la do io la sicurezza: quella dei migranti affogati in mare o dei detenuti che si suicidano stanchi di angherie e torture? Contro questo modello che sta trasformando e svilendo le democrazie anche in Occidente, in Italia, in Europa, negli USA e contro le guerre e gli stermini parteciperanno alla protesta di sabato anche alcuni partiti d’opposizione. Il M5S, già sceso in piazza contro la strage dei palestinesi sia in solitaria che insieme a PD e all’Alleanza Verdi Sinistra, la stessa AVS, Rifondazione comunista. E il Partito democratico? Dopo un paio di settimane di balbettii, non ci sarà, salvo qualche adesione individuale che Elly Schlein non ha proibito. Perché nel PD c’è chi sostiene che fra chi critica il governo di Netanyahu ci sono gli antisemiti perché gli antisionisti non sono altro che antisemiti, mentre, a essere sinceri, “Israele fa il lavoro sporco per noi”. Netanyahu richiama alla mente un vecchio canto anarchico che racconta una strage durante i moti di Milano del 1898: “Alle grida strazianti e dolenti/ Di una folla che il pan domandava/ Il feroce monarchico Bava/ Gli affamati col piombo sfamò/ Furon mille i caduti innocenti…”. Cambiano solo i numeri, in peggio. Elly Schlein pensa che si debba sospendere il traffico di armi con Tel Aviv ma nel gruppo dirigente del suo partito in molti sono convinti del contrario.
La logica dell’aggressore e dell’aggredito vale solo se ad aggredire è la Russia, non se è Israele. Nella legge di bilancio italiana sono stati infilati 13 miliardi per l’acquisto di nuovi armamenti e per arrivare al 5% del PIL come pretende la Nato ci vorrebbero 100 miliardi in più nell’arco di 10 anni. La manifestazione promossa da “Stop ReArm Europe” lavora per fermare i criminali del war new deal. |