Una lamentela spesso formulata dagli ambienti economici è quella dell’eccesso di burocrazia che toglie libertà, complica le cose, genera costi. La burocrazia è comunque necessario strumento politico-amministrativo per il rispetto del diritto e delle regole, sorveglianza sull’esecuzione di decisioni e relativi comportamenti nell’interesse pubblico, giusto e opportuno controllo dell’impegno finanziario o sui soldi della comunità investiti. Un esempio dimostrativo l’abbiamo avuto con l’impegno dell’ente pubblico, Confederazione o Cantone, per far fronte alle conseguenze della pandemia. Ci si è promessi di limitare le pratiche burocratiche (per le richieste di intervento e ottenere interventi immediati), com’è avvenuto, ma poi, di fatto, ci si è trovati con una sequela di inganni, sotterfugi, sottrazione impropria o fraudolenta di denaro pubblico, che ha comportato inchieste, processi, costi, perdite. Quanto a dire, insomma, che la burocrazia può essere superflua se campassero più senso di responsabilità individuale (quello che gli ambienti economici pretendono sempre per la politica sociale) ed etica sociale. Sta capitando qualcosa di analogo per le banche. Dopo quanto è accaduto (e non è poco) sono emerse due evidenze: ci sono regole insufficienti per garantire razionalità, sicurezza e stabilità; la FINMA (l’autorità di sorveglianza) “non ha utilizzato tutti i mezzi a sua disposizione per evitare il crollo del Credito Svizzero”. Il Consiglio federale ha quindi presentato proposte per rafforzare le regole da applicare agli istituti troppo grandi per fallire e accrescere la sorveglianza. Ciò che, in concreto, obbligherebbe ad esempio la neomastodontica UBS ad accantonare tra i 15 e i 25 miliardi di dollari supplementari per resistere in caso di crisi. Quelle misure, che dovrebbero diventare un’esigenza legale l’anno prossimo, hanno già sollevato sia alla recente assemblea di UBS, sia nel mondo bancario, malumori e critica di norma superflua, di ingombro paralizzante, di danno enorme per la competitività internazionale. È preoccupante rilevare come quello che sembra un problema bancario-svizzero è un problema finanziario-universale. Che sembra annunciare il rischio di una prossima crisi finanziaria. Basterebbe leggere l’ultimo rapporto (aprile 2024) del Fondo Monetario Internazionale o uno studio della Banca dei regolamenti internazionali (che ha sede a Basilea). Il motivo sta nella difficoltà a stabilire delle frontiere tra le banche o le non-banche, dette anche NBFI (Non-Banking Financial Institution), che comprendono un’infinità di satelliti (fondi di pensione e di investimento, assicuratori, gestori di attivi, anche in criptovalute) e che detengono ormai più della metà degli attivi finanziari mondiali. Sta soprattutto nel fatto che le banche e le NBFI si finanziano reciprocamente e abbondantemente, in opacità e senza controlli, con rischi di indebitamento e di liquidità e di forte interdipendenza (avverte l’FMI): una fuga per la tangente o una congiunzione che, nella storia, è sempre stata al centro delle maggiori crisi finanziarie, generanti costi umani astronomici. Un’ulteriore dimostrazione e un ulteriore avvertimento che ci dicono come il mercato, in particolar modo quello finanziario, è tutt’altro che razionale, è tutt’altro che portato all’equilibrio, è comunque parte coessenziale della società e come tale va seguito, monitorato, regolato, sorvegliato e costantemente emendato. |