Colletti sporchi

Due oligarchi russi finiti sotto sanzione figurano tra le prime dieci fortune della Svizzera. Un terzo è finito nelle nuove sanzioni europee. Altri miliardari vicini al Cremlino hanno investito in alcuni fiori all’occhiello dell’industria elvetica. La Confederazione è inoltre la principale piattaforma mondiale del commercio di materie prime estratte in Russia. Dati, questi, che ci danno una fotografia di come l’economia svizzera sia stata infiltrata da uomini vicini a Vladimir Putin che qui hanno trovato il luogo ideale per vivere e coltivare affari.

Giugno 2019, i ministri degli esteri Ignazio Cassis e Sergej Lavrov inaugurano con un brindisi la nuova ambasciata svizzera di Mosca. La festa costa circa 700.000 franchi, di cui 550.000 sono offerti da sponsor privati. Tra le varie aziende elvetiche che non hanno mancato l’evento spicca un nome dalle tipiche sonorità russe: Volga Group. È il fondo che gestisce le attività del magnate Gennady Timchenko, già all’epoca uno degli oligarchi più controversi e più vicini a Vladimir Putin. Quando, nel 2014, era finito nella lista delle sanzioni americane in seguito all’annessione della Crimea, Timchenko era stato costretto a vendere le sue azioni in Gunvor, il colosso delle materie prime da lui stesso co-fondato e che, dal 2003, è insediato a Ginevra.

 

Gunvor è l’emblema del legame tra il petrolio russo e una città dove viene commercializzato l’80% dell’oro nero estratto dal gigante euroasiatico. Un legame che si è concretizzato con la caduta dell’Urss, come ci spiega Agathe Duparc, giornalista d’inchiesta che lavora per l’Ong Public Eye e profonda conoscitrice del mondo russo: «Le massicce e brutali privatizzazioni in Russia unite all’incapacità di questi nuovi attori di commercializzare la propria produzione sui mercati occidentali e di ottenervi i crediti, hanno portato alla creazione di società commerciali specializzate nel petrolio di queste regioni. Gunvor è l’esempio più eclatante di un’impresa nata dal nulla che, in poco tempo, ha cominciato a fatturare miliardi di dollari grazie al suo accesso privilegiato al mercato russo, in particolare alla compagnia statale Rosneft».

 

Per molti osservatori, il repentino successo di Gunvor è dovuto proprio ai legami strettissimi tra Timchenko e Putin. L’oligarca è di casa a Ginevra dove possiede una villa stimata a 18 milioni e dove la sua fondazione Neva sponsorizza decine di eventi culturali. Soldi che fanno girare l’economia e che non puzzano. Nemmeno quando Gunvor viene condannata nel 2019 dalla Procura federale per fatti di corruzione in Africa. Poi arriva la guerra e Timchenko – quinta fortuna svizzera secondo Bilan con un patrimonio di 21 miliardi di franchi – diventa persona non grata e finisce nella blacklist del Consiglio federale.

 

Con lui anche un altro top-ten della graduatoria dei miliardari: Alisher Usmanov, alla guida di un impero che spazia dalle miniere all’industria fino alla telefonia e con conti milionari a Credit Suisse e Julius Bär. Anche lui è un fedelissimo del presidente: è finito sulla lista per il fatto di avere aiutato Putin a mettere in riga la stampa comprando il quotidiano Kommersant per dargli una linea pro Cremlino. Usmanov è la decima fortuna svizzera, con un patrimonio di 15 miliardi. Secondo Bilan, il suo rifugio è il Canton Vaud.

 

In questi giorni, tramite un insolito comunicato, il Consiglio di Stato vodese ha precisato che l’oligarca «non risiede nel Canton Vaud e non possiede un permesso o un permesso di soggiorno in Svizzera». Persona non grata anche lui: meglio distanziarsene. Soltanto a novembre 2021, Usmanov era stato rieletto per acclamazione a Losanna alla guida della Federazione internazionale di scherma.

 

Il 9 marzo, Andrey Melnichenko, ottava fortuna svizzera è invece finita nella lista delle sanzioni europee. Il suo nome non è ancora finito nella lista svizzera, ma l’oligarca si è già dimesso dal ruolo di direttore esecutivo del consiglio d’amministrazione di EuroChem, un gigante delle materie prime basato a Zugo. La società ha affermato in un comunicato che il miliardario basato a San Moritz si è "ritirato come principale beneficiario" del gruppo EuroChem.

 

In totale, nella classifica dei 300 più ricchi della Svizzera troviamo 21 cittadini originari dell’ex Urss che qui hanno acquisito molti beni immobiliari e beneficiano dei cosiddetti permessi dorati. Non tutti sono sotto sanzione in Svizzera, come è il caso di un altro intimo di Putin, Viktor Vekselberg, la cui fortuna proviene dai metalli e dal petrolio, ma che ha acquistato importanti partecipazioni in alcuni storici gruppi industriali svizzeri come Sulzer e Oc Oerlikon.

