Il mio padrone

«Non so come faccia ad essere ancora socialista!  Ma come fa a credere ancora in un'idea così? Cosa vuole che si riesca a cambiare senza avere in mano il potere, per lo meno un bel po' di potere? Siete sempre in minoranza! E poi, scusi, ma c'è una cosa che non mi è affatto chiara. Lei continua a chiamare il mio capo "datore di lavoro". Invece è solo il mio padrone!»
«Perché?»
«Beh, la mattina mica mi chiede cosa vogliamo fare. Mi dice sempre cosa fare e come farlo, mi dice che dobbiamo fare in fretta, mi dice che davanti ai clienti devo comportarmi in un certo modo, se sbaglio mi richiama e mi dice di rimettere le cose a posto. Non mi permette di fumare durante il lavoro, mi costringe a indossare le cuffie se facciamo rumore con i macchinari, la maschera per il decespugliatore...
«E queste ultime "imposizioni" non te le proporrà  forse per proteggere la tua salute? E più in generale,  tutte queste cose che ti costringe a eseguire fanno davvero di lui il tuo padrone? Se è il tuo padrone vuol dire che utilizza il tuo lavoro, il tuo tempo, le tue energie solo a suo vantaggio. È davvero così?»
«A me pare. Beh, non si prende proprio tutto. In ­real­tà, mi dà anche un po' di cose. Mi insegna cosa fare sul lavoro, i nomi delle piante, come bisogna comportarsi in certe occasioni, mi porta con lui per vedere nuove macchine da comperare... Ma non abbiamo un rapporto alla pari, e questo non mi piace.»
«Ma tu questo mestiere lo stai imparando. Credi che se aveste un rapporto alla pari le cose andrebbero meglio? Impareresti di più? O forse meglio?»
«Non lo so. Anzi forse no, pensandoci su ! Ma che casino! Non so più cosa pensare! Forse non è il mio padrone. Ho detto una bestiata. Forse sono io che mi sento un po' il suo servo. E questo è anche peggio! Che imbecille!»
«Hai ragione. Non sull'imbecille, ma sul resto sì. Se lui si comportasse da padrone, si potrebbe intervenire e raddrizzare le cose, ma se tu ti senti un po' un servo il problema è più complesso. Perché sei tu che devi metterci una pezza. Tu sei il suo apprendista. E soprattutto tu sei il padrone della tua formazione. Sei tu in prima persona che te la costruisci. E devi essere tu a pretendere il massimo da lui, chiedendo, facendoti avanti per provare, per capire, per imparare. Ma questo costa fatica a te: ci devi mettere energia, volontà e tanta voglia di fare... E costa fatica anche a lui. Ma è molto importante. Poi se avessi bisogno di aiuto...»
«E alla fine cosa mi resterà? Oltre all'aver imparato il mestiere (ammesso che me lo insegni bene!)? È difficile che mi tenga, finito l'apprendistato!»
«Ti resterà tutto quello che vorrai e sarai capace di conquistarti! E può essere tantissimo. Essere cosciente delle tue capacità, dei tuoi diritti (e anche dei tuoi doveri!), delle tue competenze professionali e personali, delle tue potenzialità, delle tue prospettive future. Di te, insomma!»
«Ma come la mettiamo con i padroni veri?»
«Sta a te non averli mai! O meglio non accettare mai che si impossessino di te e del tuo tempo.»
«Ma non basta.»
«Hai ragione!»
«Serve un cambiamento di fondo, radicale. Adesso finisco l'apprendistato e poi... La settimana prossima le spiego perché deve cambiar partito. Vedrà! La convincerò!»

A scuola, una mattina di inizio marzo del 2012.

Pubblicato il

30.03.2012 13:00
Anna Biscossa