Il lavoro non è una merce senza valore

Berna – Se nel paese più ricco del mondo ci sono ancora 400 mila persone che lavorano a tempo pieno per un salario che non consente loro di vivere una vita dignitosa e se in un caso su sette è presente il rischio di cadere nello stato di povertà, urge un intervento correttivo. Si fonda su questo semplice e logico ragionamento la decisione dell'Unione sindacale svizzera (Uss) di lanciare un'iniziativa popolare per un salario minimo garantito di almeno 22 franchi  all'ora, pari a 4 mila franchi al mese.

Martedì è ufficialmente iniziata la raccolta delle 100mila firme necessarie affinché la proposta possa essere sottoposta, tra un paio d'anni, al giudizio del popolo. «Si tratta di porre fine allo scandalo dei salari da fame», ha affermato Vania Alleva, membro della direzione del sindacato Unia, in una conferenza stampa a Berna. «Il dumping salariale -ha spiegato- investe molti settori: colpisce i lavoratori dell'industria tessile e alimentare, il personale domestico e di cura, così come quello che opera nelle imprese di pulizia e di sicurezza, presso i call center e i corrieri, ma anche parrucchieri e venditrici e addirittura assistenti di farmacia e informatici».
Ne risulta così che in Svizzera quasi un lavoratore su dieci lavora per un salario troppo basso, che in alcuni casi estremi (che si registrano soprattutto in Ticino, vedi articolo sotto) superano di poco i 2 mila franchi lordi al mese. Il problema colpisce circa 300 mila donne e 100 mila uomini e in alcuni settori non risparmia nemmeno lavoratori diplomati o con una lunga esperienza professionale.
Un problema, ha sottolineato con forza Vania Alleva, che non può essere considerato di carattere privato: «Esso rappresenta una minaccia per tutti i salariati e un peso per l'intera società. Perché quando dei padroni senza scrupolo offrono salari inferiori al dovuto facendo capo a lavoratori temporanei o esternalizzando il lavoro a ditte "a buon mercato" creano una pressione generale anche sui datori di lavoro onesti». Certo, ha ammesso la sindacalista, negli ultimi anni qua e là sono stati compiuti dei passi in avanti. Una campagna sindacale sui salari minimi del 1998 ha per esempio prodotto dei miglioramenti nei settori che dispongono di un Contratto collettivo di lavoro: «Presso Coop e Migros in dieci anni abbiamo ottenuto aumenti dei salari minimi del 50 per cento», ha ricordato Vania Alleva, aggiungendo però che su questo fronte i margini di miglioramento sono ormai esauriti.
In Svizzera in effetti solo la metà dei salariati è assoggettata a un Ccl e solo in tre quarti dei casi sono previsti dei salari minimi. Questo significa che il sessanta per cento delle lavoratrici e dei lavoratori non hanno garantito un salario minimo. E siccome un'estensione dei contratti collettivi, per l'opposizione del padronato, non è prevedibile, anzi è da escludere, il movimento sindacale ha deciso il lancio della citata iniziativa popolare, cioè un intervento sul piano legislativo al più alto livello: quello della Costituzione federale.
