Il nuovo che avanza

Nel giro di una settimana due "case vecchie" sono state cancellate dalla mappa del centro di Lugano. Oh, non erano certo palazzi storici! Una poi era proprio modesta, col tetto in coppi, le persiane di legno marrone un po' sbilenche. Ci stava qualcuno per brevi periodi: operai con un lavoro temporaneo in qualche cantiere dove magari si buttava giù un'altra "casa vecchia". Nel giardino due alberi da frutta. Due pruni. Nel centro di Lugano! Un po' schiacciati dal muro di una lavanderia chimica ma comunque due pruni che in primavera si riempivano di tanti fiori rosa.
La seconda casa era già più elegante. Con la terrazza sormontata da due colonnine di tipo neoclassico, il balcone centrale in ferro battuto e davanti un gran giardino recintato. Da anni ormai si riempiva di erbacce alte più di un metro. Era una di quelle case che ti facevano ricordare com'era quel quartiere di Lugano prima che si decidesse che lì doveva crescere la città. Un susseguirsi di villette, giardini con roseti e siepi sagomate. Ne esistono ancora di strade così: a Zurigo, a Berna, a Basilea. A Lugano no.
Succede così: una volta delimitata l'area arriva la macchina. Potente e infallibile, la ruspa afferra e tira.
Si avvicina, allunga il braccio, appoggia la sua mandibola dentata con precisione e tira. I muri vengono giù come fossero di cartapesta. Di separazione dei rifiuti non si parla neppure. Persiane di legno, lavandini di ceramica, vasche da bagno, cantine a volta, omini di ghisa che tenevano ferme le persiane, specchi del bagno, assi del pavimento. Tutto va a pezzi sotto quella zampata implacabile. Un po' di polvere e un odore di vecchie mura riempiono l'aria per alcuni minuti. La macchina avanza di nuovo. Allunga la sua zampa e…oh! si ferma davanti a uno dei pruni carico di piccoli frutti. Sposta di poco il braccio, facendo attenzione a non urtare i rami, che la sera e il mattino presto ancora si riempiono del cinguettio dei passeri e delle cinciallegre. L'albero è salvo. Tutti e due sembrano salvi. Forse sono abbastanza lontani dal perimetro del futuro palazzo. Alla fine della giornata di lavoro i passeri si fiondano fra i rami e fanno un gran casino. Il mattino alle otto il sole spunta dietro il Monte Bré. Arriva un ragazzone in maglietta col casco di plastica rosso. Un orecchino gli luccica sul lobo. Dal suo braccio abbronzato pende una motosega. Con calma ci infila il combustibile, tira il filo di accensione. Si avvicina all'albero, lo taglia di netto. Si avvicina al secondo, lo sfronda quel tanto che basta e poi appoggia la lama alla base del tronco. Un lavoro pulito. Non più di dieci minuti. Quando torna il silenzio riecco il passero. Si avvicina rapido, sicuro di trovare i suoi rami ma non ci sono più. Vola sul posto, sbatte le ali, niente appoggi. Atterra nella polvere, gira a vuoto, beccuzza qualcosa e riprende il volo. Dovrà trovarsi un altro albero in città. Un nuovo domicilio temporaneo.

Pubblicato il

27.04.2007 14:00
Cristina Foglia
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