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Il museo del Kosovo, “povero ma ricco”
di
Enrico Ärmlein
Prishtina, 6 giugno 2004 L’unico edificio del diciannovesimo secolo di Prishtina appartiene al museo del Kosovo. I Turchi se lo erano fatti costruire da architetti austriaci e originariamente fu utilizzato per scopi militari. Fino al 1975 venne in effetti utilizzato come base militare, dapprima dai Turchi, in seguito dall’esercito jugoslavo. A partire dalla fine del 1999 il museo del Kosovo – anche se in condizioni difficili – è di nuovo in funzione e semi-agibile: attualmente non vi sono degli spazi adatti (i piani alti dell’edificio sono occupati dalla Comunità Europea, impegnata nella ricostruzione della regione), il materiale utilizzato è obsoleto e non adatto alla situazione, molti oggetti – soprattutto di valore – non si trovano più in loco ma a Belgrado. Si sta tentando di mediare e di esigere per vie diplomatiche il ritorno dei beni culturali kosovari. Due anni fa l’amministratore generale della missione di pace delle Nazioni Unite in Kosovo (Unmik) Steiner è riuscito a riportare da Belgrado una statuetta degli Illiri al museo. Il museo è amministrato direttamente dal dipartimento dell’Unmik. «Oggi qui al museo sono attivi ventidue collaboratori, si tratta in parte di “vecchi” impiegati kosovo-albanesi del museo», spiega Kemajl Luci, direttore uscente ed ora direttore delle ricerche e del reparto archeologico del museo. L’eredità etnografica del Kosovo è enorme: costumi, gioielli, arti rigorosamente tradizionali. Questo ha sempre dimostrato la volontà della popolazione della regione di distinguersi anche attraverso i capi tradizionali. Il carattere orientale, il sistema feudale e la mentalità commerciale si erano stabiliti lentamente: la presenza dei Turchi inglobò la regione per 500 anni nell’Impero Ottomano. La permanenza dapprima dei Romani, dei Bizantini ed infine dei Turchi è stata la base per uno sviluppo di un’architettura e di una cultura speciali al sud dei Balcani negli ultimi tre secoli. La direzione del museo e i suoi collaboratori vogliono mostrare proprio queste particolarità. Non lontano dal museo si trova il complesso Emin-Gjku. «Nel palazzo e nell’edificio accanto alla residenza stiamo terminando l’allestimento del museo di oggetti etnografici», racconta Kemajl Luci. In effetti la capacità dell’edificio principale non è sufficiente per allestire una mostra. Il museo ha urgente bisogno di mezzi tecnologici per poter proteggere le varie collezioni e per sviluppare in futuro una raccolta multimediale. «Al personale manca in parte il know-how e il training, sarebbe necessario organizzare dei corsi di museolgia all’estero», aggiunge Luci. Intanto lentamente la popolazione mostra interesse. Nel museo ci sono raccolte e collezioni etnografiche, archeologiche, storiche e naturalistiche, attualmente relegate negli scantinati e accessibili solo con una quantità di chiavi sempre introvabili. «Purtroppo oggi non abbiamo i mezzi sufficienti per organizzare delle mostre o pubblicare libri, che occorrerebbero ai nostri scolari e per lo sviluppo della regione», afferma l’archeologo. «Vorremmo aprire anche un museo di storia naturale, così gli allievi delle nostre scuole e i Kosovari potrebbero conoscere meglio ed in seguito proteggere maggiormente la fauna e la flora», aggiunge Safet Nishevci, direttore del settore naturalistico e biologico del museo. Da due anni alcuni archeologi in estate stanno effettuando degli scavi nella regione di Prishtina e di Prizren. È loro intenzione iniziare un progetto archeologico di sviluppo per il Kosovo. La prima fase del progetto è stata già portata a termine l’anno scorso con la raccolta di dati per creare una cartina archeologica della regione.
Pubblicato il
11.06.04
Edizione cartacea
Anno VII numero 24
Rubrica
Lettere dai Balcani
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