Il razzismo sul filo della rete

"Asilanti fuori tutti". "Mettiamoli su un cargo, apriamo il portellone e via cibo per gli squali". O ancora "lasciateli marcire in una cella di prigione, chi se ne frega cosa dicono poi i vari delegati all'integrazione, Amnesty, l'Onu o chi per essi..".
Commenti come questi sono ormai all'ordine del giorno sui blog e forum ticinesi. E non riguardano solo i richiedenti l'asilo. Gli internauti aggiungono in calce a dispacci stampa e articoli di giornalismo online oltre a commenti  a volte arrabbiati, ma tutto sommato civili, anche altri dal tenore di  quello sopra descritto.
Ma come è possibile che se certe esternazioni di «razzismo inquietante e odio» – come ha scritto il procuratore pubblico Mario Branda sull'ultimo numero di Tangram, il periodico della Commissione federale contro il razzismo – non trovano posto nello spazio dedicato ai lettori delle maggiori testate mediatiche del cantone, questi stessi commenti vengano accettati e pubblicati da siti internet di cui queste stesse testate sono proprietarie?
Il Consiglio svizzero della stampa – come ricorda nell'intervista in pagina il suo vicepresidente Edy Salmina – già nel 2001 ricordava che le stesse regole deontologiche che vanno applicate al giornalismo tradizionale sono valide anche su internet.  Una presa di posizione che finora è rimasta lettera morta nella giurisprudenza. Perché finora nessuno – né autorità né lo stesso Consiglio della stampa – si è preso la briga di intervenire sul contenuto di questi spazi virtuali aperti al pubblico. Per diversi motivi: le regole (almeno nel caso ristretto di forum e blog controllati da media locali) ci sarebbero, ma o non si hanno i mezzi per applicarle – come ci spiega il procuratore pubblico Mario Branda – o nessuno sembra veramente interessato a vigilare su uno spazio franco che pare faticare a porre limiti a commenti di strisciante razzismo.
Anzi sembra quasi che questi spazi virtuali facciano la propria fortuna con queste modalità di comunicazione, come ci ha detto l'esperto di razzismo Hans Stutz. Stutz – che da ormai più di 10 anni tiene una cronologia degli atti razzisti avvenuti in Svizzera – punta il dito verso il lassismo della società civile verso questa nuova forma di discriminazione razziale. Ma anche sulle modalità di accesso e la pseudo-moderazione a cui sottostanno parecchi blog e forum.

