Il prezzo della gratuità

Salariate e salariati raccontano in un libro l’esperienza del lavoro non remunerato. Un fenomeno trasversale e dilagante analizzato da tre ricercatori

Ce n’è per tutti i gusti. Il venditore, il cuoco, la postina, l’autista, l’agente di sicurezza, il tecnico radiotelevisivo, il grafico, il giornalista, l’architetta e un’infinità di mestieri in cui la gratuità del lavoro si annida. Da stipendiato o indipendente, nel pubblico o nel privato, chiunque potrà riconoscersi leggendo le testimonianze contenute nel libro appena uscito “La gratuità si paga” dal sottotitolo “Le metamorfosi nascoste del lavoro” (Edizioni Casagrande) dei professori della Supsi Christian Marazzi, Spartaco Greppi e Samuele Cavalli (collaboratore dell’Unione sindacale svizzera).

Nel loro saggio, i tre ricercatori indagano i cambiamenti nel sistema lavorativo per scovare quali forme assuma la gratuità nei confini sempre più labili tra vita e lavoro, scoprendo che nessuno può dirsi al riparo dalla gratuità imposta nel proprio lavoro. In una sorta di «antica inchiesta operaia», le voci raccolte dai ricercatori sono testimonianze preziose che danno corpo alla conoscenza, contribuendo a formare la coscienza collettiva dello stato delle cose.


Nella cronaca mediatica a volte qualcosa irrompe. È il caso di Divoora, il food delivery ticinese che pretende di retribuire al minuto i dipendenti solo il tempo della consegna dal ristorante, mentre considera gratuito il tempo messo a disposizione dell’azienda dai corrieri. «Nel settore emergente del food delivery e nella figura del ciclofattorino si concretizza l’essenza del paradigma» che «va ben oltre l’economia delle piattaforme, delineando i tratti dello spirito del tempo, dell’epoca della gratuità» in tutti gli ambiti professionali, si legge nel libro.


Una trasversalità della gratuità che si ritrova nel tempo regalato dal commesso quando prepara l’apertura o riordina la chiusura del negozio annesso alla stazione di benzina, del cuoco costretto a riassestare la cucina oltre il tempo di lavoro retribuito o dell’autista che a fine lavoro deve andare in posta a versare gli incassi dei biglietti. A chi possono sembrare dei piccoli sacrifici, risponde il commesso: «Una mezz’ora regalata al giorno fa cinque ore la settimana, moltiplicata per venti dipendenti, fanno una mole di lavoro e di guadagni fuori di testa».


Nel passato, la separazione tra tempo libero e lavoro salariato era netta. Oggi invece tendono sempre più a mescolarsi, spiegano gli autori, nelle cui pieghe si insinua la gratuità. La persona non è più padrona del proprio tempo libero, dovendo subordinarlo alle esigenze del datore. Nel concreto, ad esempio, la gratuità prende forma nei contratti di 8-20 ore garantite la settimana, largamente diffusi nella vendita al dettaglio. Tempi di lavoro flessibili nei quali la lavoratrice deve subordinare il proprio tempo libero alla disponibilità di lavorare quando chiamata. Una disponibilità permanente non retribuita alla quale si sommano le ore di lavoro accumulate quando impiegata per lunghi periodi per esigenze aziendali. Ore supplementari destinate a scomparire nelle “vacanze forzate” imposte dal datore.

 

L’esplosione del tempo parziale risponde a una logica aziendale precisa. «Scusate, ma perché non aumentate la percentuale a noi? No, abbiamo bisogno di più gente. Più gente flessibile» riassume una venditrice la risposta ricevuta dai dirigenti. Una metamorfosi del lavoro dove la flessibilità rende strutturale la gratuità.


Per poter sopperire agli scarsi redditi derivanti dal tempo parziale, i lavoratori sono poi costretti a ricorrere alla disoccupazione parziale (guadagno intermedio). Datori che usufruendo dello stato sociale, impongono la disponibilità permanente gratuita a dei lavoratori a spese della collettività. Una gratuità pagata due volte dai dipendenti, nel presente con la mancata retribuzione e nel futuro quando saranno in pensione.


Il pilastro su cui poggia la gratuità è il timore di perdere il posto. «La paura del licenziamento serve a mantenere questa gratuità di fondo» segnalano gli autori.A questa condizione però, si apprende nel libro che ci si può anche opporre. «Le forme di resistenza al lavoro gratuito vanno dall’azione sindacale a livello di contrattazione collettiva, alle vertenze legali individuali, fino al sottrarsi alla gratuità cambiando lavoro nella speranza di un maggior riconoscimento. Oppure continuando a battersi nel quotidiano della propria attività per ottenere un giusto valore, come nel caso degli indipendenti».


Non solo è importante dare voce alla soggettività di lavoratrici e lavoratori defraudati della mancata retribuzione, alla sofferenza patita e alle forme di resistenza intraprese. Per gli studiosi, la gratuità è un indicatore dei cambiamenti in corso nel mondo del lavoro e dell’incapacità di comprenderne le metamorfosi ricorrendo alle dottrine classiche, ancorate su un mondo del lavoro radicalmente trasformatosi.


Ci perdonino gli autori, ma facciamo un esempio locale molto semplificatorio: in Ticino l’occupazione è notevolmente cresciuta negli ultimi anni mentre i salari sono stagnanti. Un fatto inspiegabile stando ai dogmi della teoria neoclassica dominante, secondo cui a un aumento dell’offerta dei posti di lavoro dovrebbe seguire una crescita dei salari.

 

Riprendiamo ora i termini degli autori. «Il paradosso di una crescita occupazionale non accompagnata da un aumento dei salari, non si spiega con l’interazione tra domanda e offerta della teoria neoclassica. Si spiega invece se si tiene conto che una parte crescente del lavoro sfugge proprio perché non ha prezzo monetario. È una questione cruciale. L’esistenza e l’aumento del lavoro gratuito agiscono sul salario e sull’occupazione».


La gratuità non è una novità, come spiegano nella prefazione due sindacaliste, Françoise Gehring (Sev) e Chiara Landi (Unia): «Il sistema capitalista e l’accumulazione del capitale si reggono da sempre sul lavoro gratuito, quello delle donne che ha permesso nei secoli la riproduzione sociale, la sostenibilità economica e la sopravvivenza della specie» per poi scrivere poco più avanti: «Lavorare meno, lavorare tutti è oggi più attuale che mai. Oggi la riduzione degli orari in tempi parziali è utilizzata per ridurre le persone che lavorano a tempo pieno. La riduzione delle ore complessivamente utilizzate è assicurata, l’equità no».


Un libro importante di piacevole lettura grazie al vissuto dei protagonisti sui luoghi di lavoro che, corroborato dal quadro teorico degli autori, illumina le metamorfosi del lavoro attraverso la lente della gratuità imposta trasversalmente. Capire come stanno rubando tempo e denaro, è il primo passo per cambiare le cose.

Pubblicato il

27.04.2022 11:15
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