C’è un singolare fenomeno che si riscontra sia negli Stati Uniti sia in Europa e Gran Bretagna e parzialmente anche in Svizzera: con la ripresa economica, dopo la lunga fase critica dovuta alla pandemia, manca la manodopera in diversi settori o è difficile reclutarla. Anche là dove la disoccupazione è elevata. Appare spesso una divergenza “grafica” che sa di paradossale: cresce fortemente in tutti i paesi la curva delle offerte di lavoro, tanto che in Germania si è coniato il termine “Jobwunder” (il miracolo dell’impiego), ma non diminuisce la curva della disoccupazione. La situazione è tale che alcuni paesi – come la Danimarca dove il 21 per cento delle grandi aziende dice di dover rinunciare a nuove ordinazioni per mancanza di manodopera oppure la Germania dove il sindacato dell’alimentazione e dell’albergheria ritiene che un impiegato su sei, ossia 275mila persone su scala nazionale, ha abbandonato il settore oppure la stessa Italia (9,7 per cento di disoccupazione) in cui sono aumentati del 30 per cento gli annunci che cercano lavoratori o anche la Gran Bretagna cui si è aggiunto, al grattacapo della Brexit, quello della pandemia con più di 1,3 milioni di europei-lavoratori che hanno preferito ritornare a casa loro – già rivedono al ribasso il prodotto interno lordo. In Svizzera alcune industrie, soprattutto dell’Altopiano, lamentano difficoltà di reclutamento di manodopera, non solo qualificata. Il Ticino, senza i frontalieri in alcuni settori (per esempio quello della salute, ma anche ristorazione o vendita) sarebbe già da tempo paese in perdizione. Si attribuisce la causa del fenomeno, così generalizzato, al periodo pandemico. Il quale, per paradossale che possa sembrare, avrebbe indotto i lavoratori a ripensare il proprio lavoro. Sembrerebbe che il pensiero più ovvio sia quello del salario. Detta in termini diretti: “Ecco, vedete finalmente quanto siamo indispensabili, vitali in molti settori come quello della salute o della ristorazione o della vendita, vedete che con i soli azionisti che avete sinora privilegiato non andate lontano, è quindi tempo di aumentare le retribuzioni, inadeguate da troppi anni”. È quanto ha tradotto subito il presidente americano Joe Biden ai grandi imprenditori che si lamentavano, di fronte alla crescita prorompente, di non trovare più lavoratori (attribuendone sotto sotto la colpa alle elargizioni pandemiche che li avrebbero resi pigri). Biden ha risposto loro, categorico: “Pay them more” (pagateli di più). Il denaro non è però la sola variante che possa aggiustare un mercato del lavoro in trasformazione. Un economista ha tradotto il problema in altro modo, con una semplice frase: «È emerso il fossato tra chi la loro vita limita il lavoro e chi invece il lavoro limita la loro vita». Sembra un arzigogolo, ma non lo è. Significa che lavorare si deve, ma non a condizioni che si fondano sull’ineguaglianza, che non è solo di reddito, e sul solo valore che il mercato dà al lavoro. Condizioni che impediscono di vivere, di gustarsi la vita. E non è certamente un caso se le maggiori difficoltà di reclutamento di personale si riscontrano nei settori alberghiero, ristorazione, logistica, vendita, trasporti, nei servizi alla persona, nella salute, nelle costruzioni. In Ticino, in controtendenza, sembra invece che per alcuni la preoccupazione maggiore sia quella di gabbare la legge e creare sindacati farlocchi che servano agli imprenditori per derogare anche ai minimi salariali, che sono anche il minimo di dignità per i lavoratori.
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