Il giornalismo in Ticino fra mille pressioni

Ha fatto molto discutere nei giorni scorsi sui media ticinesi il rapporto che il giornalista Beat Allenbach ha redatto all’indirizzo del Consiglio svizzero della stampa. Intitolato “Pressioni politiche. L’esempio di una piccola regione: il Ticino” esso è stato presentato a Berna in occasione della giornata di studio sul tema “I collaboratori dei media di fronte alle pressioni economiche e politiche” organizzata per sottolineare il 25° di attività dello stesso Consiglio. Accanto alla relazione di Allenbach sono stati proposti interventi critici sulla situazione dei media di fronte al potere nella Svizzera tedesca e in Romandia. In queste due pagine proponiamo ampi stralci della relazione di Allenbach, redatta sulla base di numerosi ed approfonditi colloqui con giornalisti e politici ticinesi. La traduzione dall’originale tedesco è di Enrico Morresi, la versione che pubblichiamo è stata approvata dall’autore mentre i titoli sono a cura della redazione. Il testo integrale della relazione di Allenbach si trova sul sito internet www.presserat.ch Pressioni politiche. L’esempio di una piccola regione: il Ticino Se un consigliere di Stato telefona a un giornalista per commentare negativamente una trasmissione o un articolo, che cos’è: una critica legittima o un tentativo di pressione? Dove situare il limite oltre il quale, sia pure in un contesto di rapporti strettamente intrecciati, lo scambio d’informazioni sconfina nel tentativo di esercitare influenza? (…) Un direttore ricorda: «Una volta c’erano più tentativi di influenzare i giornalisti, uomini politici e consiglieri di Stato telefonavano più spesso». I giornalisti concordano: «L’influenza dei partiti è diminuita». Alcuni addirittura sostengono che sono i giornali, adesso, a stabilire l’agenda politica, e a prova citano lo scandalo del giudice Franco Verda condannato per corruzione passiva, con i partiti travolti e disorientati nell’apprendere dai giornali sempre nuovi particolari sulla faccenda. Ma i politici non sono usciti di scena. «Cercano di sedurre i giornalisti trattandoli da amici – dice un altro direttore – le critiche le nascondono dietro gli elogi». I giornalisti sono attirati dalla possibilità che nel contatto con i politici filtrino informazioni. E chi per anni riceve notizie da un politico non gli negherà, nel periodo elettorale, un favore, comunque lo tratterà con i guanti quando quel politico dovesse trovarsi nei pasticci. La prossimità induce l’autocensura Un giornalista che occupa una posizione di responsabilità dà un nome preciso a questo vizio: «Il nostro problema più grosso è l’autocensura». E cita ad esempio il caso del primario del nuovo Cardiocentro (un istituto privato donato da un cittadino estero), deputato al Gran Consiglio e finito al centro di uno scandalo. Del consiglio di fondazione del Cardiocentro ha fatto parte un consigliere di Stato, che omise di informare con chiarezza i propri colleghi di Governo sulla situazione finanziaria dell’istituto cui stava per essere versato un importante sussidio statale. Il giornalista con cui parliamo commenta: «Non ho scritto niente su questa faccenda perché conosco da tanti anni quel consigliere di Stato e la sua famiglia, lo ritengo un politico competente e non me la sentivo di chiedergli di dare le dimissioni». Ma non solo quel giornalista e il suo giornale hanno trattato quel consigliere di Stato con i guanti: si vede che devono essere in molti a conoscerlo così bene. Confrontato con il silenzio del giornalista appena citato il consigliere di Stato dichiara: «Avrei preferito che dicesse la sua». Se la risposta, oltre che abile, sia anche sincera non lo so: di certo so che i politici (e non solo in Ticino) spesso reagiscono con irritazione se criticati. Comunque sia, mettere a tacere le situazioni delicate oggi non è più possibile, anche se i giornali poi trattano i singoli casi in modo