 

I motivi che spiegano l’attrattività della Confederazione per gli oligarchi russi sono diversi. Sergio Rossi, professore di macroeconomia all’Università di Friborgo, evidenzia i principali: «Da un lato possono mettere in sicurezza i loro patrimoni finanziari, al riparo dal rischio di una loro parziale o totale confisca da parte del potere politico. Così facendo, questi patrimoni sono anche ampiamente sottratti all’imposizione fiscale, grazie pure alla possibilità di beneficiare della procedura di tassazione semplificata che la Svizzera applica ai globalisti, che spesso e volentieri restano nell’ombra. Dall’altro lato, la Svizzera offre un’ottima qualità di vita e una stabilità economica, oltre a trovarsi in una posizione molto interessante geograficamente. Ciò facilita gli interscambi commerciali con i paesi membri dell’Ue e che rappresentano una quota importante del commercio mondiale, permettendo agli oligarchi di penetrare questi mercati con maggiore facilità anche grazie alla reputazione della Svizzera, ben migliore di quella della Russia nell’economia globale».

 

Rispetto al passato, e seppur in ritardo, la Svizzera oggi sembra avere preso delle misure molto più severe e in linea con i suoi vicini. Dell’efficacia di queste misure, però, Sergio Rossi non è molto convinto: «Non credo che queste sanzioni avranno gli effetti auspicati, ossia indurre Putin a interrompere i conflitti in Ucraina e ritornare sui propri passi. Queste sanzioni, infatti, colpiscono solo una piccola parte degli oligarchi russi, mentre sarebbe necessario colpire tutti i multimilionari di quel paese che traggono profitto dalle scelte di Putin, affinché l’insieme di queste persone faccia pressione su di lui per indurlo a ritirarsi dall’Ucraina». Per il professore vi è anzi il rischio che queste sanzioni avranno effetti negativi nelle economie occidentali «sia sul piano finanziario sia su quello commerciale, tramite un forte e rapido aumento dei prezzi delle principali materie prime energetiche o agricole, che a breve termine si tradurrà pure in un aumento dei prezzi al consumo nelle economie occidentali, già alle prese con le conseguenze economiche negative della pandemia».

 

Da parte sua, Agathe Duparc riconosce che la Svizzera ha assunto un po’ più le sue responsabilità rispetto al passato. L’esperta sottolinea però che il Consiglio federale dovrebbe agire nel settore delle materie prime: «Il petrolio e il gas sono il carburante per il forziere di guerra del presidente dato che più del 40% del bilancio della Russia proviene da queste materie prime. Ciò che mostra la necessità di regolare il settore in Svizzera con strumenti che permettano di garantire una maggiore trasparenza e una diligenza efficace. Dal 2014, Public Eye chiede per questi la creazione di un’autorità di sorveglianza sul settore delle materie prime sul modello della Finma».

 

A riprova dell’importanza strategica giocata dalle materie prime e dei suoi legami con la guerra vi è anche la questione del gas. Al centro delle discussioni vi è stata in queste settimane la vicenda inerente al gasdotto NordStream2 guidato dal gigante statale Gazprom. Il consorzio NordStream2 ha sede a Zugo dove ha appena licenziato 140 persone. È il prezzo da pagare per una guerra che, inevitabilmente, è anche economica. Postilla finale: anche NordStream2 era tra gli sponsor che hanno finanziato la festa per l’inaugurazione dell’ambasciata svizzera a Mosca. Erano solo tre anni fa. Un altro mondo.

 

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I padroni dell’acciaio sono di casa in Ticino


I carabinieri non credevano ai loro occhi quando, qualche giorno fa, sono saliti sul Lady M, il megayacht di Alexey Mordashov, l’uomo più ricco di Russia secondo la rivista Forbes e vicinissimo al presidente Putin. L’imbarcazione, ormeggiata a Imperia (Liguria), dispone addirittura di una pista d’atterraggio per elicotteri. Lo yacht è lungo 65 metri: 1 milione al metro, per un valore totale di 65 milioni di euro. Alexey Mordashov è finito nella lista delle sanzioni dell’Ue riprese lo scorso 4 marzo dalla Svizzera. L’uomo è a capo di un impero dell’acciaio che si estende fino al Ticino. A Manno, infatti, ha sede la Severstal Export Gmbh, una società d’import-export di acciaio controllata dalla casa madre russa. Stiamo parlando di uno dei più grandi gruppi siderurgici del Paese controllato da Mordashov sin dal 1992. La presenza di Severstal in Ticino non è casuale: Lugano è infatti un importante centro del commercio mondiale di acciaio. Tre dei più grandi produttori siderurgici di tutta la Russia hanno qui la propria antenna commerciale. Oltre al gruppo del sanzionato Mordashov, a Paradiso vi è anche una filiale del colosso Nlmk, di proprietà di Vladimir Lisin. Si tratta di un’altra super fortuna di Russia, già numero uno nel 2010 e 2011. A differenza di Mordashov, Lisin è considerato più discreto e meno immischiato nella politica. A Lugano vi è poi l’unità commerciale della Mmk, un grosso produttore siderurgico di Magnitogorsk, controllato dal magnate Viktor Rashnikov. Nel 2018 quest’ultimo era stato inserito in una lista degli oligarchi di Putin dal Dipartimento del tesoro americano.

 

Pubblicato il 

15.03.22
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