Dopo il no all’adesione allo Spazio economico europeo, il progetto Alcazar di un polo aereo con la scandinava Sas, l’olandese Klm e l’austriaca Aua è stata l’unica ed ultima visione strategica. L’hanno affossata: Moritz Suter (temeva l’emarginazione di Crossair), gran parte del ceto politico (la crociata nazionalista fu diretta dal consigliere federale Adolf Ogi e dal gruppo editoriale Ringier), i dirigenti Swissair (esigevano un ruolo privilegiato per se stessi e per Zurigo).
Per soddisfare le rinnovate ambizioni «globali» di Swissair, il duo Philippe Bruggisser-Hannes Goetz adotta la strategia del cacciatore: partecipazioni avventurose in 13 compagnie, alle prese con evidenti problemi strutturali e di marchio. Il vertice Swissair e il mondo politico ignorano gli avvertimenti d’esperti, analisti e giornalisti sui rischi di tale opzione. Un’intesa possibile con British Airways viene scartata e intanto le ricchezze della compagnia vengono dilapidate e saccheggiate. Il tracollo Swissair è anche il fallimento del gotha politico-finanziario zurighese.
«Ja-Sager» nel Consiglio d’amministrazione
Per anni il consiglio d’amministrazione è stato una camera di risonanza dei centri di potere (un affare riservato al polo zurighese e al partito radicale), dei rappresentanti ininfluenti di Confederazione e Cantoni e delle vanità regionalistiche. È un sistema di «Corporate Governance» deficitaria, all’insegna dell’incompetenza, funzionale soltanto al lobbismo in parlamento e presso l’amministrazione.
Lukas Mühlemann è l’esempio di personalità prigioniera dell’intreccio di interessi che legava il consulente McKinsey (da cui proviene), la sua banca (il Credit Suisse è sempre stato l’istituto di riferimento) e la compagnia. Ispiratore del «libro bianco» e dispensatore di ricette neoliberali, Mühlemann dubita troppo tardi della linea Bruggisser, ma licenzia comunque l’analista colpevole di pronosticare il disastro. Ridotto al ruolo di comprimario del boss dell’Ubs Marcel Ospel, non evita che la sua banca moltiplichi gli sgarbi al personale (blocco dei conti e delle carte di credito dei dipendenti, poi revocato).
Giù le mani dall’aviazione
Contrariamente all’opinione diffusa, le compagnie aeree non sono un affare interessante per le banche ed è spesso la mano pubblica a tappare i buchi. Per Swissair, indebitata di 14 miliardi, l’attacco dell’11 settembre significa una svalutazione ulteriore di 3 miliardi: è vanificata la cessione di alcune attività. In verità, il «salvataggio» da parte della cordata Ubs-Credit Suisse (la cosiddetta opzione «Crossair Plus») preserva sicuramente i collegamenti internazionali privilegiati a vantaggio anche della piazza finanziaria, ma ha una residua componente nazional-patriottica. Certo il pacchetto azionario Crossair si è subito rivalutato (un utile puramente contabile), e un giorno potrebbe essere ceduto ad una compagnia estera nell’ambito di un’alleanza internazionale. Ma è musica d’avvenire: il successo della nuova Crossair, che necessita miliardi in nuovo capitale, non è scontato. Pesano le incognite giuridiche della moratoria concordataria. In una congiuntura disastrata, il consolidamento o la vendita dei segmenti finora beneficiari (Nuance, Gate Gourmet, SR Technics, Atraxis, Swissport, Swisscargo) sono problematici. Il traffico intercontinentale porrà problemi finanziari e gestionali enormi al management Crossair. È pertanto incomprensibile la leggerezza con cui si alimenta il miraggio di un settore aereo sano e redditizio; in realtà permane l’eccesso enorme di capacità di trasporto a livello mondiale, e la deregolamentazione continua a divorare i più deboli e i meno rapidi.
Da notare che le banche notoriamente perdono meno soldi o ne guadagnano nella ristrutturazione di singole aziende: orologeria, Alusuisse, Oerlikon-Bührle, Von Roll. Più difficile è il compito di fronte agli imprevisti del mercato. Negli anni novanta, la politica scriteriata d’investimento nel settore immobiliare ha provocato alle banche perdite per 60 miliardi.
La tesi del complotto Ubs-Crossair
La presunta «connection basilese» tra il carismatico Moritz Suter (avversario della dirigenza Swissair, è a sua volta inviso per lo stile autoritario e potrebbe in definitiva essere scaricato) e lo stratega Marcel Ospel sarà anche un dato di fatto, ma non spiega dinamica ed esito della crisi. Conseguentemente l’Ubs aveva considerato non credibili i «business plan» successivi. Il cavaliere solitario Mario Corti (lanciato dall’asse Credit Suisse-Nestlé) e l’estemporaneo mediatore Ulrich Bremi (ultima carta della lobby zurighese) si sono ritrovati spiazzati. Corti, privo nel momento cruciale degli indispensabili appoggi, non è riuscito a governare le conseguenze della menzognera contabilità del gruppo, diventando il simbolo dell’onore perduto della compagnia di bandiera. Sul fronte politico governo e amministrazione sono stati latitanti, in obbedienza al dogma neoliberista di non ingerenza nell’economia privata, quando non sarebbe in gioco l’interesse pubblico.
