Lo schiaffo del risveglio, dopo una notte di raid delle ruspe, che ha abbattuto un'ala dell'ex Macello, brucia ancora forte. In attesa di sapere la verità di chi è il responsabile dei fatti avvenuti nella notte fra il 29 e il 30 maggio a Lugano per gli osservatori politici la (mal)celata voglia di repressione mina la credibilità delle istituzioni.  

 

Un'incapacità politica, tradottasi in un gesto folle più che da governanti. Chi voleva eliminare il macello dei Molinari ha raggiunto apparentemente il suo scopo, ma il prezzo di credibilità da pagare è altissimo. «Si è voluto annientare un'iniziativa che partiva dalla popolazione» commenta Jean-Pierre Tabin, professore di politica sociale all'Alta scuola di lavoro sociale e salute sociale di Losanna. «In Ticino hanno voluto distruggere l'esperienza del Molino attraverso una demolizione fisica. A Losanna un'esperienza di coabitazione tra persone senza tetto e studenti in rue Simplon sarà distrutta prossimamente. Due situazioni che presentano tratti comuni e dalle quali emerge il rifiuto ad accettare l'intraprendenza civica dei cittadini. Da qui si è generata una violenza epistemica fatta in nome di una concezione del mondo che pretenderebbe che il bene pubblico possa essere proposto solo dallo Stato» evidenzia Tabin.  


Anche per il politologo ticinese Marco Giugni, direttore dell'Istituto di studi sulla cittadinanza dell'Università di Ginevra, la realtà dell'autogestione non è mai stata digerita: un rifiuto «riflesso di una visione e di una politica, solitamente associata alla destra, che mette davanti le ragioni dello stato di diritto (law and order) e dell'ordine piuttosto che della partecipazione e della società civile (civil rights)»


Professor Giugni, la repressione da parte delle autorità ticinesi come può essere letta? 


Spesso la repressione è sintomo dell'incapacità di prevedere dei dispositivi di risposta più adeguati e di una certa impreparazione a gestire situazioni di questo tipo. In generale, comunque, è vero che spesso e volentieri l'autogestione, ancora oggi, e al di là dei discorsi di facciata, non è ben vista, né dalle autorità né da una parte dell'opinione pubblica, la quale è decisiva per spiegare come agiscono le prime. Le autorità, di solito però agiscono diversamente e alla luce delle esperienze in altre città, preferiscono agire d'opportunità e provare a instaurare un dialogo. 


Appunto, dialogo. Il Municipio di Lugano si è da subito dichiarato disponibile a riattivare trattative con il centro autogestito Il Molino, ma secondo lei che cosa succederà? 


Per ora ha mobilitato il movimento, anche al di là della cerchia più ristretta del suo "nucleo duro" e attirato le simpatie di quei cittadini che hanno percepito la demolizione come un sopruso, tanto che c'è stata una manifestazione di sostegno con più di duemila simpatizzanti.


Si è assistito a un tentativo alquanto maldestro di gestire la situazione e il dialogo, dopo un'azione così violenta simbolicamente e materialmente, è ovviamente più difficile. Chiedere di sedersi tutti a un tavolo suona un po' come una presa in giro, il che mina la credibilità e la legittimità delle autorità stesse, aspetti che sarebbero invece essenziali per avviare un dialogo.

Pubblicato il 

15.06.21
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