Il grido e la "gente"

Le votazioni federali dello scorso fine settimana segnano un'ulteriore sconfitta alle urne dell'asse maggioritario di destra costruito attorno all'Udc. Certo il partito di Blocher era solo (e nemmeno troppo convinto) nel sostenere il no al miliardo di solidarietà con i nuovi paesi membri dell'Unione europea, ma l'ennesima sconfitta in materia di politica estera del perno della maggioranza ne dimostra tutta l'artificiosa fragilità con la quale questa fu inventata tre anni fa. Una fragilità evidenziata anche dalla chiarezza con cui il compromesso sugli assegni famigliari, vanamente combattuto proprio dalla destra liberista, è stato accolto. È da quando è diventata maggioritaria in Consiglio federale che questa destra è perdente alle urne. Se ne tenga conto fra un anno, quando dovrà essere eletto un nuovo governo che si spera sia più in sintonia con la popolazione.
Un discorso a parte va fatto sul voto del canton Ticino. Che si presta a due letture. In primo luogo il chiarissimo sì agli assegni famigliari e l'altrettanto netto rifiuto del miliardo di solidarietà confermano un certo egoismo di fondo dei ticinesi: «soldi a me va bene, soldi per gli altri mai». Questo atteggiamento è stato alimentato negli ultimi 15 anni dal populismo chiassoso della Lega dei ticinesi, che spesso ha saputo cogliere, amplificare e assecondare le pulsioni più profonde della "gente", nutrendole in un pericoloso circolo vizioso. È un inquinamento dal quale il Ticino ci metterà non pochi anni a purificarsi, indipendentemente da un auspicato tracollo elettorale della Lega. Perché il leghismo è diventato una cultura politica diffusa in tutti i partiti – e non accenna a tramontare.
Ma sarebbe riduttivo limitarsi a questa lettura. Il Ticino è in una situazione oggettivamente particolare, oggi più che mai. Infatti, mentre la ripresa economica si fa sentire ovunque in Svizzera con disoccupazione in calo e salari in ripresa, in Ticino il tasso dei senza lavoro non accenna a diminuire, mentre i salari rimangono i più bassi di tutto il paese (senza che se ne capisca davvero la ragione). Non solo, la Confederazione come datore di lavoro e fornitore di servizi si ritira sempre più, lasciando nell'incertezza le regioni che come il Ticino in passato più di altre hanno beneficiato dell'intervento regolatore di Berna. Infine, e soprattutto, il Ticino è uno dei cantoni che più hanno subito l'impatto dell'apertura del mercato del lavoro a seguito degli accordi bilaterali. Difficile in questo contesto non vedere nell'idraulico polacco più un nemico che una vittima degli stessi meccanismi economici che angosciano i ticinesi.
Il no al miliardo di solidarietà espresso dal Ticino dev'essere dunque visto (anche) come un grido d'aiuto rivolto a Berna. E in questo senso si differenzia nettamente dal no espresso dalla Svizzera centrale. Ma non si illudano i ticinesi: non è in una maggioranza guidata dall'Udc che troveranno orecchie disposte ad ascoltarlo.

Pubblicato il

01.12.2006 00:30
Gianfranco Helbling
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