«Il nostro obiettivo principale è il riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni. Per raggiungerlo possiamo anche utilizzare la via elettorale, però non è l'unico modo che abbiamo per lottare e rivendicare i nostri diritti. Ossia: continueremo comunque a costruire dal basso. Questo non ce l'hanno insegnato i partiti politici e lo faremo indipendentemente da loro, con o senza il loro appoggio» afferma deciso Aldo González Rojas, indigeno zapoteco responsabile dell'area dei diritti dei popoli indigeni dell'Unione di Organizzazioni della Sierra Juárez di Oaxaca (Unosjo). Gli indigeni della Sierra Juárez sono tra i più consapevoli e coscienti del Messico, anche perché è qui che ebbe i suoi natali due secoli orsono Benito Juárez, l'unico presidente indigeno che questa nazione abbia mai avuto.
Siamo seduti in un tranquillo patio in stile coloniale di Oaxaca de Juaréz, pittoresca capitale dell'omonimo stato meridionale messicano e Aldo mi racconta la sua esperienza personale come attivista sociale che, come tanti altri, è intimidito costantemente a suon di pedinamenti e minacce verbali e perseguitato da ordini di arresto emessi di volta in volta contro di lui sulla base di false accuse. L'ultimo lo vuole come guerrillero che minaccia la sicurezza nazionale. A Oaxaca infatti, nonostante la calma apparente, regna un clima di terrore sottilmente celato, risultato di una profonda crisi sociale e politica che nel maggio del 2006 esplose violentemente e che continua ad essere tuttora irrisolta. A causa della repressione di uno sciopero di insegnanti che rivendicavano più fondi per l'educazione voluta dal governatore Ulises Ruiz Ortiz del Partito rivoluzionario istituzionale (Pri), Oaxaca fu teatro di forti scontri tra maestri e polizia che diedero il via a un conflitto che trasformò per mesi la città in una vera e propria zona di guerra. Gran parte della popolazione, anch'essa esasperata dalla situazione sociale e politica in cui riversava lo stato, si unì in solidarietà agli insegnanti e nacque così la Appo, l'Assemblea popolare dei popoli di Oaxaca, facendo riferimento ai molti e differenti gruppi etnici che vivono nello stato. Anche Aldo González Rojas e le comunità indigene della Sierra Juárez appoggiarono il movimento popolare: «L'intero stato di Oaxaca si indignò per quello che era successo. Ci fu una manifestazione di solidarietà molto forte da parte delle comunità. Tramite una stazione radio comunitaria prima e la stazione radio della Commissione Nazionale per lo Sviluppo dei Popoli Indigeni poi, potemmo trasmettere nella regione quasi tutta l'informazione di ciò che stava succedendo nella capitale. Questo rese possibile che la gente della Sierra Juàrez prendesse parte a varie mobilizzazioni a Oaxaca». Le mobilizzazioni di protesta massive impedirono al governatore di nascondere oltre agli occhi del Paese e del mondo la rabbia profonda del popolo oaxaqueño nei confronti della sua politica repressiva. «Una delle mobilizzazioni che suscitò particolarmente l'interesse della stampa si svolse dopo il 2 novembre 2006. Mentre Ulises Ruiz Ortiz andava affermando che i disordini interessavano solamente alcune strade di un municipio, le autorità municipali della regione della Sierra Juàrez scesero con i loro bastoni di comando a ribattere che non si trattava di un problema in un solo municipio, bensì di un conflitto che stavamo vivendo in tutto lo stato di Oaxaca». Ciononostante Ulises Ruiz Ortiz continuò a usare le maniere forti contro il movimento sociale e a poco a poco il conflitto di Oaxaca divenne un problema nazionale. «Una delle reazioni dello Stato fu mandare l'esercito, inviato in suo aiuto dal Governo federale, a vigilare nelle comunità, argomentando con la supposta apparizione di un gruppo guerillero nella regione». Il principale obiettivo della Appo era e rimane la destituzione di Ulises Ruiz Ortiz. Il governatore continua infatti ad essere al potere grazie anche alla complicità del governo federale del presidente Felipe Calderón del Partito di azione nazionale, Pan (vincitore, tuttora messo in discussione, delle elezioni presidenziali del 2006), che nel novembre dello stesso anno inviò 4'500 elementi della Polizia federale preventiva (Pfp) a Oaxaca per reprimere il movimento popolare mobilizzatosi costruendo barricate distribuite per tutta la capitale e occupando diverse stazioni radio e addirittura un canale televisivo. «Il 25 novembre segna un momento decisivo nella lotta della Appo. Anche noialtri come organizzazione della Unosjo abbiamo vissuto in prima persona questa situazione angosciante. Io e una compagna dovemmo abbandonare lo stato di Oaxaca perché temevamo per la nostra sicurezza e cercammo la solidarietà internazionale per tentare di proteggere i compagni che già si trovavano in carcere in quel momento». Il bilancio del conflitto si riassume in gravi violazioni dei diritti umani, tra cui almeno 18 persone morte in circostanze controverse, come segnalato nel rapporto di Amnesty International intitolato «Oaxaca, clamore per la giustizia» consegnato alle autorità statali il 31 luglio scorso ma respinto con l'accusa di parzialità. Le turbolenze del 2006 hanno lasciato profonde ferite nella società civile. Basti pensare che una parte dei prigionieri politici detenuti durante il conflitto è tuttora reclusa e che ad oggi non si è ancora svolto nessun processo contro i responsabili delle violazioni.