L'iniziativa, denominata "per la protezione di salari equi", prevede l'adozione di un nuovo articolo costituzionale che assegna alla Confederazione e ai Cantoni il compito di adottare delle misure in difesa dei salari. Una difesa che consista nell'incoraggiare l'introduzione di minimi salariali nei Ccl e, in via subordinata, nella fissazione di un salario minimo legale a livello nazionale. Un minimo che per il 2011 equivarrebbe a 22 franchi orari, ossia a 4 mila franchi mensili per una settimana lavorativa di 42 ore. L'ammontare verrebbe adeguato periodicamente all'evoluzione dei salari e dei prezzi, come avviene con le rendite Avs. Inoltre ai Cantoni verrebbe riconosciuta la competenza di fissare delle remunerazioni minime superiori a quella nazionale.
In fondo, sottolinea l'Uss, il concetto di salario minimo «non rappresenta nulla di nuovo per il nostro paese, che esattamente cent'anni fa ha creato le basi legali nel Codice delle obbligazioni per i contratti collettivi e che da settanta prevede la possibilità che i salari minimi da essi previsti possono essere dichiarati di forza obbligatoria».
Si tratta dunque di proseguire lungo una via già tracciata, continuando a privilegiare l'adozione di contratti collettivi, che consentono di trovare soluzioni fatte su misura per il singolo settore, ha sottolineato il presidente dell'Uss Paul Rechsteiner: «La novità contenuta nell'iniziativa è quella che la Confederazione e i Cantoni dovranno favorire i Ccl, per esempio facendo dipendere il rilascio di concessioni o l'aggiudicazione di appalti dall'adozione di questo strumento. E per i settori in cui la conclusione di un Ccl non è possibile, entrerà in gioco il salario minimo legale».
In ogni caso, ha concluso Rechsteiner, questa iniziativa «consentirà dei passi in avanti dal punto di vista sociale, economico e politico importanti per il futuro della Svizzera. Non è infatti con la politica dei bassi salari che si creano prospettive positive».
Ovviamente la strada che eventualmente ci porterà fin lì è lunga e tortuosa, ma rappresenta anche un'eccezionale occasione per indurre una riflessione collettiva sui salari scandalosi che vengono ancora oggi pagati in Svizzera. Si tratta di sensibilizzare ampie fasce della popolazione e di sviluppare pressioni per ottenere in fretta i progressi necessari.
È proprio in quest'ottica che vanno interpretate le azioni organizzate nei giorni scorsi da Unia in varie regioni del paese, dove la popolazione è stata resa attenta delle situazioni più estreme e più scandalose: 17 franchi all'ora senza tredicesima per il personale di Esso e Migrolino di una stazione di servizio di Coira; 15,60 l'ora per il personale qualificato del negozio di scarpe Reno di San Gallo, 16 per le parrucchiere di un salone di Winterthur della catena Orinad; 13,80 l'ora (o 2.700 mensili e settimana lavorativa di 45 ore) agli interinali (Manpower) di una fabbrica di bicchieri di Moutier. Per non citare (lo facciamo a parte) i casi ancora più estremi censiti in Ticino.
Resta dunque ancora molto da fare per far passare il concetto (in sé semplice e scontato) che il lavoro dell'uomo non è una merce senza valore.


