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«Il nostro lavoro è essenziale per la società»

Asili nido e doposcuola sono istituzioni fondamentali per la parità, eppure la parola d’ordine è sempre quella: risparmiare. La testimonianza dell'educatrice Mia Egić, del collettivo Trotzphase, nel giorno – il 14 giugno, data simbolo per le donne – in cui il Consiglio federale ha respinto l'iniziativa sugli asili nido.

Mia Egić (33 anni) è educatrice in un doposcuola ed è impegnata nel collettivo sindacale “Trotzphase”, che si batte per migliorare le condizioni di lavoro nel settore in un momento storico in cui il profitto sembra essere l’assoluta priorità. «Siamo stanchi che la nostra professione sia sminuita. Il nostro compito non è semplicemente quello di ‘custodire’ dei bambini. Il nostro lavoro è essenziale», afferma Egić.

 

La donna è attiva come educatrice da 12 anni. Dopo aver completato la sua formazione, Egić ha lavorato in un asilo nido e ora è impiegata in un doposcuola da sei anni. Le mansioni sono diverse: mentre nell’asilo nido i bambini vengono allattati, nutriti e intrattenuti con il gioco, nel doposcuola le assistenti all’infanzia aiutano i bambini a fare i compiti e a svolgere altre attività.

La retribuzione è solitamente molto bassa, indipendentemente dalla sede di lavoro. Egić spiega: «Uno stipendio lordo di 4.200 franchi al 100% è la norma per un’educatrice in un asilo nido. È troppo poco per poter vivere una vita indipendente e di qualità nella città di Zurigo». Ma non solo.

 

La mancanza di personale

Le misure di austerità rendono difficile la vita quotidiana di un asilo nido o di un doposcuola. «Il numero di bambini accolti in un asilo nido o in un doposcuola viene calcolato per metro quadro», spiega la professionista. Secondo Egić, questo dimostra come oggi gli asili nido puntino soprattutto al profitto.

«Quello che mi piace del mio lavoro è sostenere i bambini nel loro sviluppo e lavorare con i genitori e le scuole per ottenere il meglio da loro. Tuttavia, la ricerca del profitto e la concorrenza tra i centri rendono tutto ciò sempre più difficile».

Si tratta di una tendenza allarmante, soprattutto per quanto riguarda la carenza di personale: le persone qualificate abbandonano la professione a causa delle pessime condizioni di lavoro.


Soltanto per le famiglie più ricche

Sempre meno personale e sempre più bambini. È normale quindi che le esigenze di questi ultimi possono essere sempre meno soddisfatte. Allo stesso tempo, la politica chiede che le istituzioni di assistenza all’infanzia si posizionino come centri educativi professionali e assumano sempre più compiti pedagogici. Secondo Egić, però, si tratta di una contraddizione in termini, perché mancano le risorse e la riduzione dei costi sta distruggendo ulteriormente l’immagine della professione.

Inoltre, i prezzi dei servizi per l’infanzia stanno diventando sempre più inaccessibili. Egić conosce esempi in cui sarebbe più conveniente per una famiglia se la madre rinunciasse al lavoro e si occupasse lei stessa del bambino. «Potersi permettere l’asilo nido oggi è una questione di classe. I ricchi non hanno problemi, mentre ai bambini delle classi meno agiate è negato ancora di più il diritto alle pari opportunità. Mancano buone condizioni di lavoro nell’assistenza all’infanzia e questo è il motivo per cui c’è una carenza di manodopera qualificata. Per cambiare questa situazione, abbiamo bisogno di rinforzi nel collettivo Trotzphase. Perché, se ci organizziamo insieme contro queste condizioni, possiamo ottenere un cambiamento».

L'intervista

Le donne migranti e la rivoluzione

degli asili nido

 

Francesca Falk, storica esperta di migrazioni, lo sa bene: è anche grazie alle lavoratrici migranti, alle loro lotte, se in Svizzera c’è ora una buona rete di strutture di custodia per l’infanzia.

 

Francesca Falk, le donne migranti erano un passo in avanti rispetto alla Svizzera?

L’emigrazione italiana ha esercitato un’influenza molto forte sulla Svizzera negli anni del secondo dopoguerra. L’Italia ha introdotto prima della Svizzera alcuni diritti sociali e politici a favore delle donne: l’assicurazione di maternità, il principio di uguaglianza tra i sessi e il suffragio femminile. Ci sono state differenze anche in termini di diritto matrimoniale. In questo Paese, fino al 1976 le donne avevano bisogno del permesso del marito per lavorare. Negli anni Sessanta, in Svizzera entrambi i genitori delle famiglie migranti lavoravano perché un unico reddito non era sufficiente per tutta la famiglia. Questo non accadeva tra la classe media svizzera. In termini di uguaglianza, la Svizzera era arretrata in molti settori e lo è ancora per certi aspetti.

 

Cosa c’entra tutto questo con l’assistenza all’infanzia?

A causa del loro lavoro e della mancanza di reti familiari, le coppie immigrate avevano maggiormente bisogno di posti negli asili nido. Per soddisfare la domanda di manodopera straniera da parte dell’economia svizzera durante il boom economico la rete di asili nido è stata ampliata, con la Missione Cattolica, ad esempio, che ha creato le proprie strutture. Anche le aziende, come la fabbrica di calze Rohner a Balgach, si occupavano dei figli dei loro operai. Soprattutto le classi lavoratrici dovevano affidare i propri figli a un asilo nido, spesso associato allo stigma della povertà.

 

Perché in passato l’assistenza all’infanzia esterna alla famiglia provocava così tanta diffidenza tra il popolo svizzero?

Le ragioni erano molteplici. Una di queste era la guerra fredda: con la contrapposizione tra Est e Ovest gli asili nido assunsero una connotazione comunista. All’epoca la Svizzera era molto anticomunista e questo ha contribuito alla percezione negativa degli asili nido. Inoltre, l’assistenza all’infanzia esterna era anche screditata scientificamente. Il noto psichiatra infantile statunitense John Bowlby sostenne, intorno al 1944, che la rottura del legame madre-bambino era la causa principale della delinquenza giovanile. Secondo lui, un neonato può formare un legame emotivo solo con una persona, che per lui era la madre. Per questo motivo Bowlby era contrario al fatto che le madri lavorassero. Questa visione scientifica rafforzava la convinzione che l’occupazione femminile fosse incompatibile con il ruolo di madre. L’idea dell’asilo nido come opportunità per tutti gli strati sociali è arrivata tardi in Svizzera.

 

Quando?
Nel dopoguerra, l’idea prevalente in Svizzera era che una famiglia dovesse essere sostenuta economicamente dal padre e la madre rimanesse a casa. Le famiglie fino al ceto medio potevano permetterselo. Tuttavia, la situazione iniziò a cambiare verso la fine degli anni Sessanta. Sulla scia del movimento del 1968, emerse il cosiddetto nuovo movimento femminista, che si batteva per una diversa divisione dei ruoli tra i sessi. D’altra parte, le due crisi del prezzo del petrolio degli anni Settanta hanno lasciato il segno anche sull’economia svizzera. Di conseguenza, molti immigrati dovettero lasciare la Svizzera perché licenziati. Di conseguenza, si sono liberati posti negli asili nido, aprendo l’offert a alle famiglie svizzere della classe media. L’immagine di queste istituzioni per l’infanzia è cambiata ed è diventata accettabile per le classi medie e alte.

Pubblicato il

14.06.2024 14:51
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