Il ministro e l’impresentabile Glencore

Ecco chi è la controversa multinazionale a cui Ignazio Cassis ha reso pubblicamente omaggio durante la sua visita in Zambia suscitando ampie polemiche

Lo scorso 8 gennaio Ignazio Cassis visita una miniera della Glencore in Zambia. È la prima tappa del suo primo viaggio africano da ministro degli Affari esteri. Gilet giallo e caschetto, scattano le foto. Parte anche un tweet: «Impressionato dagli sforzi in favore della modernizzazione delle installazioni e della formazione dei giovani». Colui che dovrebbe portare avanti l’impegno della Svizzera in favore dei diritti umani e degli Obiettivi dello sviluppo sostenibile, sorride all’impianto che per anni ha nutrito di diossido di zolfo la cittadina di Mufulira. Poco dopo la multinazionale, commossa, ringrazia. Ma chi è la Glencore, la società di Baar sotto accusa negli Usa per corruzione, a cui il capo del Dfae ha deciso di rendere omaggio?

Rame, petrolio, zinco, nichel, cobalto, carbone, prodotti agricoli: non vi è materia prima d’importanza vitale per il sistema economico mondiale che non passi dalle mani di Glencore. Qualche anno fa un articolo della Reuters definì il gruppo basato a Baar (Zg) come “la più grande azienda di cui non avete mai sentito parlare”. Fondata negli anni 70 dal celebre quanto spregiudicato trader americano »Marc Rich (poi spodestato dai suoi stessi manager nel 1994), Glencore ha fatto della discrezione e dell’opacità il suo marchio di fabbrica. Negli anni Duemila, sotto la guida del Ceo sudafricano Ivan Glasenberg, il gruppo si è espanso ulteriormente. Nel 2011 Glencore è entrata in borsa. Poco dopo si è accordata con un altro colosso elvetico, la Xstrata, attiva soprattutto nell’estrazione, per dare vita al più grande gruppo mondiale delle materie prime. Glencore è oggi la seconda principale società svizzera per cifra d’affari. Oltre 100 i miliardi di dollari incassati nel 2017, anno in cui, anche grazie all’aumento dei prezzi del rame, il beneficio netto del gruppo è quadruplicato attestandosi a 5,7 miliardi di dollari.

In testa alla classifica
Ma non sono soltanto le cifre da capogiro a far parlare di Glencore nel mondo. Sono soprattutto le decine di scandali o di vicende poco limpide che la vedono protagonista ai quattro angoli del pianeta. Lo scorso mese di settembre le Ong svizzere Pane per Tutti e Sacrificio Quaresimale hanno presentato uno studio sulle violazioni dei diritti umani additabili a delle imprese svizzere. In testa alla poco lusinghiera classifica vi era sempre lei, la Glencore, sorta di Real Madrid nella coppa campioni degli abusi.


La Mopani Copper Mines, la miniera nello Zambia visitata e tanto elogiata da Ignazio Cassis, è stata per anni al centro di dispute. «I principali aspetti problematici che ho potuto constatare studiando il caso e recandomi due volte sul posto sono due, uno ambientale e l’altro fiscale» ci spiega Marc Guéniat specialista dell’Ong Public Eye, in prima fila in Svizzera nel denunciare in maniera rigorosa l’operato opaco delle società elvetiche attive nel commercio di materie prime. L’esperto riconosce che dal punto di vista ambientale sono stati fatti dei miglioramenti: «Certo, Glencore ha migliorato l’impianto e ridotto sensibilmente le emissioni di zolfo. Ma questo è avvenuto oltre un decennio dopo il suo arrivo a Mopani e sotto la pressione della società civile». Il secondo problema riscontrato da Marc Guéniat è di natura fiscale: «Sugli esercizi contabili di cui siamo venuti a conoscenza, abbiamo potuto appurare che la miniera di Mopani non ha versato imposte sull’utile allo Stato dello Zambia. In passato abbiamo constatato come, attraverso delle transazioni contabili, gli utili venivano trasferiti in Svizzera e le perdite in Zambia. Un modo di fare semplicemente scandaloso».


