Giovanni (nome di fantasia) ha 24 anni. È un infermiere diplomato. Ha lavorato in una struttura pubblica per diverso tempo e poi, per ragioni legate alla sua difficoltà di affrontare quotidianamente la sofferenza altrui, ha deciso di intraprendere una formazione come giardiniere. Ha trovato un'azienda in grado di formarlo in modo adeguato e ha cominciato il suo nuovo cammino come apprendista.
Giovanni vive da solo e si mantiene in modo autonomo dalla famiglia. Non ha fatto capo alle indennità di disoccupazione (anche perché ha lavorato fino al giorno prima di cominciare l'apprendistato) e non ha chiesto aiuto a nessuno per il malessere che viveva nella sua precedente attività professionale.
Giovanni la scorsa settimana ha interrotto la sua formazione come giardiniere. Non ce la faceva a mantenersi e ad onorare i suoi impegni finanziari. Nei due mesi passati ha fatto capo all'aiuto da parte della famiglia, degli amici e del datore di lavoro, ma ormai il tutto stava diventando insostenibile per lui. L'Ufficio borse di studio avrebbe potuto confermare il diritto di Giovanni alla borsa e poi versargliela, ma solo dopo diversi mesi. Un tempo troppo lungo per Giovanni. Che tornerà dunque a fare l'infermiere. E francamente, avendolo conosciuto in questi mesi, credo che sarà un infermiere coscienzioso e serio. L'augurio è che impari presto a prendere le necessarie distanze emotive dalle sofferenze dei suoi pazienti.
La storia di Giovanni è una delle tante che attraversano il mondo della formazione professionale. E certamente non è tra le più drammatiche. Negli ultimi mesi, tra i miei allievi ho avuto altri due casi del genere. E con risvolti ben più preoccupanti!
Il problema è quasi sempre lo stesso e cioè il fatto che manca un sostegno concreto ed efficace nella rete sociale esistente per questi giovani adulti, salvo il caso in cui non siano riconosciuti formalmente come casi davvero difficili. Un "buco" molto preoccupante, soprattutto in questo particolare momento storico in cui la disoccupazione giovanile continua a crescere e in presenza di una Legge sull'assicurazione disoccupazione che penalizza fortemente questi giovani. Un sostegno lacunoso dunque per queste realtà e in particolare per la fascia di età che va dai 18 ai 25 anni. Un periodo peraltro molto importante nella vita degli individui e dei cittadini di domani, spesso determinante per il futuro delle persone.
Sarebbe dunque tempo che la politica si chinasse seriamente su queste situazioni, facendosi finalmente carico di realtà che si sono trasformate nel tempo, introducendo nelle leggi di riferimento i necessari correttivi affinché Giovanni e tutti quelli  come lui possano davvero affrontare le loro scelte formative con il necessario sostegno.
La politica sembra sempre impossibilitata a farlo. A parole tutti sono d'accordo e condividono in pieno queste preoccupazioni. Ma poi, alla prova dei fatti, non è mai il momento giusto per rendere operative queste scelte.
Quasi sempre perché mancano i soldi. Quasi fosse  un problema solo contabile e non fosse invece un problema squisitamente e strettamente politico quello di consegnare ai giovani il diritto e la responsabilità di costruire il loro futuro con i necessari strumenti per farlo.
Verrebbe allora da dire: se non ora, quando?

Pubblicato il 

07.12.12

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