Due gallerie, due record. Quando fu inagurata nel 1980, la galleria stradale del San Gottardo poteva vantarsi di essere la più lunga al mondo nel campo stradale. Il prossimo 15 ottobre si festeggeranno i 57 chilometri di scavo della nuova galleria ferroviaria del Gottardo, che segnano un nuovo record mondiale. Area ha voluto mettere a confronto due protagonisti dei due primati mondiali. Gerardo Castucci ha lavorato per dodici anni alla galleria stradale, mentre Leandro Viotti ne ha trascorsi sei sul cantiere Alptransit in Ticino. Con loro abbiamo cercato di capire le similitudini e le differenze nella vita e nelle condizioni di lavoro degli operai che hanno lavorato nei due trafori a distanza di 30-40 anni.

Il minatore è un mestiere particolare. A volte si ha l'impressione che sulla durezza del lavoro si sia costruito un mito. Confermate?
Gerardo Castucci: Duro è duro, e lo era ancora di più quando avevo cominciato negli anni '60. Poi è vero che ci si ricama anche sopra. Negli anni '60 tutti i minatori dovevano avere la barba…
Leandro Viotti: Il mio primo giorno di lavoro in galleria, alla fine degli anni '80, avevo i guanti: i colleghi me li hanno stracciati e buttati via, dicendo che i preservativi servono ad altro. Ma non era nonnismo. Al fronte impari in fretta a diventare malizioso sul lavoro. Per esempio quando incontri l'acqua: e allora ne prendi tanta. È così che impari a farti rispettare: non perché sei il capo, ma perché hai occhio sul mestiere, perché tiri fuori la classe. Oggi invece il primo pivello che arriva pensa di insegnarti delle cose che tu sai con l'esperienza che non si possono fare. Oggi non interessa a nessuno la tua esperienza. Interessano i metri e basta.
Viotti, è orgoglioso di aver lavorato alla costruzione della galleria più lunga del mondo?
Viotti: Certo, perché non tutti hanno partecipato a costruire questa galleria. È una cosa d'importanza mondiale. Non faccio salti di gioia, ma l'orgoglio c'è. Di opere di questo genere non se ne fanno tutti i giorni. Soprattutto mi inorgoglisce la costanza di essere rimasto tutti questi anni a lavorare in quel cantiere. Lui ne ha fatti 12 al Gottardo, io sei qui all'Alptransit. Certe volte ti viene da dire che potresti fare a meno di fare quel lavoro, di entrare dentro lì. Però ci sei e lo fai. E alla fine puoi dire: io ci sono stato, senza nessun obbligo, ma perché mi sono impuntato a rimanerci fino alla fine.
Castucci: È vero, ma ora il mio orgoglio un po' si attenua. L'Alptransit è un progetto molto più grande e importante, al confronto la nostra galleria autostradale pare poca cosa. Eppure all'epoca sembrava un'ope-
ra grandiosa. Per questo un po' invidio chi ha lavorato all'Alptransit.
Lei Castucci negli anni '60 aveva lavorato alle gallerie degli impianti idroelettrici. Al Gottardo si sentiva un privilegiato?
Castucci: Sì, perché al Gottardo c'erano i macchinari, e avevamo condizioni di lavoro migliori. Lo stipendio era sui 4 mila 500 franchi, con gli straordinari arrivavi anche a 5 mila. Più del doppio dei cantieri esterni.
Come ricorda le condizioni di lavoro in galleria negli anni '70?
Castucci: Era dura. Il foraggio era manuale, e la pulizia della roccia dopo l'esplosione la si faceva pure a mano, con il parachino. Soprattutto ricordo che era caldo, caldissimo. Arrivati agli 8 chilometri eravamo a 42 gradi. Sembrava di morire per il caldo e l'umidità. La ventilazione era scarsa. I macchinari erano a scarico diretto, quindi respiravamo i gas di scarico. E in galleria si creava una nebbia azzurina.
Le misure di sicurezza come erano? Venivano rispettate?
Castucci: Mica tanto. Dopo il brillamento, si aspettava una decina di minuti che la nebbia si dissolvesse un attimo, poi ci si metteva il fazzoletto sul viso per proteggersi dalla polvere e si andava. Da parte delle imprese l'impegno a favore dellla sicurezza era insufficiente. Ma una parte di responsabilità l'avevamo noi operai e l'ignoranza di alcuni di noi. Anche la pressione dei premi dati per i metri di avanzamento fatti durante la giornata portava a trascurare la sicurezza. Te li pagavano in contanti ogni giorno, a fine turno. Per la sicurezza era centrale l'assistente. Noi ne avevamo uno di Belluno, alto due metri. Quando lui diceva di no, era difficile andargli contro…
Viotti: Oggi c'è stato un arretramento dei diritti perché è peggiorata la qualità dei capi. Una volta quando eri nuovo del mestiere il capo ti istruiva al lavoro gradualmente, ti insegnava il mestiere. A partire dalle cose più semplici per arrivare a quelle più rischiose. Perché se fai una fesseria laggiù non metti in pericolo solo la tua di vita, ma anche quella dei colleghi. Oggi invece ti mandano subito allo sbaraglio senza alcuna formazione. Sei solo una risorsa umana e basta.
