Il mondo delle policrisi

È tornato il Forum economico di Davos. Già il titolo (The Global Risks) dato al centinaio di pagine del “rapporto di approfondimento” indicava il tono della rappresentazione del mondo che si davano i cosiddetti “grandi”. Nel frontespizio di quel rapporto il mondo appare quasi infiammato, con reti di connessione qua e là interrotte, su fondo di buio pesto. Emblematico?
“Crisi” è la parola ricorrente, in quel rapporto. Tanto che nell’ultimo capitolo, prima delle conclusioni, diventa “polycrises”. Insomma, il “mondo delle policrisi” è cominciato. Anche se poi si tenta di infilare il discorso di come si potrebbero anticipare le crisi, di come occorre creare correlazione tra risorse naturali, clima, cooperazione, per disegnare il futuro.


In testa alle preoccupazioni è stata collocata la “crisi del costo della vita”, con la fiammata inflazionistica, i tumulti sociali e politici che ne seguono. Poi ci sono gli accadimenti climatici estremi che stanno sempre più capitando, ma si spingono le preoccupazioni sulle conseguenze del riscaldamento climatico verso il lungo termine, verso i prossimi dieci anni. Ed è un nonsenso. Infine, ci sono i confronti-scontri
geopolitici, le guerre micidiali e quelle economiche. Sono questi, nell’ordine, i tre rischi maggiori che si presentano nell’anno 2023 secondo i 1.200 esperti, responsabili economici e politici, interrogati da Marsh McLennan (società globale di servizi professionali con sede a New York), Zurich Insurance e Forum economico mondiale.


Tre aspetti di quel rapporto, posto alla base delle discussioni del Forum, meritano particolare rilievo. Investono anche casa nostra.
La prima è che la polarizzazione politica e l’insoddisfazione di una parte crescente della popolazione «pongono una sfida esistenziale ai sistemi politici del mondo intero» e possono portare al potere partiti fondamentalmente autoritari o, benché camuffati di democrazia, ad autoritarismi veri e propri. Tutto questo non è solo accresciuto dalla «crisi del costo della vita». Che non è solo ritorno dell’inflazione, ma è diminuita capacità ad assorbire i nuovi choc mondiali che si presentano.
La seconda è che la competizione tra le grandi potenze (e la guerra in Ucraina ne è una traduzione irrazionale e tragica) avrà sempre più ripercussioni sulla facoltà dei paesi a cooperare per affrontare le crisi multiple. Ciò che non diminuirà, ma accrescerà il ritorno di crisi ambientali, geopolitiche e i rischi socioeconomici legati all’approvvigionamento e alla domanda di risorse naturali.


La terza sta appunto nell’espressione “policrisi” per definire il mondo contemporaneo. È un termine utilizzato dallo storico Adam Tooze (non ho dimenticato il suo poderoso ed eccezionale saggio: “Lo schianto: 2008-2018, come un decennio di crisi economica ha cambiato il mondo”, Ed. Mondadori 2018). Il quale dice: «Nella policrisi gli choc sono disparati, ma interagiscono tra loro in maniera tale che la totalità è ancora più opprimente della somma delle parti». Insomma, le crisi si succedono e si autoalimentano, la gravità dell’una rafforza quella che segue.
Mondo che va a catafascio, quindi? Non inevitabilmente. Nel quadro quasi apocalittico tratteggiato dal Forum c’è una luce che emerge:  è data dalla possibilità (necessità) di «agire collettivamente». Più dell’agire per conto proprio, che è invece catastrofico. Ma in Svizzera ci sarà ancora chi sosterrà, fosse solo per quel “collettivamente” − come è capitato per il clima − che è  solo ideologia.

Pubblicato il

19.01.2023 14:04
Silvano Toppi