La Romania ribolle di rabbia. Fino adesso, la corruzione a livello governativo era a volte sottovalutata dai semplici cittadini, che pensavano: "se loro rubano, perché non lo facciamo anche noi?". Ma l'annuncio del Governo delle proposte per le misure anti-crisi ha scatenato un'ondata di proteste in tutto il paese.

Il 6 di maggio i rumeni hanno visto il presidente Traian Basescu che molto serenamente annunciava la riduzione di tutti gli stipendi di 3,5 milioni di lavoratori statali del 25 per cento e tagli del 15 per cento alle pensioni e alla socialità. Tagli dichiarati necessari per rispettare l'accordo con il Fondo monetario internazionale (Fim), dal quale la Romania vorrebbe un prestito da 12,95 miliardi di euro (circa 17 miliardi di franchi). I sindacati hanno reagito immediatamente chiedendo un colloquio con il presidente, il primo ministro, i deputati e i senatori. Il conflitto sociale è ormai esteso a tutto il Paese e potrebbe portare ad uno sciopero generale a livello nazionale. Le cinque confederazioni sindacali rumene hanno fatto un fronte unito, cercando di convincere il Governo che le misure economiche proposte non sono certo  la migliore soluzione per uscire dalla crisi.
I pensionati sono stati i primi a scendere in strada. Alcune migliaia di anziani disperati, che con i tagli annunciati non avranno di che sfamarsi in futuro, hanno bloccato l'entrata del palazzo presidenziale chiedendo, senza successo, di parlare con il presidente. Il giorno seguente sono state le mamme a bloccare la porta del Ministero del Lavoro e della Protezione della Famiglia, con i loro bambini in braccio, i pannolini sporchi e il latte. Mamme che hanno paura che con la riduzione del 15 per cento delle indennità non avranno più il denaro sufficiente per crescere i propri bambini.
Il 19 maggio Bucarest è stata bloccata dalla più grande manifestazione degli ultimi dieci anni: più di 45mila persone, aderenti ai vari sindacati, hanno protestato contro la decisione di ridurre pensioni e stipendi, chiedendo misure alternative a quelle previste, per il rilancio dell'economia.
Recentemente, l'opinione pubblica rumena è venuta a conoscenza degli stipendi di chi lavora in Governo e nei ministeri. La popolazione ha scoperto che un semplice autista del Ministero delle finanze ha uno stipendio netto di oltre mille euro al mese (1'400 franchi), che un consigliere personale del ministro percepisce 2 mila euro netti al mese, che il direttore dell'Ufficio Nazionale per i Fondi sembrerebbe portare a casa ogni mese 3 mila 200 euro, mentre il ministro delle finanze ne guadagna circa 1'250. E tutto questo mentre un medico della mutua non guadagna piu di 250 euro e un professore universitario non ne incassa più di 500.
Anche nel sistema pensionistico esistono delle disparità assurde. A causa di una legge iniqua che protegge solo il clientelismo politico, come denunciano i sindacati. Ad esempio un ex- parlamentare percepisce anche più di 2 mila euro al mese di pensione, mentre una persona che ha lavorato per 40 anni in una fabbrica chimica non ne prende più di 300.
I sindacati temono che le misure annunciate dal Governo nascondano, di fatto, una limitazione dei diritti dei lavoratori dipendenti. Infatti, queste misure porteranno necessariamente alla modifica del Codice del Lavoro o dei contratti collettivi nazionali. I leader sindacali hanno presentato altre proposte, basate sul recupero dell'evasione fiscale e un nuovo metodo fiscale a scaglioni, che prevede aliquote diverse in base al reddito percepito e non più la sola percentuale del 16 per cento. «Il collaboratore o il dipendente statale che ora guadagna 2 mila euro al mese non sentirà certo lo stesso peso della riduzione dello stipendio che un professore di scuola che si vedrebbe diminuire del 25 per cento i suoi 300 euro», ha dichiarato Aurel Cornea, presidente del sindacato dell' istruzione, Federazione Libera.
Il Partito nazionale liberale (di destra), che adesso è all'opposizione, ha annunciato ufficialmente che offrirà assistenza giuridica gratuita per chiunque vorrà intentare una causa di giustizia, mentre l'altro partito di opposizione, il Partito Social-democratico (di sinistra) ha presentato lunedì pomeriggio una mozione di sfiducia per le misure anti crisi annunciate.
Durante tutta la giornata di lunedì, anche i sindacati hanno assediato il Parlamento: circa 2mila persone hanno bloccato le 5 entrate nel palazzo. «Vogliamo organizzare proteste quotidiane, qui in Parlamento e in tutta la Romania, per cercare di convincere i deputati e i senatori a votare la mozione di sfiducia per la caduta del Governo. I sindacati non fanno il gioco dell'opposizione. Qui parliamo di un Governo incapace di capire le misure anti-crisi necessarie e soprattutto giuste e responsabili. Se il Governo avesse pensato, ad esempio, a fermare il contrabbando di alcool e sigarette, la Romania avrebbe inserito nel bilancio nazionale più di 1 miliardo di euro al mese», dice Cornea.
Il 15 di giugno, quando sarà votata la mozione di sfiducia, i sindacati hanno annunciato che più di 300 delegati sindacali saranno presenti per "vigilare" sul voto dei parlamentari. Nello stesso giorno, tutti i sindacati rumeni saranno uniti in una grande manifestazione davanti al Parlamento, dove piu di 15 mila persone chiederanno la caduta del Governo.


