Il grande fronte del No

Il tempo è stirato per l’appuntamento del 12 marzo, quando la popolazione ticinese sarà chiamata ad esprimersi sul “Decreto legislativo concernente la limitazione dei sussidi a enti, istituti, associazioni, fondazioni e aziende autonome per il periodo 2005-2006”. Ma l’opposizione ai tagli, o alle misure di contenimento che dir si voglia, si è concretizzata in un fronte sempre più ampio. Come ha potuto constatare in questo periodo il Comitato del referendum “Sos sanità, socialità e scuola” contro la legge “blocca sussidi” che intacca la qualità di vita dei più deboli e la formazione. Un comitato formato da 12 associazioni professionali del settore sociosanitario, della scuola, dei dipendenti e degli utenti, sostenuto da una cinquantina di altre associazioni e commissioni degli stessi settori e che è riuscito a raccogliere ben 12’500 firme contro il decreto legislativo. Un comitato a specchio di tutte le componenti della società che oggi, venerdì, nel corso di una conferenza stampa ha presentato sotto forma di un corposo documento articolato le argomentazioni che stanno alla base della battaglia anti-decreto. Ad illustrarne i contenuti i due copresidenti e autori dell’argomentario Raoul Ghisletta (Vpod) e Rita Dal Borgo (presidente dell’Associazione svizzera infermiere/i, sezione Ticino), Mario Biscossa (presidente dei docenti Vpod) e Annamaria Gélil (presidente del Movimento della scuola che nel giro di poco più di un anno ha riunito quasi 400 docenti). In un tempo in cui gli scandali fiscali rimbalzano sulle testate dei giornali e sono argomento pressoché quotidiano di discussione, il taglio dei sussidi appare come una sorta di “legge” di Robin Hood alla rovescia: togliere ai poveri per dare ai ricchi. Una politica dannosa adottata da Consiglio di Stato e maggioranza di centro-destra in parlamento che il comitato referendario smaschera, una politica che tenta di risanare le finanze con una cura che è peggiore del male. Il decreto “blocca sussidi”, insieme a quello che taglia i sussidi per la cassa malati, è «la misura più grave» del “Pacchetto di misure per il riequilibrio delle finanze cantonali” approvato lo scorso mese di settembre dal Gran consiglio, affermano i promotori del referendum. Una misura che denota insomma quanto la maggioranza politica di questo cantone abbia la memoria corta: sono infatti passati poco più di due anni (era il 3 dicembre 2003) da quando un’imponente manifestazione trasversale di cittadini contestò il preventivo 2004 e ribadì il suo no il 16 maggio 2004 ai tagli ai sussidi casse malati e ai sussidi alle scuole comunali. Questo decreto, insomma, è un’ulteriore prova dell’asimmetria dei sacrifici che è ormai tornata a caratterizzare la politica finanziaria in Ticino dopo la parentesi del preventivo 2005. In poche parole, ricordano i promotori del referendum, ci si dimentica di operare sulle entrate e si agisce invece unilateralmente sulle uscite, colpendo quindi i settori più delicati quali quelli della sanità, della socialità e della scuola. Spese del Ticino nella media Nella sua analisi della situazione finanziaria cantonale, il comitato a scanso di equivoci spiega che se da un lato viene riconosciuta «la necessità di agire anche sulle uscite del Cantone per risanare le finanze», dall’altro si possono trovare delle vie alternative ai tagli lineari. E lo stesso comitato ne suggerisce alcune. Riguardo i sussidi agli enti e i sussidi alle persone «occorre agire con ponderatezza e concertazione, privilegiando le riforme strutturali della spesa». Sul come e dove, ecco degli esempi concreti: creando un ente cantonale che gestisca le case anziani e i servizi a domicilio; favorendo l’unificazione delle strutture sociali che operano in campi vicini; introducendo una moratoria per tutti i nuovi fornitori di prestazioni che operano a carico della Legge