"I partiti non rappresentano il popolo"
Durante i mesi passati del 2007 alla dinamica della crisi sociopolitica irrisolta, si è aggiunta quella di un processo elettorale: il 5 agosto si è votato per i deputati del Congresso statale e il 7 ottobre per i presidenti municipali. I risultati delle elezioni confermano la profondità della crisi politica che si manifesta nell'autoritarismo del governo, nella decomposizione o assenza di una cultura politica, nella mancanza di credibilità nei partiti e nel gioco perverso dei candidati per mantenersi saldi al potere. L'alto indice di astensionismo nella elezione dei deputati dà poca legittimità al nuovo Congresso; il Pri, che da oltre 70 anni governa Oaxaca, detiene la maggioranza assoluta, però grazie ad un consenso appena del 17 per cento sul totale dell'elettorato. Le sue vecchie procedure di acquisto di voti, di coazione e di manipolazione delle elezioni hanno fatto sì che la maggior parte dei municipi saranno governati dal Pri nel periodo 2008-2012. «I partiti politici non stanno rappresentando la volontà popolare e non promuovono la partecipazione della gente. Sostanzialmente sono i vertici dei partiti che decidono chi saranno i candidati» osserva Aldo. Appoggiato dalla maggioranza della sua gente che lo elesse rappresentante e incoraggiato dal partito della sinistra Prd (Partito rivoluzionario democratico) che vedeva nella candidatura di personaggi vicini al movimento sociale un trionfo sicuro alle elezioni, Aldo González sollecitò la candidatura a deputato del Congresso. Lo stesso Prd però rifiutò all'ultimo momento la sua candidatura apponendovi mille scuse. «Stavamo cercando la rappresentazione politica per occupare certi spazi che ci avrebbero permesso di rafforzare i processi di organizzazione della Sierra Juárez e di attuare con un certo appoggio. Sappiamo che normalmente i deputati si occupano di gestire programmi governativi già stabiliti e noi siamo molto scettici riguardo a questi programmi perché molti hanno deteriorato le forme di organizzazione delle nostre comunità indigene». Nonostante il rifiuto del Prd, Aldo e la sua organizzazione non si danno per vinti, anzi: «Non puntiamo solo alle elezioni e continueremo a lavorare per conto nostro. Disgraziatamente molte delle nostre iniziative di lavoro locali sono illegali perché le leggi non sono state fatte per appoggiare le comunità indigene. Stiamo installando per esempio una radio comunitaria, ma è illegale e ce la possono togliere da un momento all'altro, perché in Messico non si appoggiano le reti comunitarie. Stiamo lottando contro i transgenici che arrivano dagli Stati Uniti e che già nel 2001 hanno contaminato il nostro mais, vogliamo salvaguardare le nostre semenze, stiamo lottando perché le nostre comunità possano avere potere decisionale sulle risorse naturali che si trovano nei loro territori e tutto ciò va contro la legge. Ciononostante non rinunceremo a lottare per rivendicare i nostri diritti». Chiedo ad Aldo come vede il futuro: «La prospettiva non è molto incoraggiante. È una situazione difficile e siamo molto preoccupati per il trattamento che ha ricevuto il movimento sociale a Oaxaca. Non è un trattamento che si riserva normalmente a un movimento civile e pacifico. Il fatto che ci siano tanti morti e desaparecidos che non sono stati ancora documentati ci preoccupa molto perché pensiamo che possano essere molti di più ma che le famiglie non osano denunciare la scomparsa dei loro famigliari perché stanno soffrendo un clima di terrore psicologico. Di fatto in alcuni articoli di giornale dell'anno scorso si diceva che stavano utilizzando il Manuale per operazioni psicologiche della Cia che fu utilizzato in Nicaragua. E attualmente utilizzano lo stesso manuale impiegato per combattere la guerrilla e il narcotraffico in Colombia. È un terrore abbastanza velato, che però assomiglia già a una dittatura. E ciò significa che il popolo di Oaxaca non potrà vivere in tranquillità nel futuro immediato, soprattutto ora che la maggioranza del Congresso locale è nelle mani del Pri. Questo legittima il loro operato a livello federale e internazionale, nonostante ci sia stato un indice di astensionismo altissimo. Di fronte a questo panorama diventa sempre più difficile riuscire a svolgere un lavoro politico o sociale a Oaxaca». Come parte della lotta per il riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni messicani, Aldo Gonzalez Rojas ha appena pubblicato il libro Mais, contaminazione transgenica e popoli indigeni in Messico, che denuncia la situazione di degrado che stanno vivendo i piccoli produttori (in maggioranza indigeni) e la crescente dipendenza dagli Stati Uniti per coprire il fabbisogno di granoturco, frutto di una politica neoliberale che predilige la competenza internazionale alla sicurezza alimentare nazionale.
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