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Il privato nel pubblico
di
Martino Dotta
Ha suscitato non poco scalpore, in Ticino come nel resto del Paese, la notizia successivamente smentita dai diretti interessati del presunto rapporto sentimentale tra i Consiglieri di Stato Borradori e Pesenti. Al di là del fatto in sé, della convenienza o meno e dell'interesse più o meno morboso attorno ad atteggiamenti ritenuti impropri in ambito comune, la questione solleva degli interrogativi sulla relazione tra vita privata e ruolo pubblico o, formulata diversamente, spinge a chiedersi quanto di personale e riservato può (o, nell'eventualità, deve) entrare nella sfera collettiva.
La storia insegna che, nel bene e soprattutto nel male, le esperienze traumatiche o problematiche compiute da personaggi noti e no nel campo familiare, a cui sono affidati compiti di pubblico dominio o che essi stessi si sono attribuiti, hanno quasi sempre ripercussioni gravi nello svolgimento di tali compiti. Non è necessario evocare i casi più estremi, come quelli di dittatori del calibro di Hitler, Stalin o Pinochet, per rilevare quanto influsso abbia avuto sulle loro scelte individuali e soprattutto politico un vissuto personale non di certo limpido. E non è probabilmente una strana coincidenza che spesso ad influenzare in maniera negativa le decisioni intime e, di riflesso, le posizioni sociali di determinate persone siano state forme educative repressive e manifestazioni religiose oppressive. Che poi soprattutto quest'ultime possano condurre a negare la legittimità pubblica della religione e a perseguitarne i rappresentanti è purtroppo una conseguenza logica, benché paradossale, dell'incapacità d'integrare nel proprio io e pertanto nel ruolo assunto imposizioni mal sopportate. Al riguardo, sarebbe di sicura pertinenza l'analisi psico-sociale e sociologica, anche sul piano religioso ed esperienziale, di personalità contemporanee complesse e controverse della stregua di Berlusconi, Blocher, Bush, o Putin. Ciò che li accomuna è la pretesa di essere delle sorte d'inviati divini, quasi dei tiranni illuminati a cui tutto è permesso a motivo dell'incarico politico assunto, anche se poi c'è da chiedersi quale sia l'effettivo bene comune che intendono perseguire.
D'altronde, per l'odierna mentalità laicista, che tende a relegare lo spirituale nella sfera strettamente privata, non possono non provocare perplessità e qualche legittima obiezione l'ostentazione delle proprie convinzioni religiose (vere o presunte che siano) e il loro uso non sempre limpido per secondi o terzi fini. Il medesimo discorso vale per il pericolo sempre costante di confondere il privato con il pubblico o di non concedere più alcuna intimità, per cui a ragione del ruolo si giustifica persino l'intromissione tra le mura domestiche di guardoni e controllori di vario genere. Di sicuro, qui come in altre situazioni, il giusto sta nel mezzo. Nella fattispecie si chiama decenza e buon senso. Ma anche la maturità personale (mai conquistata definitivamente) dovrebbe essere la guida delle scelte individuali e sociali.
Pubblicato il
29.08.08
Edizione cartacea
Anno XI numero 32-35
Rubrica
Non solo Dio
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