Erano gli anni delle varie iniziative xenofobe, di coinvolgimenti e di dibattiti, di solidarietà e di confronti con un’opposizione marcata. Polemiche violente e non solo nelle sale riempite di un denso fumo, ma dappertutto, nelle Case del popolo o nelle sale parrocchiali, in strada, alla radio e in tv: dibattiti audaci, forti e acidi come il fumo del tabacco e niente super light come oggi. La difesa della libertà e di un’umanità sentita, tutta nostra (tutelavamo la nostra suissitude), osservata dall’estero con scetticismo. Se ci ripenso, le varie iniziative xenofobe ci hanno preparato moralmente e umanamente all’apertura e al dialogo. Oggi viviamo con una tolleranza invidiabile da parte di tanti paesi. Se ci sono cantoni che hanno tra il 25 e il 30 per cento di stranieri nella loro popolazione e viviamo in una pace sociale “vigilata” è senz’altro “grazie” alle varie iniziative che ci hanno aperto gli occhi e il cuore e che ci hanno insegnato di nuovo la convivenza, la cordialità. Ci hanno maturato. Dobbiamo essere svegli e combattere con veemenza ogni ritorno di quelle tendenze disumane che dormono in noi, ma abbiamo creato delle antenne democratiche che ci avvertono. A volte penso a certi paesi nell’Unione europea che si spaventano e hanno reazioni isteriche e irrazionali che puzzano di un passato nero-bruno. Invece in quegli anni tutte le forze politiche e le Associazioni ecclesiali e laiche hanno preparato la Svizzera di oggi, tollerante e aperta, ad un dialogo. In quel periodo esistevano dittature in tutta l’Europa, dalla Grecia al Portogallo, dalla Romania all’Albania, c’erano la P38 e la P2, modelli per diversi, modelli per tanti (e noi saltabeccavamo con i gruppuscoli). Penso che James Schwarzenbach e Valentin Oehen ci hanno obbligato a confrontarci con mezzi democratici. Mi ricordo che con i nostri film “militanti e gauchistes”, come erano timbrati, facevamo in quegli anni la figura da Crocerossina nei festival internazionali all’estero. I nostri erano considerati film moderati e morali, invece in patria eravamo i “nemici”, quelli che si mandavano a Mosca con un biglietto di sola andata o che si auspicava di mettere direttamente al muro. Non per niente le fiches della Polizia federale schedavano tutti i nostri film che trattavano della pace, del lavoro, degli stagionali, dei lavoratori stranieri, degli apprendisti o del nucleare. Ma già utilizzare la parola “Fremdarbeiter” era una trasgressione, al posto dell’eufemismo “Gastarbeiter”. Rileggendo i titoli dei nostri film, mi viene in mente un articolo di Ralf Dahrendorf apparso ultimamente sui giornali: «I paesi ricchi al giorno d’oggi hanno bisogno di immigrati per occupare posti di lavoro “ad alto contatto”. La gente nei paesi ricchi non ne vuole più sapere di sporcarsi le mani. Dal lavoro nelle cucine dei ristoranti all’assistenza agli anziani, dalla raccolta del cotone al lavoro nei cantieri, gli individui dei paesi ricchi vogliono consumare servizi che non intendono più fornire in prima persona. Forse non sarà un atteggiamento nobile aspettarsi che siano gli immigrati a fare questi “lavori sporchi”, ma per loro rappresentano l’opportunità di salire di un gradino sulla scala della speranza contribuendo al funzionamento delle economie e delle società avanzate». Una piccola selezione di questi film impegnati come “Siamo italiani”, “Cerchiamo per subito operai, offriamo…”, “Lo stagionale”, “Il treno rosso”, “Ritorno a casa” è proiettata a Varese (stasera al Cineclub Filmstudio90) e a Milano al “Barrio’s” (stasera, poi il 21 e il 22 novembre). La proiezione di questi film di Alvaro Bizzarri, Villi Hermann, Alexander J. Seiler, Nino Jacusso, Peter Amman è organizzata da Arci, Filef, Colonie Libere, Studio90 di Varese e dal Centro culturale svizzero di Milano. Una selezione organizzata e documentata da intenditori e appassionati del cinema svizzero di lingua italiana, un evento questo purtroppo assai raro, accompagnata da un opuscolo (“Ritorni - I deragliatori” a cura di Fiorano rancati e Giulio Rossini). Film che sono una testimonianza di questa Svizzera in instancabile evoluzione democratica, che tanti di noi guardano con timore per quello che succede intorno a noi, con l’arrivo della globalizzazione intollerante, questa douce violence.

Pubblicato il 

15.11.02

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