diverso a dipendenza dell'ambiente al quale sono più vicini. (…) Ovvio dunque il riserbo che i giornalisti si impongono verso le persone più vicine al loro ambiente di riferimento, altrettanto lo spirito più critico e audace di cui danno prova quando sono in gioco gli altri. E così, mentre la scorsa primavera un intraprendente cronista della “Regione” si dava da fare per rivelare i retroscena finanziari illegali del caso dello scomparso presidente del Football club Lugano, il “Corriere”, sentimentalmente vicino al Club, dava segni di insofferenza. Ma piena di cautele si dimostra anche “la Regione”, quando sono in gioco gli amici. Quando, durante campagna elettorale del 1995, il direttore di un ufficio turistico prese denaro dalla cassa di un ente pubblico per finanziare la stampa dei manifesti dei propri amici, il fatto che la campagna fosse in favore di un avversario di Marina Masoni indusse il giornale ad attenuare le critiche. Esiste come un tacito scambio di ruoli fra i tre quotidiani, e questo induce il presidente della Fondazione del Consiglio della Stampa, Enrico Morresi, ad affermare: «Bisogna leggerli tutti e tre, i giornali, per sapere veramente quel che accade in Ticino». Anche senza un proprio quotidiano a disposizione, presidenti di partito e granconsiglieri hanno sempre, se vogliono, la possibilità di farsi ospitare un articolo nei giornali. Inoltre sono spesso invitati a esprimersi, tanto spesso da far dire a uno di questi politici che i giornali talvolta danno l’impressione di considerare il Ticino l’ombelico del mondo, esagerando l’importanza delle cose che vi accadono. Altri interlocutori, per esempio gli ambientalisti, trovano più difficilmente la via delle pagine di giornale, i loro contributi finiscono esiliati nella pagina delle lettere dei lettori. Consiglieri di Stato onnipresenti Il ruolo dei consiglieri di Stato in Ticino è del tutto particolare, data la loro importanza come informatori. Ognuno di loro dispone di un collaboratore personale, in molti casi un ex-giornalista, che cura i rapporti con i media offrendo articoli o interviste con il capo. Quasi tutti i consiglieri di Stato hanno rapporti preferenziali con un giornale o con dei giornalisti. Fu evidente per esempio che Marina Masoni, eletta nel 1995, teneva il “Corriere” per portavoce. Durante quella campagna elettorale saltò fuori un fax che l’allora avvocatessa e granconsigliera aveva mandato al redattore di politica cantonale del “Corriere” per invitarlo a scrivere per lei articoli da pubblicare sullo stesso e su altri giornali. Il fax capitò in mano a un giornalista della concorrenza, che mise in piazza la gustosa storia. (…) Un paio d’anni più tardi si seppe che il destinatario del fax era stato assunto come consulente e portavoce della consigliera medesima. Giornalisti e direttori sono però del parere che, più di quelle politiche, siano quelle economiche le pressioni più efficaci. A un giornale che aveva riassunto senza commenti un comunicato di parte sindacale che metteva in causa la politica del personale di un grosso inserzionista, la ditta in questione fece sospendere ogni pubblicità. Non bastò che il giornale ricuperasse, il giorno dopo, il parere dell’impresa: prima della ripresa delle inserzioni dovette passare parecchio tempo. Meglio prevenire, allora, che dover medicare le ferite. Forse per questo i direttori sembrano del parere, per esempio, che con Migros e Coop sia meglio non essere troppo critici: un atteggiamento che non è tipico soltanto della stampa ticinese. Il principio vale anche quando non è in gioco l’interesse del giornale come tale. Fu evidente, per esempio, che “il Caffè" (…) informava con molta prudenza sullo scandalo alla Banca dello Stato, che è un importante committente di stampati per la tipografia proprietaria del giornale. L’editore della “Regione" (…) è intervenuto in extremis a bloccare una primizia concernente una banca dalla