Sollecitato proprio su questi due aspetti, in seguito al polverone suscitato dalla sua visita, il capo del Dfae ha subito espresso il suo punto di vista. «Le critiche concernono il passato» è in sostanza la risposta data a riguardo del problema ambientale, dimenticando forse che per anni l’impianto ha intossicato gli abitanti della zona. Anche per la questione fiscale il ministro sembra essere stato bene istruito: «Le imposte sull’utile, come dice la parola, hanno a che fare con gli utili e finora Glencore non ha ancora fatto utili a causa della situazione fiscale nello Zambia e dei grandi investimenti fatti».


Eppure il rame rende, rende eccome. Anche quello di Mopani.
È proprio il rame la principale materia prima sulla quale Glencore basa i propri profitti come emerge dal rapporto annuale 2017. E di questo rame, quello prodotto nelle tre grosse miniere in Africa, quella dello Zambia e quelle congolesi di Mutanda e Katanga, è quello che rende di più: la cifra d’affari complessiva di questi tre siti produttivi si è attestata nel 2017 a 2,6 miliardi di dollari (+ 47% rispetto al 2016). Lo Zambia, invece, resta uno dei paesi più poveri del mondo. Come è possibile?


Paradisi fiscali e loschi intermediari
Glencore ha costituito decine e decine di società, molte delle quali situate in paradisi fiscali. Sono 107 le società offshore del gruppo rese note con l’inchiesta giornalistica dei Paradise Papers.  Strutture giuridiche complesse che servono all’ottimizzazione fiscale e permettono di trasferire gli utili a vantaggio degli azionisti, buona parte dei quali sono gli stessi top manager dell’azienda.
È sempre grazie ai Paradise Papers che sono emerse alcune delle pratiche più controverse del gigante elvetico. Il caso forse più emblematico riguarda un’altra miniera di rame africana, nella poverissima e martoriata Repubblica democratica del Congo (Rdc). Per ottenere la concessione dalla società di Stato congolese, Glencore chiede aiuto al controverso businessman israeliano Dan Gertler. Quest’ultimo, amico del presidente Joseph Kabila, è noto per avere fatto man bassa, grazie alle proprie conoscenze (e non solo), delle materie prime di cui straborda il suolo congolese. Attraverso la sua società mineraria Katanga, Glencore ha incaricato Dan Gertler di “negoziare” con le autorità congolesi. Una scelta che, nonostante l’allarme che qualsiasi ufficio compliance avrebbe dovuto rilevare, risulterà vincente: il gruppo svizzero riuscirà infatti ad ottenere le licenze per un prezzo quattro volte inferiore a quello di mercato.


Per la giustizia americana Dan Gertler ha distribuito mazzette per decine di milioni di dollari a politici congolesi, in particolare al ministro al quale competono le licenze minerarie. A fine 2017, Public Eye ha sporto denuncia penale presso il Ministero pubblico della Confederazione (Mpc) chiedendo di fare luce su questo caso. Contattata la procura federale afferma di condurre ancora delle chiarificazioni, ma di non avere aperto ad oggi una procedura penale. Lo scorso 3 luglio è la stessa Glencore ha comunicare  di essere oggetto di un’inchiesta da parte del Dipartimento di giustizia americano per presunte violazioni della legge anticorruzione statunitense. Gli inquirenti puntano il dito in particolare contro l’operato della multinazionale in Venezuela, Nigeria e Rdc.


Di tutte queste problematiche, Ignazio Cassis e il suo staff sembrano non averne tenuto conto. I cinguettii acritici e le considerazioni rilasciate a seguito delle polemiche lasciano intendere che il Dfae non sia capitato per caso in Zambia. Appare poco chiara anche l’altra ragione della visita zambiana: la firma di un protocollo per il trasporto aereo tra la Svizzera e lo Zambia, con l’idea di aprire una linea aerea diretta tra la Svizzera e Lusaka. Nel 2017 i residenti dello Zambia nella Confederazione erano 146.

Pubblicato il

01.01.2018 15:39
Federico Franchini

«Deplorevole, ma non sorprendente»

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