Il parco eolico elvetico che minaccia le popolazioni indigene

Alla testa del progetto BKW e Credit Suisse

La Société pour les peuples menacés (Spm), Ngo elvetica che si occupa di popolazioni indigene, denuncia pubblicamente alcune violazioni dei diritti nei confronti della popolazione indigena sami. Sul banco degli imputati, c’è un progetto che coinvolge la multinazionale Bkw Energie AG, con sede a Berna, e Credit suisse. La Ngo chiede ora di aprire un tavolo di mediazione. Hofstetter (Unia): «I criteri ecologici non possono essere separati da quelli sociali».


Si stima che in Norvegia abitino tra i 40.000 e i 70.000 sami, più comunemente conosciuti come lapponi, l'unica popolazione indigena d’Europa. I sami del sud, circa 600-1000 persone, hanno una loro lingua, in grave pericolo, e tradizionalmente si occupano dell’allevamento delle renne. Grazie a questa attività, gli indigeni riescono a preservare stile di vita, lingua e cultura.


Il progetto
Nella penisola di Fosen, sul monte Storheia, nei pressi di Trondheim, è in costruzione un campo eolico mastodontico: 6 centrali elettriche, 80 turbine, 60 Km di strade e una linea ad alta tensione andranno a incidere profondamente su un territorio in cui i sami del sud praticano la pastorizia. Bkw e Credit suisse partecipano all’operazione in qualità di membri del consorzio di investitori europei Nordic Wind Power Da, che detiene il 40% del capitale. Il progetto è pubblicizzato da anni dalla Bkw stessa come un investimento che va nella direzione di una riconversione ecologica dell’economia. Una volta terminato il progetto, le superfici di pascolo invernali a disposizione dei sami risulterebbero drammaticamente ridotte del 44% con gravi conseguenze sulle loro possibilità di sostentamento. Molti allevatori sarebbero per questo costretti a lasciare la loro professione.


La denuncia
La Spm il 16 gennaio ha denunciato pubblicamente la situazione e presentato una richiesta di mediazione presso il Punto di contatto nazionale (Pcn), che promuove il rispetto delle linee guida per imprese multinazionali dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). La Ngo segue da tempo la questione (cfr. l’intervista sotto con Angela Mattli, responsabile della campagna) e ha deciso di passare all’azione per difendere i diritti di una popolazione che ha fortemente sofferto a causa del colonialismo norvegese e delle politiche di assimilazione forzata. Secondo diverse convenzioni internazionali, i popoli indigeni detengono diritti sulla terra che il progetto violerebbe apertamente. Inoltre, sempre in contraddizione con il diritto, essi non sono stati consultati in maniera adeguata durante le fasi progettuali e di costruzione del parco eolico. Nel momento in cui scriviamo, non è stato possibile ottenere la replica della Bkw o di Credit suisse, ma siamo sicuri che non tarderanno a fornire le loro ragioni in altri contesti.

 

Multinazionali responsabili
Per Pepo Hofstetter, responsabile Unia per l’iniziativa multinazionali responsabili, che vuole vincolare le multinazionali aventi sede in Svizzera a rispettare i diritti umani e gli standard ambientali internazionali nelle loro relazioni d’affari, «il caso del parco eolico mostra che non è possibile scollegare la questione ambientale da quella dei diritti umani e sociali». Le campagne in cui è impegnata la Spm sono molte e di diverso tipo: nella stessa Norvegia, la Ngo supporta i sami nella loro campagna contro una miniera di rame del gruppo Nussir, le cui azioni sono detenute anche da Credit suisse, colpevole di scaricare gli scarti di lavorazione in un fiordo della contea di Troms og Finnmark, nell’estremo nord del paese, dove vivono numerosi sami. Sempre Credit suisse, questa volta insieme a Ubs, è stata coinvolta in un altro caso che riguarda i diritti delle popolazioni indigene, ovvero il passaggio della Dakota Access Pipeline su alcune riserve indigene degli Stati Uniti. Sempre per Hofstetter, «l’attività della Spm dimostra che è necessario costringere le aziende multinazionali a rispettare ambiente e persone. La soluzione è quella di dare forza alla campagna a sostegno dell’iniziativa che sarà votata con tutta probabilità nell’autunno del 2020».

 

 

L'intervista

Un progetto non sostenibile

 

Signora Mattli, da quando la sua organizzazione si occupa dei Sami?

Abbiamo sentito parlare dei problemi legati al Fosen Vind Park grazie a un giornalista della Srf. È venuto a conoscenza del progetto nel dicembre 2017 attraverso un articolo, prodotto da Bkw, in cui si descriveva il parco eolico in Norvegia come soluzione sostenibile per la produzione di energia rinnovabile. Informandosi ha scoperto che il progetto stava causando grandi problemi a livello locale, in particolare per le comunità sami. Abbiamo quindi stabilito un contatto con la popolazione indigena e ci siamo recati in Norvegia per avere un quadro della situazione. Nel dicembre 2018 abbiamo poi pubblicato un rapporto e abbiamo promosso colloqui tra una delegazione sami, Bkw e Credit suisse.

 

Qual è la situazione dei sami in Norvegia?

Sulla carta, i sami hanno ampi diritti in Norvegia: possiedono un proprio Parlamento, come in Svezia, e inoltre sono protetti, a differenza degli altri tre paesi in cui vivono, dalla Convenzione 169 dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), che riguarda diversi aspetti della vita delle popolazioni indigene tra cui la cultura, il lavoro e la sicurezza sociale. In realtà, però, la situazione dei sami è diversa. Questa popolazione è troppo poco coinvolta nei processi decisionali.

 

Perché questo progetto mette a rischio la cultura dei sami?

Storheia è la più importante area di pascolo invernale di una comunità di allevatori di renne della comunità meridionale dei sami, Åerjel Njaarke Sijte. La turbina eolica rende impossibile l'utilizzo di circa il 44 per cento dei loro pascoli invernali. Questa perdita significherebbe la rinuncia delle rimanenti famiglie di allevatori al loro tradizionale sostentamento. La cultura sami è strettamente legata all'allevamento delle renne; attraverso di essa vengono mantenute e preservate l'identità e la lingua. Tuttavia, a causa dell'impatto dei progetti economici, della silvicoltura e del cambiamento climatico, solo il 10 per cento circa dei sami è ancora coinvolto nell'allevamento delle renne. Questo progetto viola diversi accordi.

 

Qual è l’obiettivo di questo reclamo nei confronti di Bkw?

Il meccanismo di reclamo presso l'Ocse non è uno strumento giuridicamente vincolante, ma una procedura di mediazione basata sul dialogo. Ci aspettiamo che Bkw accetti il processo di mediazione anche perché il caso è esemplare rispetto ai suoi futuri progetti. Negli ultimi anni Bkw è diventata una multinazionale ma le linee guida interne in materia di responsabilità aziendale e diritti umani non soddisfano più gli standard che ci si aspetta da un'azienda di queste dimensioni.

 

Con l’iniziativa per multinazionali responsabili, la vostra organizzazione avrebbe più strumenti per difendere i diritti delle popolazioni indigene?

Il processo di mediazione richiesto presso il Punto di contatto nazionale, addetto alle linee guida Ocse per imprese multinazionali, è per noi la giusta strada da seguire in questo caso. Questo strumento non sarebbe però sufficiente in caso di grave infrazione dei diritti umani. Soltanto l’iniziativa prevede infatti la possibilità di infliggere sanzioni nei confronti delle multinazionali.   

Pubblicato il

16.01.2020 14:08
Mattia Lento