Mario Branda in un suo scritto apparso sulla rivista Tangram della Commissione federale contro la discriminazione razziale lei si dice sconcertato dal contenuto di «razzismo inquietante e odio» presenti su blog e forum ticinesi. Oltre ad essere rimasto stupito ha trovato anche gli estremi legali per agire in qualità di procuratore pubblico?
Sono sicuramente molti i contenuti illegali anche sotto il profilo dell'articolo 261bis (discriminazione razziale, ndr) presenti in rete. Purtroppo però ci scontriamo con la realtà di una scarsità cronica di mezzi e dove l'individuazione dell'autore di quelle frasi e la verifica della responsabilità della gestione dell'informazione pubblicata in rete richiede tempo e energie che nella situazione di oggi è difficile da trovare. A ciò va aggiunto che il ministero pubblico non ha evidentemente funzioni di polizia nel senso, per esempio, di pattugliare la rete per controllare se c'è qualcosa di illegale.
Le leggo alcune frasi apparse sul blog di Ticinonews in calce ad un articolo che riferiva di una rissa al Centro di registrazione per richiedenti l'asilo a Chiasso: «Basta letame», ha scritto uno dei partecipanti in riferimento ai richiedenti l'asilo. Un altro internauta, sempre ricorrendo ad uno pseudonimo, scrive poco sotto: «A quando un bel cargo-espulsi?? Rotta oceano con squali. Apertura del portellone e oopla. Senza paracadute… dare mooolto risalto alla notizia e poi vedete quanti ancora avranno voglia di venire qui a romperci le @@». Commenti di questo tenore si leggono quotidianamente. Cosa ne pensa?
Certo, sono affermazioni rivoltanti che sconcertano qualsiasi lettore dotato di un minimo di intelligenza ma che richiederebbero, in primo luogo, un intervento sul piano deontologico della stampa sulla rete. Nei casi che lei ha citato bisogna ancora vedere se c'è una violazione del codice penale all'articolo contro la discriminazione razziale. L' "asilante" non configura giuridicamente, di per sé, un gruppo etnico protetto dal 261bis. Siamo sempre su un filo del rasoio della legalità.
Il Consiglio della Stampa svizzera già nel 2001 ricordava che il ricorso all'anonimato nelle lettere viola la "dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista". Per quale motivo allora questa violazione non viene applicata quando si tratta di pubblicazioni sulla rete?
Dubito che si tratti di un reato penale, ma piuttosto di una violazione della deontologia della sua professione. Siete voi giornalisti e la vostra categoria che deve intervenire in simili casi. Purtroppo però mi sembra che siete rimasti troppo a guardare finora. Il ministero pubblico, dal canto suo, può intervenire ed interviene se gli viene segnalata la violazione di una norma penale.
Quali sono i limiti alla libertà di espressione che si possono applicare oggi alla comunicazione sul web e ai blog ticinesi?
Valgono i limiti applicabili a qualsiasi altra comunicazione pubblica, perché un forum, un blog, una mailing list o un newsgroup, eccetera costituisce, nella maggior parte dei casi, una comunicazione pubblica. Una lettera inviata ad un giornale in cui si esprimono idee o concetti discriminatori sul piano razziale costituisce reato anche se pubblicata in rete. Quello che noto, però, è che affermazioni che non vengono pubblicate e che non sono pubblicabili nella stampa scritta o radiotelevisiva trovano invece spazio nel web.
Ritiene sufficiente l'articolo contro la discriminazione razziale 261bis per combattere il razzismo in rete?
Il 261bis non combatte il razzismo in quanto tale, ma la discriminazione razziale. Bisogna distinguere il campo di intervento politico, dove vi sarebbe spazio per interessanti discussioni sul tema, con quello che è il campo d'intervento della legge penale. In Svizzera, oggi, con questa norma penale si combatte la discriminazione razziale se manifestata in pubblico e con certe modalità. Il razzismo, espresso in forma privata, non è penalmente perseguibile. Il 261bis costituisce di per sé una buona base legale, bisogna però vedere quali sono i mezzi messi a disposizione per applicarla correttamente.
L'esperto di razzismo Hans Stutz (si veda il riquadrato a lato) ritiene che oggi non esiste una vera sorveglianza da parte delle autorità dei forum e delle attività razziste legate al web. La magistratura ha sufficienti mezzi per combattere il razzismo sul web?
Il problema si situa a livello di forze di polizia. Il procuratore pubblico non può mettersi a navigare in internet per vedere se nei blog o forum si ritrovino violazioni della norma penale. È però giusto sapere che qualora un utente sente di essere leso nei propri diritti può informare l'autorità che a sua volta farà il possibile per individuare l'autore e, se del caso, punirlo. Il razzismo è e resta comunque un problema di civiltà, un problema culturale che va affrontato in primo luogo sul piano politico ed educativo. Non si può delegare la responsabilità della lotta ai comportamenti discriminatori sul piano razziale unicamente alla giustizia penale, ogni istanza (autorità politica, scuola, media, genitori, ecc.) deve fare la propria parte.
È soddisfatto dalla legislazione attuale nella lotta alla discriminazione razziale sul web?
Vi sono evidenti insufficienze e lacune, soprattuto sul piano del coordinamento delle legislazioni. Internet è uno strumento eccezionale, ma proprio per il suo carattere libertario ed al contempo globale si presta a comportamenti punibili in certi paesi, ma che non lo sono in altri. È a volte frustrante vedere con quale facilità un sito internet vietato e magari chiuso in un certo paese per i suoi contenuti pesantemente razzisti venga semplicemente spostato su un computer in un'altra nazione che non conosce una disciplina penale in materia senza, peraltro, che da noi si possa fare qualcosa per perseguire queste persone. Esistono, insomma, buchi giuridici abbastanza importanti.

