La squadra di ricercatori della Supsi ha un obiettivo ambizioso: diradare il nebuloso mondo dell’ultima frontiera delle forme di lavoro, quello gratuito. E vorrebbe raccontare le storie dei suoi protagonisti oggi invisibili nelle statistiche ufficiali. Per farlo, ha bisogno di voi. «Attraverso il sito internet e il forum, vorremmo dar voce a chi ha avuto esperienze di lavoro gratuito o sottopagato, perché raccontino il proprio vissuto positivo o negativo che sia. Ma non solo. Dal punto di vista metodologico, questa modalità è uno strumento per far emergere realtà oggi invisibili, che non appaiono statisticamente perché non sono stati concepiti dei sistemi per censirli e quantificarli» spiega ad area Pasqualina Cavadini, una delle ricercatrici Supsi responsabile del progetto “Free work, tra lavoro libero e lavoro gratuito”. Delle mutazioni nel mondo lavorativo e delle sue ripercussioni sulla società, il Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale (Deass) della Supsi si occupa fin dal 2000. Lavoratore temporaneo, su chiamata, finto part-time, pseudo indipendente sono solo alcuni esempi della lunga catena di rapporti di lavoro inventati negli ultimi decenni. Tutte forme di lavoro generalmente riassunte nel termine tanto di moda di“flessibilità”, «da declinare in precarietà» completa Christian Marazzi, professore e ricercatore della Supsi. Gli studi precedenti della Supsi «hanno messo in rilievo la fragilità e la precarietà che contraddistinguono la società dei lavori fino a far emergere questa nuova frontiera: il lavoro gratuito. Expo 2015 è stato l’evento che ha portato alla ribalta il tema, poi assurto a tema di dibattito e ricerca nelle facoltà di sociologia di vari paesi europei, e anglosassoni». Un’ultima frontiera, quella del lavoro gratuito, che ora i ricercatori della Supsi vogliono analizzare alla luce del contesto attuale. «La profonda trasformazione del lavoro negli ultimi decenni ha visto il dilagare di nuove forme di impiego sempre più flessibili e precarie – si spiega nella nota introduttiva alla nuova ricerca. – Il lavoro stabile con un contratto a tempo indeterminato è stato travolto nella bufera della globalizzazione, della diffusione delle nuove tecnologie e della finanziarizzazione. In questa nuova configurazione economica il lavoro salariato lascia il campo a nuove forme di occupazione flessibile, sempre più invisibili e addirittura non riconosciute». Uno dei principali obiettivi della nuova ricerca Supsi sull’ultima frontiera del lavoro gratuito è analizzare le potenzialità e i limiti della statistica ufficiale nell’intercettare questo fenomeno. «Non nascondiamo che sarebbe un motivo di grande soddisfazione riuscire a trasmettere alla statistica pubblica la voglia di andare oltre la definizione corrente e restrittiva di lavoro non remunerato» aggiunge Cavadini. Infatti, l’Ufficio federale di statistica contabilizza il lavoro non remunerato ma limitato alla sola economia domestica e al volontariato. Una scelta statistica frutto delle rivendicazioni femministe degli anni ’70, dove si chiedeva il riconoscimento dell’importante contributo alla società dei lavori domestici e compiti educativi a cui erano relegate soprattutto le donne. Un ruolo fondamentale fino ad allora invisibile. Per la cronaca, aggiungiamo che nel 2013 in Svizzera le ore di lavoro non remunerato censite hanno superato di un miliardo le ore di lavoro retribuite. Se alle ore dell’economia domestica e volontariato si aggiungessero le modalità di lavoro gratuito che lo studio della Supsi ambisce a intercettare, la discussione sul riconoscimento avrebbe un altro impatto. Ma a quali forme di lavoro gratuito si riferiscono i ricercatori Supsi? «È una vera nebulosa, contenente molteplici forme. Lo stage ad esempio sta assumendo sempre più importanza, così come l’estensione del concetto di volontariato, un tempo confinato al “far del bene agli altri”» spiega Spartaco Greppi, membro del gruppo di ricerca. Sia stage che volontariato esistono da decenni, ma negli ultimi tempi si stanno “snaturando” dalla concezione iniziale, diventando dei modi come altri per sottopagare (o non pagare del tutto) la forza lavoro. «Oppure i casi delle aziende che hanno aumentato l’orario di lavoro settimanale dei dipendenti senza una contropartita salariale o altro tipo di compenso» aggiunge il professor Greppi. È quanto successo in molte ditte svizzere e ticinesi quando la Banca nazionale abbandonò il cambio fisso del franco. Nei fatti, i dipendenti lavoravano gratuitamente delle ore non previste dal contratto. Vi è poi tutto l’universo del lavoro gratuito delle nuove tecnologie. «Si pensi a chi “tagga” per Mturk Amazon dei prodotti oppure fa le recensioni dei libri sempre per Amazon, lavora gratuitamente facendo guadagnare molti soldi all’azienda» completa il professor Greppi. Un universo di forme quasi infinito, difficile da riassumere nella sua complessità. Ma vi è un denominatore comune alla base di queste molteplici forme. «Perseguono tutti la logica di abbattere i costi del lavoro – chiarisce Greppi – D’altronde è una costante nel tempo, almeno dalla prima rivoluzione industriale». La quarta rivoluzione tecnologica odierna non fa altro che perseguire il medesimo obiettivo con sofisticate tecnologie. E questo continuo attacco alla retribuzione delle persone rischia di avere degli effetti devastanti sulla società, minando le radici della coesione sociale. Ancora Greppi: «L’affermarsi su vasta scala del lavoro poco o non remunerato contribuisce a sviluppare la cosiddetta Gig economy, ossia l’“economia dei lavoretti”. Parallelamente si riduce l’incidenza complessiva del lavoro remunerato nella forma salariale. Vengono così a mancare i prelievi sotto forma di imposte e contributi sociali su cui si fondano il funzionamento dello Stato e la coesione sociale». E pensare che c’è chi le chiama società avanzate.
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