Il mondo dei top manager e quello dei salariati

Alcune informazioni degli scorsi giorni ci permettono di constatare come gira o per chi gira l’economia. La Borsa svizzera gira a pieno volume, sembra che il coronavirus l’abbia dopata. In un anno tremendo il numero delle transazioni è aumentato del 55 per cento. Six Group, l’operatore della Borsa svizzera, ha quadruplicato gli utili.


Qualche risonanza ha provocato la notizia che nei due mesi di formazione che ha passato accanto a Sergio Ermotti, prima che questi gli lasciasse lo scettro dell’Ubs, il neodirigente Ralph Hamers ha raggranellato 4,2 milioni di franchi, due volte di più di quanto aveva ricevuto per un intero anno nel suo ruolo precedente come direttore all’Ing, un gruppo bancario olandese. Gli svizzeri pagano meglio i loro dirigenti bancari, che vanno pure a sottrarre all’estero (e neppure l’Udc si pone domande). Il suo predecessore ha ricevuto, per tutto un anno, 13,3 milioni di franchi «dopo un anno glorioso per il primo gestore di fortuna del mondo». E infatti l’utile netto di Ubs è cresciuto del 47 per cento rispetto all’anno prima, tanto da permettere anche ai dodici membri della direzione generale (dodici come per  gli apostoli, numero sacro nei consigli di amministrazione delle banche svizzere) di aumentare del 13,5 per cento il loro salario (9,6 milioni). I 3,7 miliardi di multa chiesti dalla Giustizia e 800 milioni dallo Stato francesi alla banca per riciclaggio di denaro e frode fiscale non spaventano.


Sono esempi significativi che si riscontrano  però nel metodo in altri gruppi e aziende. Ci si dice, è vero, che nei grandi gruppi quotati allo Smi (l’indice borsistico svizzero che rappresenta le principali imprese) la pandemia ha provocato in media un calo del 3,5% delle rimunerazioni dei direttori generali, rimunerazioni che si attestano comunque sulla media di 6,9 milioni all’anno.


L’iniziativa Minder che voleva riaggiustare le cose, le ha lasciate come prima. Sul piano politico si può ora rilevare una duplice attualità: il Nazionale dà via libera a un progetto che prevede di ancorare nella legislazione un tetto massimo di un milione di franchi (previdenza inclusa) per i responsabili delle sette aziende pubbliche legate alla Confederazione (Ferrovie, Posta, Ruag, Suva, Swisscom, Skyguide, Ssr) e con una debole maggioranza si è pure deciso di considerare anche altre imprese federali (Bns, Swissmedic, Scuole politecniche). Quanto non si è riusciti a legiferare per le imprese private, decretando un tetto massimo per le rimunerazioni delle aziende private o perlomeno un rapporto tra massima e minima rimunerazione all’interno dell’azienda (come voleva l’iniziativa dei giovani socialisti), lo si otterrà facilmente con le aziende pubbliche. Non per una questione etica, ma per il coltivato astio nei confronti del pubblico o del parastatale.


Due esempi per una conclusione: il presidente della Roche guadagna 253 volte più dell’impiegato meno pagato del suo gruppo; il presidente di Ubs 233 volte di più. Si giustificano queste differenze con il valore che si pretende e la responsabilità che si addossa al dirigente e che si riverberano sulla intera comunità. Gli economisti parlano di “esternalità”. Ma, ammesso il principio, è appunto quanto non si riconosce al lavoratore o al salariato comune. E cioè dell’impatto positivo dell’attività professionale di un individuo sull’economia nel suo assieme, delle esternalità positive che crea, effetti indiretti non presi in considerazione nei salari (o in bonus, come potrebbe anche essere una partecipazione ai benefici della produttività). D’altronde, prova del nove, quando le esternalità negative di un banchiere o di un finanziere sono sanzionate (mentre quelle eventuali di un semplice salariato lo lasciano subito senza lavoro e salario)?

Pubblicato il

01.04.2021 10:03
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