Allora Castucci come spiega i 19 morti della galleria autostradale, più di uno al chilometro?
Castucci: Molti incidenti avvenivano per delle stupidaggini, ad esempio perché i camion che portavano fuori il materiale andavano troppo veloci o passavano troppo vicino a chi lavorava. Schiacciati dalla roccia ne sono morti due, gli altri sono stati uccisi soprattutto da incidenti con macchinari. Ma erano altri tempi. Un minatore ha perso una gamba, tranciata dalla pala di un trax guidata da un collega: i due di notte stavano tentando di sottrarre un cristallo che avevano scoperto in galleria.
Com'era il rapporto fra voi operai della stessa squadra?
Castucci: Avevamo un grande spirito di squadra. Con la squadra con cui ho lavorato al Gottardo, ho poi condiviso numerosi altri cantieri. Siamo rimasti insieme per trentacinque anni. Quando la ditta spostava di cantiere l'assistente, si andava tutti.
Viotti: Adesso questo spirito non esiste più, perché i quadri ai piani superiori non vogliono più un legame di squadra così forte. Gli dà fastidio. Cercano sempre di separare gli elementi più in vista. Già un solo elemento perturbatore è troppo, figuriamoci una squadra. Dal loro punto di vista è pericoloso.
Dunque oggi non si mira più a costituire squadre affiatate e coese, che danno anche migliori garanzie di sicurezza?
Viotti: Oggi quando metti piede in cantiere, sanno già tutto di te, la tua scheda è già arrivata. Sanno già che tipo sei. E stanno bene attenti a non mettere insieme due o tre personalità forti. Se vedono che legano ma lavorano bene, li lasciano stare. Ma li tengono d'occhio.
Come sono cambiati i turni?
Castucci: Da noi si lavorava su tre turni, 15 giorni di notte e 15 di giorno. Si facevano turni di due settimane così uno prendeva il ritmo e si abituava a dormire. Non c'era giorno di riposo, si lavorava sette giorni su sette e quando smettevi il turno era quello il riposo. Quanto alle ferie, nessuna oltre le quattro settimane classiche in cui si chiudeva il cantiere.
Viotti: Ho avuto il lavoro organizzato su diversi modelli di turni. Quello più pesante era il 10 - 4.  Quando fai 4 notti fino alle 6, e inizi subito il pomeriggio seguente alle 15 per altri 4 giorni, arrivi alla fine che sei annientato. Ora faccio il 5 - 2, lavoro per 2 settimane la notte, 2 settimane il pomeriggio e le altre il mattino. Così è molto meglio. Nei due anni che facevo il 10 - 4 sono aumentato di una dozzina di chili, mangiando meno di prima. Fare quel turno ti sballa tanto, il corpo ne risente.
E sulle condizioni di vita sul cantiere che giudizio date?
Castucci: Gli alloggi erano in baracche. Io stavo a Göschenen. Erano in ordine, anche se si dormiva in tre in stanze di 4 metri per 4 e ci toccava pagare quasi mille franchi dell'epoca. La mensa era pagata dalla ditta, se mangiavamo fuori dovevamo pagare.
Viotti: All'Alptransit invece siamo alloggiati in camere singole, che paghiamo circa 13 franchi al giorno. È molto meglio. E posso scegliere dove andare a mangiare: anche se non vado in mensa non pago.
Sui vostri cantieri hanno convissuto diverse nazionalità diverse. Come è andata?
Castucci: Ai nostri tempi non c'era grande convivenza. Spesso si finiva a botte, specie al venerdì o al sabato sera, quando qualcuno beveva più di quel che poteva sopportare.
Viotti: Questi estremi non li ho vissuti. Da noi ci si rispetta, anche se per finire italiani e tedeschi non legano.
Come avete vissuto il lavoro del sindacato sul cantiere?