"Sono troppe le violazioni"

Hans Stutz come valuta l'evoluzione della discriminazione razziale su internet in Svizzera?
Preoccupante. Prendo solo l'esempio dell'anno in corso in cui ci sono state svariate attività sul web della "subcultura" skinhead del canton Turgovia e a San Gallo. Alcuni di questi siti internet sono stati bloccati dalle autorità. Uno skinhead di San Gallo che gestiva un sito particolarmente ben ideato ha aperto un nuovo portale dopo che le autorità avevano bloccato un'altra sua attività. È un'evoluzione continua.
Quanti sono i siti internet di questo genere in Svizzera?
Attualmente sono una dozzina, al massimo venti.
Oltre ai siti internet ci sono anche blog e forum. Com'è la situazione?
A mio avviso ci sono parecchie violazioni della norma contro la discriminazione razziale. Spesso i portali, che non hanno forzatamente una matrice estremista, si nascondono dietro alla registrazione dell'utente a cui viene fornita e in seguito richiesta una parola chiave per poter scrivere nel forum. La verità è che l'accesso è troppo semplice, non vi è un reale controllo. Oggi in Svizzera non c'è nessuno che vigila su questi fenomeni, né la polizia e neppure delle Ong. Se, da un lato, per gli estremismi internet permette una maggiore trasparenza perché questi scambiano tra loro liberamente e protetti da pseudonimi le loro idee razziste, dall'altro si è dato un impulso e uno spazio a dibattiti molto più ambigui che sfociano nella discriminazione. Testate giornalistiche che non si permettono di pubblicare certi tipi lettere danno spazio pubblico a quelle stesse voci sui loro portali internet. Finora purtroppo la società civile non ha saputo reagire a queste derive.

"Nessuna denuncia per ora"

Edy Salmina per quale motivo il Consiglio svizzero della Stampa non è finora intervenuto per far applicare le regole deontologiche del giornalismo anche per le pubblicazioni sul web?
Premesso che tenere pulito un "blog" è anzitutto compito del media che lo gestisce, bisogna capire cosa significa intervenire. Vi è un livello di definizione di regole e qui il Consiglio della Stampa, già nel 2001, ha stabilito che i principi deontologici tradizionali valgono anche per il giornalismo on-line. Vi è poi un livello di prassi. In questo ambito il Consiglio non è un super poliziotto, per fortuna. Di regola, può agire solo se qualcuno presenta un reclamo, cosa che, contro un blog ticinese, mi pare nessuno abbia finora fatto. Al tempo stesso, le sue prese di posizione non sono legalmente vincolanti.
Le leggo alcune delle frasi apparse sul blog di Ticinonews: in calce ad un articolo che riferiva di una rissa al Centro di registrazione per richiedenti l'asilo a Chiasso: «Basta letame», ha scritto un internauta in riferimento ai richiedenti l'asilo. O ancora stamattina (lunedì per chi legge) in merito ad un'inchiesta sul traffico di stupefacenti che vede coinvolti dei richiedenti l'asilo un internauta scrive: «sono qua, li accogliamo, gli diamo di tutto, spacciano la droga e .... poi ci prendono ancora per il culo...e gli avvocati li difendono....ma lasciateli marcire in una cella di prigione, chi se ne frega cosa dicono poi i vari delegati all'integrazione, Amnesty, l'Onu o chi per essi...». Cosa ne pensa?
Cosa pensi di frasi del genere è ovvio. Più importante è sottolineare che aprire un blog giornalistico significa assumersi una grande responsabilità, pubblicistica e legale. Il rischio è grande e va quindi gestito con attenzione: basti pensare che si può accedere a un blog da tutto il mondo o che è difficile risalire agli autori, il che accresce le tentazioni. Un blog deve garantire libertà di espressione, non di offesa. Senza dimenticare che eventuali reati vanno perseguiti anche nei blog, ma questo, ovviamente, non è compito del Consiglio della Stampa.
Questi commenti non verrebbero pubblicati sui media scritti e radiotelevisivi. Per quale motivo è allora possibile pubblicarli su forum e blog?
Per il servizio pubblico la regola è chiara: gli standards di qualità valgono ovunque, per ogni tipo di offerta pubblicistica. Ma anche nella stampa scritta vi sono già blog e forums molto ben fatti. Rimangono zone grigie. Gestire, anzi "moderare" un blog, richiede un minimo di investimenti. Sono sicuro che gli editori e i giornalisti interessati si rendano conto della posta in gioco: un pezzo della qualità e della rilevanza futura del giornalismo, on-line e non solo.

Pubblicato il

13.06.2008 01:00
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