Non si ferma in Qatar il lavoro diplomatico per evitare che il cessate il fuoco a Gaza naufraghi dopo l'annunciato piano di Trump di voler “comprare” e trasformare la Striscia nella “Riviera del Medio Oriente”. L'esercito israeliano (Idf) ha rafforzato la presenza militare nella periferia della Striscia, dopo il parziale ritiro dei giorni scorsi in base agli accordi per la tregua con Hamas, in vista di un possibile fallimento della prima fase del cessate il fuoco. Nelle prime sei settimane di tregua, in scadenza il primo marzo, dovrebbero essere rilasciati 33 ostaggi israeliani, 19 tra loro insieme a 5 lavoratori thailandesi sono già rientrati a casa, tra i circa 90, alcuni già deceduti, nelle mani di Hamas dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023. Resterebbero quindi in vita e da rilasciare nella prima fase della tregua ancora sei ostaggi. Gli ultimi tre, Alexander Troufanov, russo-israeliano, Yair Horn, con cittadinanza anche argentina, e Sagui Dekel-Chen, americano-israeliano, sono stati rilasciati nella giornata di sabato. Circa mille sono i prigionieri politici palestinesi fino a questo momento liberati dalle carceri israeliane, alcuni condannati a pene gravi e spediti nei paesi vicini, su un totale di circa 2mila detenuti palestinesi che dovrebbero essere liberati, secondo gli accordi. L'ultimo rilascio di 369 detenuti palestinesi dovrebbe includere la liberazione del noto attivista e militante, Ahmed Barghouti. Da parte sua, anche il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha minacciato che la guerra ricomincerebbe se Hamas non rispetterà gli accordi rilasciando gli altri ostaggi. Nei giorni scorsi proprio le immagini del rilascio degli ostaggi israeliani così come dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane avevano sollevato non poche polemiche. Da una parte, Hamas è stato accusato per l'uso propagandistico che ha fatto delle delicate fasi in cui, per esempio Ohad Ben Ami, Eli Sharabi e Or Levy sono stati rilasciati in una sorta di parata ostentata come una manifestazione di controllo su Gaza da parte del movimento. Dall'altra, i prigionieri politici palestinesi, dopo il rilascio, hanno denunciato di aver subìto maltrattamenti nei lunghi anni di detenzione nelle carceri israeliane. Ad aggravare la possibilità che la tregua vada avanti, gli Stati Uniti hanno autorizzato la presenza “a lungo termine” delle truppe israeliane nel Sud del Libano, in violazione degli accordi per il cessate il fuoco con Beirut che prevedevano il ritiro delle forze di Idf entro gennaio. Non solo, la possibilità che Trump voglia riconoscere in futuro la legittimità delle colonie israeliane illegali in Cisgiordania, insieme allo spostamento forzato dei beduini che vivono nella regione da parte di Idf, mette sempre più a repentaglio la possibilità che nasca uno stato palestinese. Egitto e Giordania contrari alle deportazioni dei palestinesi di Gaza Dal canto loro, le autorità egiziane e giordane continuano a dirsi ufficialmente contrarie allo spostamento di massa dei palestinesi da Gaza. Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi per il momento sta cercando di prendere tempo e non andrà a Washington il prossimo 18 febbraio, come previsto. Mentre per il 27 febbraio è stata annunciata una riunione urgente della Lega araba per discutere di un tema così delicato da poter mettere in discussione lo stesso Trattato di Pace tra Egitto e Israele del 1979. Al-Sisi, parlando in una conversazione telefonica con la premier danese, Mette Frederiksen, ha fatto riferimento alla necessità di favorire la fondazione di uno stato palestinese entro i confini del 1967 e di avviare la ricostruzione di Gaza senza il trasferimento dei palestinesi dalla Striscia. La terza fase della tregua nella Striscia dovrebbe proprio comportare l'avvio di una fase di ricostruzione molto complessa che potrebbe dover implicare la realizzazione di un nuovo “Piano Marshall” per la Striscia a partire dallo smaltimento delle 50milioni di tonnellate di macerie lasciate dal lungo conflitto. Anche il ministro degli Esteri egiziano, Badr Abdelatty, nel suo incontro con il Segretario di Stato, Marco Rubio a Washington, ha enfatizzato la necessità che i palestinesi restino a Gaza. Nei lunghi mesi di conflitto, al-Sisi ha ripetutamente sottolineato che la vera “linea rossa” per il Cairo sarebbe stato il trasferimento di massa dei palestinesi nel Sinai, suggerendo