Viotti: In maniera molto diversa fra Svizzera tedesca e Ticino. Qui si sente la sua presenza, il sindacato interagisce e s'interessa dell'operaio. In Svizzera tedesca invece avevo quasi perso la fiducia nel sindacato. Appena arrivato sono venuti in cantiere, mi hanno iscritto e poi non li ho più visti. Forse nella Svizzera tedesca il sindacato dev'essere meno presente perché le imprese lavarano più seriamente, con più rispetto per l'operaio. Ma del resto anche in Italia, almeno in galleria, di sindacalisti non se ne vedono.
Castucci: È vero, a nord delle Alpi c'è più serietà e precisione. Anche da noi però i sindacati arrivavano per iscriverti e poi non li vedevi più. Erano inesistenti. Non hanno mai fatto nulla in nessun campo, nemmeno in quello della sicurezza.
Castucci, com'era il rapporto con il territorio che vi ospitava?
Castucci: A Göschenen era tremendo il posto, ma le persone erano bravissime. Li conoscevamo quasi tutti. Si comportavano con rispetto nei nostri confronti. Ho lavorato anche nei Grigioni, e lì era ancora meglio che nel canton Uri: la gente si toglieva il cappello quando ci incontrava anche se non ci conosceva. Dai ticinesi ho avvertito meno rispetto. Il Ticino mi sembra un po' più razzista. Ma sono stato fortunato: ai miei tempi a Zurigo gli italiani non potevano entrare in certi bar o ristoranti. Se entravi era a tuo rischio e pericolo.
E com'è oggi il rapporto con il vostro paese di origine?
Castucci: All'inizio il progetto era di lavorare alcuni anni in Svizzera per poi tornare definitivamente a casa mia, ad Avellino. Quando c'era James Schwarzenbach, quello che con le sue iniziative diceva che tutti gli italiani dovevano andare a casa, mi dissi: «Finalmente è la volta giusta che torno». Poi lui ha perso la votazione e non se ne è più parlato. Nel frattempo io mi sono sposato. All'inizio era duro per mia moglie, non trovava lavoro e si annoiava. Poi lo ha trovato, sono nati i figli, e ora a tornare giù non ci penso nemmeno.
Viotti: Sono libero, non ho famiglia, e se non avessi ancora i genitori a Brescia, non mi dispiacerebbe venire a vivere qua, mi piace.
Che ricordo portate con voi del "vostro" tunnel del Gottardo?
Castucci: Il ricordo più brutto è l'inizio dello scavo. La prima settimana eravamo tutti pronti ad andarcene. Le condizioni di lavoro erano pessime, si avanzava poco, tutto franava giù e quando uscivi la mattina tutto era ricoperto da enormi colonne di ghiaccio. Dopo le cose sono migliorate e sono rimasto dodici anni. Quando abbiamo finito, mi è dispiaciuto andar via da Göschenen. Il momento più bello è la fine. Ti dici: Oh, adesso posso passarci anch'io sotto il Gottardo in macchina. La prima volta che l'ho fatto, ho preso la multa. Avevo sorpassato in galleria. Ai poliziotti ho spiegato che quella galleria l'avevo scavata io. Uno voleva lasciarmi andare senza multa, l'altro invece ha insistito per farla. Comunque arrivare alla fine del lavoro è così bello che mi sarebbe piaciuto fare l'ultimo pezzo di scavo qui all'Alptransit.
Viotti: I momenti più brutti sono legati al caldo e allo stress di fare avanti e indietro col treno di cantiere. Il momento più bello sarà certamente la caduta dell'ultimo diaframma. Venerdì ci sarò anch'io, è un momento che voglio godermi.
È vero che la galleria è come un virus, che una volta entrati non si vuole più lavorare all'esterno?
Castucci: È vero. Ho fatto fatica dopo a lavorare fuori. Su un cantiere esterno, tutti ti guardano mentre lavori, invece dentro ti senti meno osservato, più libero.
Viotti: Lavorare in galleria è speciale, e alla fine se non lo fai ti manca. È una droga. Ti senti più vivo, c'è più adrenalina. Ma è vero che anche i soldi, la differenza di guadagno rispetto ai cantieri in superficie, hanno la loro importanza.
Che rapporto avete con Santa Barbara?
Viotti: È molto sentita, anche se oggi la tradizione sta un po' scemando. Al mio paese siamo molti minatori, quindi la festeggiamo anche lì. Per me è una tradizione che deve rimanere. Devi sapere da dove vieni per sapere dove vai.
Castucci: Io la festeggio ancora oggi. Tutti gli anni mi trovo con alcuni colleghi di lavoro dell'epoca e con le nostre famiglie il 4 dicembre, giorno di Santa Barbara, per renderle omaggio. C'è anche l'assistente e la sua famiglia.

Pubblicato il 

08.10.10

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