quale in un momento delicato aveva ricevuto un importante finanziamento. Non è il caso (dico io) di gridare allo scandalo: nemmeno oltre San Gottardo quella primizia sarebbe stata pubblicata! È vero d’altra parte che in quell’articolo, che occupava quasi una pagina intera, alla banca non era stata data la parola. Questo in Ticino capita spesso: che si aspetti il giorno dopo per dare la parola alla parte criticata, per il timore che possa intervenire per impedire la pubblicazione della prima informazione. Ma questa pratica è talvolta all’origine di derive incresciose. Al “Corriere”, spesso critico verso chi pratica un giornalismo poco serio, è capitato di pubblicare il nome di un collega giornalista “coinvolto”, si diceva, nell’inchiesta internazionale sulla pedofilia in rete. La notizia, non verificata neppure presso la magistratura, dovette essere smentita il giorno dopo. (…) Tutt’altro che un privilegio Con questa descrizione piuttosto cruda e forse discutibile di un ambiente professionale percorso anche da contraddizioni non intendo assolutamente strapazzare il Ticino come tale. Il privilegio di disporre di una densità mediatica fuori del comune e quasi di una radio e di una televisione tutta per sé è anche un’insidia. In un ambiente così “protetto” ci si sente facilmente l’ombelico del mondo, i moscerini diventano elefanti e una questione tecnica come la scelta di un impianto per l’incenerimento dei rifiuti perde ogni dimensione logica e assurge a guerra di religione, spacca il Governo, dà spazio ai populisti della Lega e avvelena per anni il clima politico. Ce ne fossero due o tre, di cantoni di lingua italiana, queste esagerazioni non sarebbero possibili. Se qualcuno poi dovesse da queste mie considerazioni trarre la conclusione che tutto il male è riconducibile al ramo ticinese della Ssr, per cui sarebbe opportuno ridurre la quota parte che le spetta dei mezzi a disposizione o, meglio ancora, privatizzarla, allora sarei stato compreso male e sarei disposto a buttare via tutto quel che ho detto. La Ssr, un esempio tipico di scelta federalista in favore delle minoranze, nonostante i punti deboli che ho descritto, continua a meritare il nostro sostegno. La più esposta ai condizionamenti è la Rtsi Più forte che nella stampa scritta è la posizione che la politica occupa alla Radiotelevisione della Svizzera italiana. Alla Rtsi la politica è tutto, è l’olio che lubrifica la macchina. Consiglio direttivo e Comitato della Corsi, la Cooperativa che governa l’azienda, da anni riflettono la composizione politica del governo cantonale. Solo parzialmente, in verità, perché attualmente, pur essendo fortemente rappresentati in Governo, né la Lega dei Ticinesi (che fu esclusa in votazione) né la destra liberale (poiché chi rappresenta i liberali non è della linea di Marina Masoni) sono rappresentati nel Comitato. Equilibri partitici da salvare Anche tra i dirigenti dell’ente radiotelevisivo l’equilibrio partitico è un obiettivo perseguito. Un esempio si è avuto con la successione a Marco Blaser come direttore regionale. Capitò che nessuno dei concorrenti soddisfacesse le attese del Comitato: mancava loro il profilo del dirigente d’azienda, si disse. In realtà non c’era nessuno del Ppd, il partito cui Blaser era vicino. E poiché anche tra i quadri dirigenti dei programmi radio e tv nessuno figurava vicino al Ppd, la ricerca fu estesa all’esterno. Fu interpellato anche Achille Casanova, vice-cancelliere della Confederazione. Poi ci si ricordò del consigliere nazionale Remigio Ratti, sfortunato concorrente alla successione di Flavio Cotti in Consiglio federale, economista e apprezzato direttore dell’Istituto delle ricerche economiche del Cantone. Si mosse di persona il banchiere Claudio Generali, liberale, presidente della Corsi, per offrire a Ratti il posto vacante, il quale disse: grazie, accetto. Subito dopo si fece la nomina dei direttori della Radio e della