Da quasi quarant’anni, negli stabili RSI di Comano, la redazione sottotitoli rende accessibili i programmi televisivi alle persone sorde e deboli d’udito. La responsabile Sheila Buzzi-Gilardi ci ha accompagnati nello scoprire come si è evoluta la professione e chi e cosa si celano oltre la pagina 777 del Teletext «È un mestiere che ti arricchisce incredibilmente, perché tutti i contenuti su cui lavori – film, attualità, documentari – ti passano attraverso. Il lavoro, inoltre, non è mai uguale a sé stesso, e poi c’è l’adrenalina dell’attualità, della diretta…». Sono tante le figure professionali che sperimentano il fremito dell’andare in onda senza tuttavia comparire a video o a microfono, e che hanno la sensazione di prendere parte all’attualità mentre si crea e, talvolta, anche alla Storia con la S maiuscola. Una di queste è la figura del sottotitolatore, che rende disponibili i contenuti – in questo caso televisivi, ma non solo – a un pubblico di sordi e deboli d’udito. Sheila Buzzi-Gilardi, responsabile della Redazione sottotitoli di Comano, è arrivata in questi uffici nel 1998. L’allora TSI aveva lanciato questo servizio da soli 12 anni, i programmi sottotitolati erano pochissimi e per diverse settimane, d’estate, la sottotitolazione dei palinsesti cessava del tutto. Un tempo lontano, non solo perché nel frattempo la percentuale di contenuti sottotitolata è passata dal 7-8% all’84%, ma anche perché la tecnologia di cui questo lavoro si avvaleva, oggi, sembra da sola un racconto fantastico (e romantico): «Quando ho iniziato dovevamo stampare il testo dei pezzi dei giornalisti (alcuni ce li consegnavano scritti a mano), trascriverlo al computer sintetizzandolo, salvarlo su un floppy disk e, infine, caricare il floppy disc sul computer della messa in onda. Per le interviste dovevamo invece andare nella redazione del telegiornale e cercare la beta (videocassetta ndr) del servizio, registrare l’intervista e tornare in redazione a trascriverla. Insomma – conclude scoppiando a ridere –, alla fine dei primi turni arrivavo esausta». Oggi, per preparare i sottotitoli di un servizio del telegiornale ci vogliono sì e no 10 minuti. Il testo di un servizio compare in automatico su un apposito programma al computer; viene rimaneggiato, adattato, distribuito su due righe di testo da 37 caratteri l’una e messo in onda dalla stessa postazione. La copertura delle dirette da molti anni è stata facilitata dall’introduzione di un programma di dettatura: il respeaker – questo il nome della funzione – ripete in un microfono il parlato di una diretta (adattandolo e sintetizzandolo in simultanea), il programma trascrive il testo e il respeaker lo mette in onda mentre ne corregge gli eventuali errori. La tecnologia non ha però modificato solo la tecnica, ma anche gli strumenti a disposizione. Sottotitolare un film, o un documentario, significa infatti trascrivere nomi a volte difficili da reperire, soprattutto senza un ausilio oggi per tutti scontato: Google. «Facevamo vere e proprie ricerche da investigatori privati, con dizionari ed enciclopedie. A volte si compravano dei libri per cercare i nomi che ci servivano, e consultarsi tra colleghi era parte integrante della giornata. Google ha trasformato e migliorato il nostro lavoro». Un lavoro per il quale servono dunque velocità e una buona cultura generale ma, per la responsabile, anche umiltà e sensibilità: «E poi la padronanza dell’italiano, anche se oggi fatichiamo sempre più nel trovare persone che sappiano scrivere in modo corretto o cogliere gli elementi fondamentali di un testo». Un’altra delle grandi sfide per questo mestiere – e per molti altri – è poi quello dell’automazione. Da anni si sperimentano infatti programmi per la generazione automatica di sottotitoli, e la tecnologia continua a fare progressi. Riuscirà a sostituirci? «Ci sono programmi che già oggi, se applicati al giusto contesto, danno risultati di qualità. La tecnologia si svilupperà e migliorerà, ma bisogna applicarla nel modo giusto per garantire la qualità necessaria». |