Lo sport svizzero, a livello internazionale, sta attraversando un periodo non particolarmente felice nello sci alpino e nel ciclismo, due discipline che in un recente passato ci hanno regalato grandi soddisfazioni. Non avendo più grossi talenti in queste due attività individuali, siamo inevitabilmente diventati meno forti e meno competitivi. Attendiamo tempi migliori, ma è chiaro che se non possediamo più degli atleti qualitativamente di livello mondiale, è difficile reggere la concorrenza. La mancanza di talenti veri e propri la si può invece «mascherare» negli sport di squadra; l’esempio più convincente per il nostro movimento sportivo ci giunge dal calcio giovanile, capace di vincere i recenti campionati europei Under 17 e di conquistare le semifinali della massima rassegna continentale riservata agli Under 21. Senza dei nomi di spicco e senza dei fuoriclasse già affermatisi, le nostre due nazionali sono riuscite comunque ad ottenere dei risultati eccezionali, grazie a delle prestazioni maiuscole sul piano collettivo. A proposito dei rossocrociati semifinalisti della recente competizione europea, ha giustamente annotato Enrico Carpani sul Corriere del Ticino che «mi sembra opportuno rilevare che la vera prerogativa di questa squadra è stata sinora la sua encomiabile coesione, la sua disciplina tattica, la sua forza collettiva. Non l’abbondanza di autentici talenti sul cui futuro saremmo tutti disposti a scommettere. Il compito più gravoso, perciò, sarà quello che attende i responsabili della nazionale maggiore». Il timore, scrive ancora l’articolista, è che «quando si verificherà l’inevitabile trasferimento di competenze tra chi si occupa di queste selezioni e chi dirige il settore professionistico del nostro calcio, gli effetti benefici di questa crescita si disperderanno molto velocemente. Perché non basta promuovere gli stessi giocatori nella categoria superiore e sperare che la catena non si spezzi». Tra i fattori che possono incidere su una carriera, vi sono senza dubbio la determinazione del giocatore e il coraggio dell’allenatore; quanti ragazzi, alcuni anche talentuosi, abbiamo visto smarrirsi per strada, per scarsa volontà o per mancato impiego sul campo? Troppe volte i tecnici concedono, con eccessiva parsimonia, delle opportunità ai giovani calciatori, utilizzati soltanto in caso di assoluto bisogno. «È meglio non bruciarli !», si sente spesso esclamare da qualche addetto ai lavori, preoccupato che il giovane possa andare incontro a delle figuracce, affrontando dei colleghi più smaliziati e più bravi di lui. Eppure, il ragazzo migliora solo se gioca con regolarità e non se rimane inattivo in panchina. Nello sport, l’investimento sui giovani deve essere un dovere, non una necessità o un obbligo dettati da motivi finanziari. La storia, anche quella del calcio, ce lo ricorda costantemente.

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31.05.02

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