Televisione, e come logica vuole la funzione andò a due liberali. In seguito, alla Rete Uno della Radio fu nominato un socialista attivo al Telegiornale, preferito a un esperto uomo di radio. «Se i posti vanno assegnati secondo il partito, qualcosa deve toccare anche a noi», avevano argomentato i socialisti, premendo per la scelta. Più tardi, alla Televisione, non si volle prescindere da un democristiano per la funzione di capo del Servizio sportivo (tra i quadri la posizione del Ppd era debole) e un democristiano fu scelto malgrado non fosse il candidato più indicato. Nonostante tutti questi condizionamenti in sede di nomina, per molti aspetti la qualità dei programmi svizzero-italiani non ha niente da invidiare a quelli della Drs, in qualche caso addirittura li superano. Sotto la lente dei politici stanno in particolare le trasmissioni regionali alla Radio e alla Televisione. Sono i giornalisti e i responsabili di queste rubriche quelli che ricevono il maggior numero di telefonate: qualche volta dagli stessi consiglieri di Stato, più spesso da politici locali, presidenti di associazioni, artisti. C’è chi risponde: non è compito nostro far piacere a questo o a quello, noi abbiamo il dovere di rispettare precisi criteri giornalistici. Autorevolezza e lavoro accurato sono, secondo questi colleghi, la migliore prevenzione contro le pressioni. Un politico locale molto in vista, invitato alla radio per una registrazione, si arrabbiò perché venivano rievocate storie di anni passati e non voleva più partecipare. La giornalista poté spiegare con cortesia ma con fermezza che non l’ospite ma la conduttrice è responsabile della scelta degli argomenti: e il politico finì per accettare. Ma una posizione così decisa da parte dei giornalisti pare piuttosto l'eccezione che la regola. È vero invece che la maggior parte dei giornalisti, agli onnipresenti consiglieri di Stato, granconsiglieri, sindaci, imprenditori o sindacalisti si limitano a mettere il microfono sotto il naso, non fanno domande scabrose e rinunciano a rilanciare il quesito quando l’intervistato divaga. Il nuovo capo dell’informazione radiofonica (…) vorrebbe tanto che questo sistema cambiasse. (…) È un capo che esige dai suoi giornalisti indipendenza, credibilità ma anche determinatezza nella conduzione delle interviste o delle ricerche, che considera la distanza critica un valore centrale. (…) Quel che veniva tollerato fino a ieri (per esempio che fosse un giornalista membro della giuria di un premio letterario a fare il servizio per la Radio su quel premio) non è più ammesso. Qualche segno che le cose stanno cambiando si vede già, resta da vedere fino a che punto il nuovo responsabile riuscirà a tradurre in pratica i suoi propositi. La corsa alle telecamere Il medium preferito dai politici rimane la televisione. Un capo-settore riassume la situazione così: «I nostri politici sono molto viziati, sono costantemente in immagine: una cosa che i loro colleghi di altri cantoni si sognano». Questo i politici lo riconoscono. Felici, dunque, oltre che viziati? Non sempre, anzi: in certe situazioni molti di loro preferirebbero essere lasciati in pace. Dopo le rivelazioni su uno scandalo alla Banca dello Stato, un giornalista di “Falò” (…) cercò di intervistare un granconsigliere che attualmente presiede il Consiglio d’amministrazione della banca. Avutone un rifiuto, andò avanti lo stesso con la preparazione e alla fine il presidente fu informato che il servizio sarebbe andato in onda. L’avvocato della banca intervenne allora presso il responsabile del Dipartimento dell’informazione e successivamente presso il produttore di “Falò”, i toni si accesero, fu minacciata una querela. Il produttore chiese al responsabile dell’Informazione di assumersi la responsabilità e la trasmissione fu diffusa. (…) Le pressioni più frequenti si registrano come detto al “Quotidiano”, dove operano molti giornalisti al primo