Il gelido vento americano

Che ci piaccia o no, avremo altri quattro anni di George Bush. Appena si sono chiuse le urne, come per incanto i media americani hanno smesso di parlare di sicurezza e di guerra al terrorismo. Se non ci fosse la battaglia di Falluja, anche l’Iraq sarebbe un tema secondario. Agli americani interessano adesso solo i temi di politica interna. Il presidente non ha tempo da perdere. Sa di avere relativamente poco tempo per realizzare le grandi riforme che ha nel cassetto. Deve cercare di portare a termine più cose possibili nell’arco dei prossimi due anni, prima delle elezioni di mezzo termine. Dopo comincerà la nuova corsa alla Casa Bianca e per il presidente le grandi riforme diventeranno più difficili da realizzare. È chiaro che i 9 milioni di voti in più che ha ottenuto questa volta rispetto a quattro anni fa lo hanno reso più sicuro. Se dopo l’11 di settembre aveva in mente solo di portare la democrazia americana nel mondo, costi quel che costi, adesso sembra deciso a risolvere i problemi dell’America in modo radicale. Si sa in che direzione vuole andare. La sua parola chiave è privatizzare. In cima alla sua lista c’è la riforma della Social Security, l’Avs americana. Il progetto che ha in mente cambierà radicalmente il concetto di sicurezza sociale. Lo Stato si ritirerà gradualmente per lasciar posto a soluzioni individuali e private. E non facciamoci illusioni. Se questa riforma passerà prima o poi il suo riverbero arriverà anche alle nostre latitudini, perché in Europa l’invecchiamento della popolazione è ancora più netto che negli Stati Uniti. Il primo nodo che Bush deve sciogliere è comunque quello del deficit pubblico che ammonta a 413 miliardi di dollari. Bush era convinto che i suoi tagli fiscali avrebbero stimolato l’economia e la crescita avrebbe alimentato le casse dello Stato. Finora i risultati sono stati inferiori alle aspettative. Adesso sembra essere passato al piano B: da quando è stato eletto ha lasciato che il dollaro vada per la sua strada e non ne impedisce la svalutazione. Spera naturalmente che un dollaro debole favorisca le esportazioni americane. Insomma se la crescita non arriva con il taglio delle tasse, il miracolo lo potrebbe fare il dollaro. Questa mossa farà forse bene all’economia americana, ma potrebbe avere gravi conseguenze per quella europea che vive d’esportazione. Come inizio è decisamente poco promettente.

Pubblicato il

12.11.2004 00:30
Anna Luisa Ferro Mäder