che venissero invece diretti verso il “deserto del Negev”. L'Egitto riceve dagli Stati Uniti 1,3 miliardi di dollari in aiuti militari all'anno e la Giordania 1,5 miliardi. Per il Cairo, il rischio di instabilità politica che il trasferimento di massa dei palestinesi nel Sinai comporterebbe un costo politico molto alto. Potrebbe compromettere la stabilità politica interna del regime militare di al-Sisi perché tra gli egiziani è diffuso un sentimento di sostegno alla causa palestinese. In più, le autorità egiziane temono che la presenza di massa di palestinesi di Gaza in Egitto, molti dei quali simpatizzanti di Hamas, potrebbe determinare tentativi di far partire attacchi terroristici verso Israele dal territorio egiziano innescando una guerra regionale incontrollabile. Tuttavia, le principali pressioni di Trump fin qui sono state esercitate nei confronti della monarchia giordana. E così nell'incontro che ha avuto lo scorso martedì con Trump, Abdullah II si è detto pronto a discutere del piano Usa per Gaza con gli altri paesi arabi vicini. Ha anche promesso che accoglierà in Giordania “2mila bambini palestinesi feriti o con problemi di salute”. Ma il monarca giordano è andato avanti assicurando che attende il piano per Gaza egiziano prima di pronunciarsi sulle proposte del presidente Usa, Donald Trump. Il raid israeliano all'Educational Bookshop Come se non bastasse, si aggrava sempre di più il clima di paura nei territori occupati. La polizia israeliana ha perquisito e detenuto i proprietari dell'Educational Bookshop, una libreria storica di Gerusalemme Est. Gli agenti hanno fatto irruzione nella libreria nel pomeriggio della scorsa domenica, usando Google Translate per esaminare le pubblicazioni presenti e arrestare con l'accusa di “violazione dell'ordine pubblico” il proprietario Mahmoud Muna, 41 anni, e suo nipote, Ahmed Muna 33 anni. Secondo la polizia israeliana, alcuni dei libri per bambini, delle pubblicazioni di noti studiosi come Ilan Pappé e Noam Chomsky o i libri illustrati del “Wall and Piece” di Banksy e del fotografo canadese Afzal Huda inciterebbero al terrorismo. La polizia ha fatto sapere che ha sequestrato otto libri e di aver preso in esame altre pubblicazioni. “Hanno preso un libro con la bandiera palestinese in copertina e hanno cercato di tradurlo con il traduttore automatico”, ha denunciato Morad Muna della libreria. Ong, gruppi per la difesa dei diritti umani, docenti e intellettuali hanno chiesto il rilascio immediato dei librai accusando le autorità israeliane di un attacco in termini più generali all'identità culturale palestinese. Tra gli attivisti che hanno protestato chiedendo il rilascio dei librai figura il premio Pulitzer, Nathan Thrall che ha più volte presentato i suoi libri all'Educational Bookshop. La libreria a conduzione familiare è stata centrale per la vita culturale di Gerusalemme per decenni ospitando eventi e conferenze a cui hanno partecipato politici, da Tony Blair a Mikhail Gorbacev, e artisti, da Bob Dylan a Uma Thurman. Per il think tank che difende i diritti umani B’Tselem le autorità israeliane vogliono perseguire gli intellettuali palestinesi. Lo scorso anno è stato arrestato e interrogato, Nadera Shalhoub Kevorkian, docente palestinese della Hebrew University di Gerusalemme mentre sono stati numerosi gli arresti delle voci critiche rispetto alla guerra a Gaza nei territori occupati negli ultimi mesi. Il piano di Trump che prevede la pulizia etnica dei palestinesi di Gaza sta mettendo a rischio la tenuta del difficile cessate il fuoco. Hamas teme di perdere la leva degli ostaggi israeliani per negoziare la sua sopravvivenza nella Striscia. D'altra parte, l'obiettivo di lungo termine di Israele e di Stati Uniti sarebbe proprio di strappare dalle mani di Hamas il controllo di Gaza. Tuttavia la possibilità che questo avvenga trasformando la Striscia in una grande opportunità immobiliare per gli Usa e altri investitori cancellerebbe completamente la possibilità che nasca uno stato palestinese. Questo è un prerequisito essenziale, dopo 15 mesi di genocidio a Gaza, per tornare al tavolo negoziale soprattutto per i leader arabi in Medio Oriente, a partire dall'Arabia Saudita. Eppure gli Stati Uniti potranno usare la leva dello stop agli ingenti aiuti militari se i principali alleati di Washington nella regione, a partire dall'Egitto, dovessero rifiutarsi di aderire al piano di Trump. |