impiego. Qui, anche per i più esperti, vale la regola che un giorno ci si debba occupare di un’apertura di scuole, il giorno seguente di un avvenimento che riguarda una banca, il seguente ancora dell’assemblea di un ordine professionale. A occuparsi del caso della banca, dove forse si prospetta un nuovo scandalo, è così sempre un giornalista nuovo, che deve calarsi da capo nella situazione e che perciò non è in grado di rilevare le novità. Alcuni collaboratori, compresi alcuni quadri dell’azienda, deplorano questa dispersione di forze. La spiegazione ufficiale è che una specializzazione sarebbe, organizzativamente, impossibile; né sarebbe opportuno che una trasmissione d’attualità anticipasse con l’esercizio della critica altre trasmissioni a ciò deputate. Chi non è d’accordo ribatte che in tal modo si buttano i giornalisti in acqua senza mai abituarli a esercitare indipendenza e distanza critica. L'università, un tema tabù Colpisce che né la radio né la televisione abbiano finora offerto una trasmissione di critica dell’Università della Svizzera italiana, in funzione da cinque anni. È il freno istituzionale che è tirato? Il direttore della Televisione è membro del Consiglio dell’Università, occasionalmente vi tiene lezioni. Chi si è occupato maggiormente di università per la radio è allo stesso tempo incaricata delle pubbliche relazioni e collaboratrice dell’Istituto di storia delle Alpi dell’università medesima. Un giornalista radiofonico si è sentito criticare dal consigliere di Stato e direttore del Dipartimento dell’educazione perché un suo contributo, lievemente critico, era «prematuro». Poco di concludente si è potuto leggere sui giornali ticinesi dopo le improvvise e polemiche dimissioni del direttore dell’Accademia di Architettura. Un redattore dei servizi culturali della radio ha cercato di mettere a confronto il primo direttore dell’Accademia e un professore amico del direttore dimissionario, ma il primo direttore è intervenuto presso il superiore del giornalista per chiedere di avere di fronte un altro interlocutore e il redattore, allora, ha lasciato perdere il confronto e si è accontentato di due interviste. Un nuovo tentativo di inchiesta basato su dichiarazioni raccolte tra studenti dell’Accademia, talune molto franche, è stato mandato in onda più tardi ed ha avuto lodi dalla stampa. Il responsabile dell’informazione televisiva afferma di non aver mai impedito trasmissioni di critica sull’Uni alla Tsi. Vero, ma da lui non è venuto mai neppure un incoraggiamento in quel senso. Tutto in tre tesi Così Beat Allenbach riassume in tre tesi la sua ricerca sui media in Ticino: • I politici respingono l’addebito di usare mezzi di pressione contro redazioni o singoli giornalisti. In Ticino, tuttavia, una critica forte formulata contro un giornalista o una redazione non può essere interpretata solo come esercizio della libertà d’espressione. Nella situazione particolare di questo cantone, dai giornalisti stessi o dai loro superiori essa è avvertita come un monito a usare maggiore ritegno in futuro: l’effetto è dunque quello di una pressione. • La circostanza che in Ticino tutti si conoscano “neutralizza” la volontà di indipendenza dei giornalisti. L’indipendenza come cultura, come pure l’idea di una responsabilità che i giornalisti hanno nei confronti dell’opinione pubblica, non sono molto sviluppate. (…) • Alla Rtsi, e specialmente alla Televisione, è diffusa una concezione del servizio pubblico come disponibilità a illustrare le intenzioni e i pareri del Governo, piuttosto che come ricerca dei punti deboli della politica. Secondo il “testamento giornalistico” di Andreas Blum, l’ex-direttore della Radio della Svizzera tedesca, il giornalista deve invece distinguersi, oltre che per indipendenza ed equità, anche per un radicale scetticismo. Da questa concezione i media ticinesi sembrano decisamente lontani.

Pubblicato il

29.11.2002 04:00
Beat Allenbach