Da una parte una prestigiosa griffe che fa capo a una holding finanziaria svizzera dai ricavi miliardari. Dall’altra un manipolo di lavoratori precari basati in Toscana. In mezzo una diatriba sindacale che illustra bene il lato oscuro della filiera del lusso, dove a farla da padrone è lo sfruttamento. 

 

“Non siamo usa e getta”. “No Justice no Shopping”. “Shame in Italy”. Sono questi alcuni cartelloni esposti ieri (23 settembre 2024) da un gruppo di lavoratori davanti alla Pelletteria Richemont di Scandicci, vicino a Firenze. Gli uomini, originari del Pakistan, del Bangladesh, dell’India e dell’Afghanistan, hanno protestato contro il loro licenziamento, arrivato dopo l’interruzione della commessa alla ditta toscana Z Production SRL da parte del marchio di accessori di lusso Montblanc, appartenente alla holding elvetica Compagnie Financière Richemont SA.

 

Licenziati dopo essersi mobilitati


Alla periferia di Firenze, per anni il personale ha lavorato in subappalto a Montblanc in condizioni estreme: giornate lavorative che duravano fino a 12 ore, settimane di sei o addirittura sette giorni, per un salario di 900 euro al mese. Poi gli operai della Z Production hanno deciso di mobilitarsi e di organizzarsi sindacalmente. Sono così riusciti a migliorare le proprie condizioni di lavoro. Dallo sfruttamento si era perlomeno passati al rispetto dei regolari contratti di lavoro. A quel punto, però, Montblanc ha deciso di abbandonare questo subappaltatore diventato più virtuoso.

 

La fabbrica della Z Production ha chiuso definitivamente lo scorso dicembre e la settantina di operai ha così perso il proprio lavoro. «Montblanc ha posto fine al contratto perché volevamo lavorare otto ore al giorno, cinque giorni alla settimana come lavoratori legali», ha dichiarato alla Reuters Zain Ali, un giovane lavoratore pachistano. L’uomo ha lavorato per Z Production per due anni e mezzo, applicando i loghi Montblanc in metallo agli accessori in pelle: «Volevano solo degli schiavi», ha affermato.

 

Proteste fino in Svizzera


L’azione di mobilitazione lanciata in questi giorni in Toscana giunge all’indomani della scadenza dei contratti di solidarietà, ottenuti grazie agli scioperi dei mesi scorsi, e alla vigilia di un tavolo di crisi convocato in Regione. Le proteste in questo mese di settembre hanno però raggiunto anche la Svizzera. L’11 settembre una delegazione di lavoratori si è recata a Ginevra dove, con il sostegno dei sindacati locali, ha protestato in occasione dell’assemblea generale di Richemont. Il gruppo, quotato alla Borsa di Zurigo, ha fatto registrare nel 2023 un utile d’esercizio di 2,3 miliardi di franchi e una cifra d’affari di 20,6 miliardi di franchi.

 

Sono cifre che indignano Luca Toscano, sindacalista di Sudd Cobas che ha accompagnato la delegazione di lavoratori in riva al lago Lemano: «Il rispetto dei contratti più dignitosi avrebbe comportato un aumento di trenta euro per borse che sono vendute a più di mille euro. Ma il marchio ha deciso che non andava bene».

 

Per il sindacalista la filiera della moda e del lusso è basata sullo sfruttamento: «I brand impongono tariffe ai fornitori in cui per entrarci non hai alternative: o sfrutti il lavoro, o evadi le tasse o (più frequentemente) fai entrambe le cose». Non a caso la Z Production – controllata e amministrata da cittadini cinesi – è sottoposta a sequestro preventivo da parte del Tribunale di Firenze, che ha nominato un custode giudiziario. Sotto la lente vi è anche il sistema “chiudi e riapri” e la continuità tra le varie ditte che negli anni, sotto diverso nome, nascondevano la stessa proprietà di fatto: «Tutte quelle ditte hanno sempre lavorato in mono-committenza esclusiva per Richemont e i prodotti Montblanc», spiega sempre Luca Toscano.

 

Alla ricerca di nuovi schiavi


Montblanc ha dichiarato alla Reuters di aver deciso di rescindere il contratto con la Z Production all’inizio del 2023 «perché i suoi audit hanno dimostrato che l'appaltatore non ha rispettato gli standard previsti dal codice di condotta di Richemont per i fornitori». Per il sindacalista se Montblanc ha smesso di fare affidamento a questo subappaltatore «non è perché non è in regola, ma al contrario perché aveva deciso di mettersi in regola». Non siamo di fronte a una crisi industriale: «Si tratta di una delocalizzazione messa in campo da un fondo finanziario multimiliardario all’interno di questo stesso territorio. La produzione è qui nella provincia di Firenze. In questi mesi si è spostata alla vergognosa ricerca di nuovi schiavi da sfruttare dopo la sindacalizzazione dei lavoratori della Z Production», conclude Luca Toscano.

 

Il 26 settembre si riunirà il tavolo di crisi in Regione Toscana, al quale sono convocati soltanto le ditte in appalto, ma non Richemont. Ossia la società proprietaria del brand. I rappresentanti dei lavoratori chiederanno la convocazione del gruppo elvetico, così come il ricollocamento dei lavoratori prima sfruttati e poi licenziati. Così è stato deciso dall’assemblea dei lavoratori. Nel frattempo, proprio il 23 settembre è stato pagato il dividendo delle azioni Richemont negoziate alla Borsa di Zurigo. Al netto delle tasse esso sarà di 1,79 franchi ad azione. Il principale azionista, il miliardario sudafricano Johann Rupert, ha incassato in un giorno 11,5 milioni di franchi.

 

Pubblicato il 

24.09.24
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