La città di Winterthur ha avuto un ruolo considerevole nella storia industriale elvetica. Lungo buona parte del Novecento, l’industria meccanica locale è stata tra le più importanti a livello nazionale. La Rieter con i filatoi meccanici, la Sulzer con i motori diesel e la Stadler Winterthur (prima Slm) con la costruzione di locomotive, soltanto per citare alcuni dei gruppi principali, hanno conquistato persino una dimensione internazionale e influenzato fortemente la città. Allo stesso tempo, ovviamente, questa industria ha creato numerosi posti di lavoro e, a partire soprattutto dal boom degli anni Sessanta, ha assunto massicciamente forza lavoro proveniente dall’Europa meridionale. Winterthur è diventata così uno dei principali centri della classe operaia migrante. Ancora oggi rimane una città aperta, progressista e multiculturale. Non deve stupire quindi che il Museo Schaffen, istituzione culturale dedicata al mondo del lavoro e gestita dalla Historischer Verein Winterthur, ha deciso di allestire una mostra dedicata al tema della migrazione intitolata Reality Check. Arbeit, Migration, Geschichte(n). La mostra ha aperto i battenti la scorsa settimana. L’inaugurazione è avvenuta alla presenza di oltre un centinaio di persone. Fra queste anche molte e molti militanti sindacali di origine migrante della regione Unia di Zurigo-Sciaffusa. Tra di loro c’era Adriana Santos, lavoratrice nel ramo delle pulizie e in quello della ristorazione, la cui testimonianza è presente anche nello spazio espositivo. La mostra rende omaggio anche a Luigi Fucentese, una delle figure più conosciute fra la comunità italiana locale, che ha lavorato per anni nell’industria meccanica di Winterthur ed è stato anche un importante militante sindacale. Il coinvolgimento delle persone di origine migrante non si è limitato alle testimonianze. I due curatori, Wanda Seiler e Jose Cáceres, sono stati accompagnati da un gruppo di riflessione composto da sei persone con differenti esperienze di migrazione alle spalle. Tra queste persone c’era anche Sarah Akanji, attivista e calciatrice di fama, che era presente anche all’inaugurazione: «Per me è stata un’esperienza molto arricchente. I curatori hanno dimostrato grande sensibilità rispetto al tema integrando nel progetto espositivo e curatoriale persone con un passato migratorio. Per noi era importante, ad esempio, non restituire semplicemente un’immagine dei migranti come vittime, ma mostrare anche la loro capacità di resistenza, di autodeterminazione e di organizzazione». Non è un caso che molti documenti esposti negli spazi del museo siano testimonianze della vivace realtà associativa migrante locale e portino alla luce organizzazioni poco conosciute, come l’associazione femminile turca, ma molto attive in città e importanti attori di inclusione sociale della popolazione migrante. La mostra è visitabile fino al 26 gennaio del 2025. Oltre all’esposizione c’è anche un ricco programma di iniziative sul tema in diverse lingue. |