«Vogliamo far cadere il governo»

I cittadini rumeni sono stanchi, rassegnati e poco inclini alle lotte sindacali. Ma le organizzazioni dei lavoratori sperano ancora di rovesciare il Governo in carica e impedire che la scure si abbatta su salariati e pensionati.

È la radiografia della situazione in Romania fatta da Bogdan Hossu, presidente di Cartel Alfa, la più grande e storica federazione sindacale del Paese che raggruppa una cinquantina di organizzazioni e rappresenta un milione di lavoratori. Lo abbiamo incontrato nei giorni scorsi a Bucarest a margine delle numerose manifestazioni di protesta in corso.
«Manifestazioni di protesta -commenta- che durano da più di un mese ma che finora, a causa della nostra debolezza, non hanno prodotto alcun risultato: la nostra prossima sfida è quella di convincere una maggioranza di parlamentari a votare la mozione di sfiducia al Governo».
Come spiega Bogdan Hossu la debolezza del movimento sindacale rumeno?
Bucarest è il fulcro del movimento sindacale e da anni è teatro di continue azioni di protesta che in parte si sono estese anche ad altre parti del paese, ma oggi i cittadini sembrano un po' stufi e tendono a far prevalere quell'ottimismo tipico rumeno che porta ad aspettare gli eventi. Nel caso concreto ad attendere che la legge venga votata nella speranza che cambi qualcosa in loro favore. Vi è poi un problema culturale: il valore e il significato dello sciopero restano qualcosa di sconosciuto alla gran parte dei rumeni, che dal passato hanno ereditato una mentalità secondo cui lo Stato pensa a tutto. Qui i salariati non hanno la capacità di imporsi o anche solo di parlare al datore di lavoro per rivendicare il rispetto dei loro diritti e lo sciopero lo considerano un atto contro il datore di lavoro.
Come giudica le misure economiche proposte dal Governo e quali alternative propone il sindacato?
Il governo rumeno con il suo piano economico per uscire dalla crisi prende di mira 15 milioni di lavoratori e i pensionati e tutela esclusivamente i gruppi di interesse direttamente o indirettamente ad esso legati. I sacrifici andrebbero invece ripartiti equamente tra tutte le categorie sociali. Visto oltretutto che in Romania i buchi di bilancio potrebbero essere colmati con la lotta all'evasione fiscale, che raggiunge il 28 per cento del Pil. Basterebbe ridurla del 2 per cento per raggiungere il pareggio dei conti pubblici. La Romania dovrebbe inoltre darsi una mossa nell'ambito della riscossione e della gestione dei fondi europei. Attualmente riusciamo ad incassare solo l'8 per cento di quanto ci spetta, a causa di una burocrazia allucinante, della mancanza di regole per governare i flussi finanziari e dell'incapacità di calmierare la crescita dei prezzi al consumo. Rischiamo di perdere almeno la metà dei 27 miliardi di euro (circa 38 miliardi di franchi) a cui avremmo diritto. La speranza che questo governo cambi rotta è nulla. Dunque il sindacato farà di tutto perché cada, pur consapevole di tutti i rischi che possono derivare da questa operazione.   

Pubblicato il 

11.06.10

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