Salari da fame e panettone amaro alla Trasfor

Mancano due giorni a Natale. Alla Trasfor  di Molinazzo di Monteggio (ditta specializzata nella produzione di componenti magnetici) sono riuniti i quasi trecento dipendenti dell'azienda e i loro familiari per la tradizionale panettonata di fine anno, con brindisi e scambio di auguri. Trattandosi dell'ultimo giorno di lavoro prima delle vacanze natalizie, la direzione aziendale coglie l'occasione per informare i dipendenti sull'andamento economico della società e per sottoporre loro un "accordo" per aumentare il tempo di lavoro da 40 a 42 ore e mezzo settimanali per due anni.

Il direttore Gianpaolo Palladini spiega ai presenti senza troppi giri di parole che l'unica alternativa a questa misura (giustificata con la questione del cambio franco-euro sfavorevole) sarebbe il licenziamento di una quarantina di dipendenti. Una doccia fredda per tutti i presenti, totalmente all'oscuro di questa intenzione della direzione. Colti alla sprovvista e sentitisi sotto pressione, gli operai della Trasfor accettano la deroga alla Convenzione nazionale mantello (Cnm) dell'industria metalmeccanica ed elettrica (che prevede una settimana lavorativa di quaranta ore). Il tutto sotto gli occhi di mogli e figli, che pure vivono del salario dei loro mariti e dei loro papà. Nel giro di pochi minuti le parti sottoscrivono "l'accordo", valido a partire dalla ripresa delle attività in gennaio.
Può sembrare una storia di fantasia o il copione di uno scherzo, invece è il racconto di un fatto realmente accaduto, che per certi versi fa venire in mente i metodi antisindacali, antidemocratici e autoritari che sta usando in Italia il numero uno della Fiat Sergio Marchionne per cancellare i diritti individuali e collettivi dei lavoratori (si veda anche la pagina "nel mondo").
Sul piano legale, siamo di fronte ad un mancato rispetto della Cnm, denuncia il sindacato Unia, che nei giorni scorsi è intervenuto presso Swissmem (organizzazione mantello dell'industria metalmeccanica) e ottenuto per settimana prossima un incontro a tre con la direzione dell'azienda.
Quanto è avvenuto alla Trasfor è «inaccettabile» per Unia: «Il voto favorevole dei lavoratori è stato estorto dalla direzione, che ha minacciato dei licenziamenti ma non ha consentito a nessuno di verificare la situazione aziendale illustrata dal direttore Palladini».
«Nessuno di noi ha mai avuto la possibilità di vedere i dati contabili», ci conferma un dipendente della Trasfor che chiede l'anonimato alla luce del «clima intimidatorio» venutosi a creare in azienda. «Un'azienda sana, che nonostante la crisi degli ultimi anni non ha dovuto licenziare e nemmeno far ricorso al lavoro ridotto», sottolinea il nostro interlocutore, che aggiunge: «Ho anche qualche dubbio sulla questione della competitività del franco sull'euro: è vero che l'85 per cento della nostra produzione viene esportato, ma non tutto nella zona euro; per rapporto al dollaro per esempio il franco ha guadagnato molto meno. E poi so che il 100 per cento delle materie prime viene acquistato in euro, il che assicura un guadagno all'azienda (che vende in franchi)».
A rendere ancora più insopportabile "l'accordo di Natale" vi è anche il fatto che questo non è il primo sacrificio imposto dalla direzione dell'azienda agli operai: oltre a percepire stipendi miseri (un operaio con vent'anni di esperienza non percepisce più di 3.600 franchi lordi!), negli ultimi anni ne hanno subite di ogni: «Un anno non ci hanno versato la tredicesima, un'altra volta ce l'hanno dimezzata, mentre l'anno scorso hanno portato da 40 a 80 il limite di ore straordinarie a partire dalle quali ci pagano un'indennità del 25 per cento», spiega il dipendente da noi interpellato. «Già ora ogni operaio regala in media all'azienda circa 100 ore di lavoro all'anno e tutti insieme circa 30 mila ore. E adesso ci impongono un nuovo sacrificio, che per gli operai che fanno anche il turno di notte (più breve) significa recuperare le ore lavorando gratis un sabato ogni tre per sette ore e trenta, senza pausa e senza alcuna indennità».
«Siamo insomma al limite del sopportabile», conclude l'operaio confidando nel successo dell'intervento sindacale e della pressione che possono esercitare i media sui vertici aziendali. In attesa di sviluppi, alla Trasfor di Molinazzo di Monteggio "l'accordo di Natale" è entrato in vigore e dal 1° marzo verrà "perfezionato" con l'assunzione di quindici lavoratori interinali: solo così sarà infatti possibile farli lavorare gratis dieci ore in più al mese.
Intanto però il clima che si respira in fabbrica è pesante, come abbiamo potuto constatare mercoledì durante un volantinaggio organizzato da Unia davanti all'azienda durante la pausa del mattino: gli operai (a cui è stato vietato di parlare con i media presenti) hanno paura di subire ritorsioni ed evitano ogni commento. Forse anche perché non si sentono tutelati nemmeno dalla presidente della Commissione di fabbrica, che è addirittura intervenuta per invitare i sindacalisti ad allontanarsi dal sedime «privato» e definito l'azione a sostegno dei lavoratori «una pagliacciata».

Pubblicato il

28.01.2011 02:00
Claudio Carrer