L’offerta dell’ultima spiaggia di 1,5 miliardi, avanzata sotto l’egida dell’Ubs ed avallata dal Consiglio federale, ha tuttavia un principale neo: la transizione. L’Ubs ha sottovalutato l’inquadramento manageriale necessario e ha sopravvalutato il suo primato nei confronti dello stato. Sull’infelice volo a New York e l’affronto al governo Ospel si è scusato, smentendo il suo vice Alberto Togni, che aveva assunto un atteggiamento nel contempo difensivo ed arrogante. A proposito delle sprezzanti esternazioni iniziali contro una soluzione del tipo economia mista (privato e pubblico), Ospel ha fatto marcia indietro: offre una partecipazione azionaria, accetta una task-force con il governo e la discussione sul piano sociale.
Intanto banche e stati stranieri gabbati sparano sulla «fenice» elvetica; gli azionisti e gli obbligazionisti traumatizzati pure.
Dopo la vicenda dei fondi ebraici, l’Ubs è confrontata con un nuovo grave incidente di percorso, dovuto ad una comunicazione miserabile. Ben più del «colpevole» Cs, è diventata il capro espiatorio della frustrazione diffusa e della rabbia di dipendenti e risparmiatori. E resta senza risposta perora la domanda se le due grandi banche sono veramente arrivate ai limiti delle loro possibilità.
I piloti, i sindacati e la piazza
Il dramma che coinvolge tutte le categorie del personale, anche le meno garantite e peggio pagate, ha suscitato una mobilitazione spontanea di impiegati e popolazione. Quasi una sollevazione dei ceti urbani modernisti che, fuori dagli schemi politici, non accettano che le élites del paese compromettano una certa qualità – o presunta tale –del «servizio pubblico» aereo.
In questo contesto è discutibile il ruolo dell’Aeropers, l’associazione dei piloti Swissair. Fino al collasso ha mantenuto una linea corporativa, di difesa dei privilegi salariali e pensionistici. Improvvisamente il corpo dei piloti, che ha sempre coltivato una lealtà militaresca nei confronti della compagnia, ha scoperto la piazza, cavalcando la battaglia emotiva all’insegna dell’orgoglio ferito e del nazionalismo di bandiera. Ha scavato il fossato con i colleghi Crossair, che per mesi si erano battuti contro un’indegna politica paternalistica e dei bassi salari. La polemica a muso duro contro Moritz Suter e André Dosé è apparsa assai rapidamente miope, soprattutto nei confronti del ruolo cruciale di quest’ultimo.
Altrettanto confusa la linea del sindacato del personale di cabina Kapers. Di fronte alle minacce di licenziamenti, si è quasi chiamato fuori, invocando l’alta rotazione dell’organico. Poi ha sposato l’illusione dei piloti di una soluzione alternativa, nell’ambito di una nuova Swissair.
Una speranza cullata inizialmente anche da Vpod-Ssp, che tuttavia ora cerca di profilarsi come partner negoziale indispensabile. I nodi, a suo avviso, sono il piano sociale e i rischi che il fallimento strisciante di Swissair coinvolga cerchie sempre più ampie di collaboratori. Il sindacato rivendica un ruolo anche «politico» nella task-force.
Il ritorno della politica
Dopo l’11 settembre si è tornati a scomodare Keynes per giustificare l’intervento dello Stato. Così anche per Swissair. Sono in gioco miliardi, ma la politica keynesiana non c’entra. Sono piuttosto provvedimenti pompieristici: al settore privato responsabilità, rischi e profitti, alle collettività la copertura dei dissesti e delle conseguenze sociali. Come è successo a Berna e come avviene a Ginevra, sono i Cantoni a coprire i fallimenti delle banche cantonali. Confederazione, Cantoni ed alcune città perderanno ora centinaia di milioni per l’azzeramento delle partecipazioni azionarie Swissair. E saranno ancora le finanze pubbliche – ovvero i contribuenti – ad attutire il crollo.
Parlare in queste condizioni, di ritorno della politica e dello stato è confondere l’ingegneria della riparazione finanziaria e sociale e qualche ora di dibattito parlamentare con una funzione imprenditoriale e arbitrale, che lo stato non ha più. «Crossair Plus», se riuscirà a sopravvivere come compagnia di nicchia, dovrà rapidamente inserirsi in un’alleanza internazionale. Il «servizio pubblico» aereo non ridiventerà un compito dello Stato, anche se quest’ultimo dovesse assumere un’importante partecipazione azionaria ed esercitare una certa vigilanza.
Addio Swissair?
Per il patriottismo sono momenti difficili. Bally, Saurer, Sulzer, Alusuisse, Abb Elektrowatt, Feldschlösschen, ecc.: tutti nomi eccellenti sfuggiti alla capacità elvetica di gestire una grande eredità industriale. I prodotti sono però rimasti. Ora scompare un altro tassello del Sonderfall elvetico. Della fiera Swissair – certo impresa privata, ma che l’immaginario ha sempre associato a poste telefoni e ferrovia – resterà soltanto il marchio. In fondo l’amore irrazionale e quasi possessivo per l’icona Swissair non era più giustificato dalle prestazioni effettive, in raffronto alla concorrenza. Come già a Ginevra e a Basilea, anche l’aeroporto di Zurigo-Kloten avrà dimensioni più consone all’effettiva domanda regionale e nazionale. Dopo le concitate diatribe sui limiti ambientali dello sviluppo dell’hub zurighese, il ridimensionamento di Crossair e Swissair può essere una chance per definire una politica complessiva dei trasporti più ragionevole. Oltre le polemiche regionalistiche e considerando il ruolo della ferrovia nello spazio interno ed europeo, è questo il terreno di un’elaborazione politica tra tutti gli interlocutori presenti nel territorio. Questa è la vera posta in gioco dell’interesse pubblico.
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