assicurazione malattia; introducendo criteri di qualità sulle prestazioni fornite da chi opera a carico della Lamal in modo da eliminare gli sprechi e le prestazioni inutili e controproducenti. Ebbene, fanno notare i referendari, queste riforme strutturali sono assenti quasi del tutto nel messaggio governativo e il puntare sui tagli in ambito sanitario e sociale non fa altro che gravare sulle fasce meno abbienti della popolazione, già provate dalla crisi economica. Dal 2001 fino al dicembre 2005 infatti il tasso di disoccupazione medio annuo è praticamente raddoppiato passando dal 2,6 per cento all’attuale 4,9 per cento (circa 8’500 i disoccupati registrati a fine dicembre 2005 rispetto ai 5’073 del 2001). Dal 1998 si è assistito ad un aumento dei prezzi del 5,6 per cento e, per converso, ad una riduzione del reddito pro capite reale di circa il 9 per cento. La politica dei tagli lineari non si giustifica neanche a fronte del livello delle spese del Canton Ticino che – spiega il Comitato – secondo i dati forniti dall’Amministrazione federale delle finanze si situa al di sotto della media svizzera. La causa del “crollo” va ricercata invece nella politica degli sgravi fiscali “senza rete” adottata dal Dipartimento finanze ed economia sotto la guida di Marina Masoni. Ciò che inquieta è che il Ticino oggi si ritrovi con una fiscalità del 30 per cento inferiore alla media svizzera, che non ha di certo favorito lo sviluppo economico ma solo coloro che non avevano bisogno di ulteriori regali, come banche, grosse imprese ecc. Insomma l’equazione “riduzione tasse = rilancio economico” non solo ha fallito il suo bersaglio ma ha depauperato il cantone. Un “buco” che ora si cerca di colmare, sottolineano i promotori del referendum, «imponendo drastici sacrifici a tutte quelle fasce di popolazione che con redditi modesti e normali si vedranno peggiorati i servizi sanitari e sociali, a quei comuni che, pur avendone bisogno, non potranno aumentare le sezioni delle scuole elementari o dell’infanzia poiché dovranno contenere le spese (ci si ritroverà così con classi più numerose che contravverranno al numero legale di alunni fissato a 25 allievi per classe)». Tagli e conseguenze Se da un punto di vista tecnico non si può parlare di tagli effettivi, da quello pratico sì: il congelamento dei sussidi a enti, associazioni e fondazioni del settore sociosanitario per il biennio 2006-2007 che fissa un tetto massimo della crescita della spesa nominale allo 0,5 per cento (si veda box sotto) – mentre aumentano di anno in anno i bisogni della popolazione (invecchiamento, aumento del numero di allievi, aumento dei casi di disoccupazione e di casi in Assistenza invalidità) – è di fatto una riduzione della spesa. Una riduzione che non tarderà a rivelare i suoi effetti negativi quando la popolazione, pur avendone bisogno, non vedrà aumentare il numero dei posti in case anziani, istituti invalidi, asili nido o istituzioni sociali per minorenni, vedrà peggiorare la qualità delle prestazioni e assisterà al deterioramento delle condizioni di lavoro in settori impegnativi e delicati quali quelli socio-sanitari, dove il personale subisce già un considerevole carico lavorativo e di stress, come dimostra un recente studio di Sabina De Geest “Le rationnement en soins infirmiers: l’étude Rich.Nursing”, Institut pour la science des soins infirmiers, Università Basilea, 2005) in cui si evidenzia come l’aumento del numero di pazienti per infermiere/a possa determinare l’aumento del rischio di decesso e di infezioni ospedialiere che, al contrario, diminuiscono in presenza di personale qualificato. È solo un esempio, una delle ragioni per le quali il prossimo 12 marzo il comitato referendario invita la popolazione a imbucare nell’urna una scheda con un “no”.

Pubblicato il

10.02.2006 03:30
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