Quella telefonata che una figlia che vive all’estero spera di non ricevere mai. “Vieni, papastro sta male”. E quelle conferme che una giornalista specializzata in salute pubblica non vorrebbe mai ottenere. Ho rischiato di perdere mio padre per mancato accesso alle cure sanitarie dovuto alle restrizioni pandemiche. I miei genitori vivono in un paese alle porte di Roma e ho deciso di raccontarvi questa storia perché emblematica di errori macroscopici che la nostra società sta facendo. Sono pensionati che non hanno difficoltà finanziarie, colti e in buone condizioni di salute. Quegli anziani dei giorni nostri che vanno al cinema, viaggiano e frequentano amici. Dicono gli esperti che non solo la scoperta degli antibiotici, il miglioramento delle condizioni igieniche e alimentari hanno consentito alla vita di allungarsi. I nostri vecchi vivono a lungo anche grazie al fatto che il benessere consente loro di rimanere attivi. Dall’inizio della crisi internazionale mi angoscia il danno che restrizioni draconiane infliggono alle persone vulnerabili. Prime fra tutte, quelle anziane. Per un paradosso inaccettabile, proprio i soggetti a rischio di esiti severi con il nuovo coronavirus si sono ritrovati a pagare il prezzo più alto. Tagliati fuori dalla società: chiusi in casa, privati del contatto con i propri cari. Abbiamo fermato il mondo con il pretesto di proteggerli. E invece, li stiamo massacrando. Nella mia famiglia, tutto è precipitato nello spazio di poche settimane. Corro a Roma in macchina e i primi giorni sono allucinanti. Mio padre ha rischiato di morire per una setticemia, un’infezione batterica grave ma curabile, perché per tre settimane non c’è stato un medico disposto a visitarlo. Via sms gli è stato prescritto un presunto “trattamento Covid”, nonostante non ne avesse alcun sintomo e ripetuti test fossero negativi. Per cinque giorni, quando ormai non camminava e quasi non mangiava più, gli è stato negato il ricovero. Un amico medico ci ha spiegato che le strutture sanitarie ricevono dal governo italiano 2.500 euro al giorno per un paziente con test positivo al Sars-CoV-2; se hai qualcos’altro, guarda caso non si trova un posto. I miei genitori si sono ritrovati prigionieri di un incubo kafkiano. In una manciata di settimane, da frizzanti pensionati che tenevano alla loro autonomia si sono trasformati in persone traumatizzate e bisognose di assistenza. Mia madre è diventata un fragile uccellino, devastata dalla paura. Se questo può capitare a individui privilegiati, pensiamo cosa succede a chi ha meno risorse. Risorse per affrontare la situazione e risorse per guarire. Verrà il giorno in cui faremo i conti del danno inflitto alle persone che si era detto dovevamo proteggere a ogni costo. Quelle delle case per anziani, che hanno trascorso in solitudine gli ultimi mesi di vita. I nonni che non hanno più potuto vedere i nipoti. Tutti coloro che non hanno avuto accesso a cure mediche essenziali. Le persone ricoverate, cui è stata negata ogni visita di amici e parenti. Laser Rsi ha diffuso un documentario prezioso di Viviana Viri. Una talentuosa giornalista, che ne ha fatto il suo lavoro di diploma per il Corso di giornalismo della Svizzera italiana. Sono stata la sua tutor e mi hanno commossa la sua sensibilità e l’infaticabile impegno. Viri racconta cosa è successo lo scorso anno in Canton Ticino attraverso le voci di infermieri, sacerdoti, anziani, del medico britannico Iona Heath, un’esperta in etica e pratica della medicina di base. E di chi ha perso una persona cara e si è visto negare anche l’ultimo abbraccio. “Senza nemmeno un fiore” |