«Io non ci sarò. Scrivilo sul giornale!». Il municipale Marco Ferrazzini intende manifestare così il suo disappunto verso l’importante avvenimento culturale che investirà questo fine settimana il Cinema Teatro di Chiasso (l’inaugurazione è un omaggio ai 20 anni di carriera di Gardi Hutter). Non c’è stato verso di sapere perché il rappresentante della sinistra in municipio non parteciperà a questo doppio appuntamento che prevede venerdì la presentazione di un libro dedicato alla storia dell’edificio e sabato l’inaugurazione ufficiale. Per saperne di più abbiamo dunque dovuto rivolgerci a chiassesi un po’ più loquaci. «Il libro non vuol essere assolutamente un amarcord» spiega Vittorio Enderli presidente dell’Associazione Amici del Cinema Teatro che ha promosso la pubblicazione del testo: «ci sarà una componente della memoria composta da una serie di fotografie d’epoca e una proiezione verso il futuro con contributi sui lavori di ristrutturazione e sulla programmazione futura». La pubblicazione vuole sottolineare l’importanza dell’inaugurazione della struttura. Una tappa importante nella vita culturale del comune di Chiasso che Enderli sintetizza così: «nei decenni passati c’era un tessuto sociale molto forte che è l’espressione di un contesto sociale tutt’altro che anonimo. Negli ultimi anni è venuta a mancare la piazza economica e non c’era neanche un polo culturale adeguato. Oggi il comune grazie alla lungimirante scelta operata un decina di anni fa di assumere un operatore culturale si sta sprovincializzando. Chiasso potrebbe fungere da faro per tutto il Mendrisiotto e le regioni limitrofe. Molti comaschi vengono nella nostra città per seguire degli spettacoli». Dalle parole di Enderli traspare chiaramente l’importanza che ha avuto il coordinatore culturale per il raggiungimento di questo importante traguardo. Ruolo che, tra l’altro, Chiasso ha introdotto per primo in Ticino. E la memoria corre subito alle recenti quanto sinistre «esibizioni» del sindaco di Lugano che ha stracciato in pubblico un’intervista concessa da Fabio Pusterla alla Regione in cui si consigliava alla terza piazza finanziaria del cantone l’assunzione di un operatore. Il suo ruolo, secondo Pusterla, sarebbe potuto essere coordinare le proposte culturali che giungono dal basso. Ma cosa vuol dire «coordinare le proposte che giungono dal basso»? Per capirlo ci siamo rivolti a Guido Giudici che da una decina d’anni gestisce con la moglie Daniela la galleria d’arte Cons’arc a Chiasso. «A partire dal ’92 abbiamo organizzato una volta all’anno un corso di fotografia. Sono stati nostri ospiti conferenzieri del calibro di Basilico, Radino, Flammer o René Burri. La collaborazione del comune consisteva in uno scambio anche economico dove i partecipanti vedevano ridotta la loro quota di iscrizione in cambio di una fotografia che rimaneva di proprietà del comune di Chiasso». La sinergia è evidente: «Da una parte grandi autori che hanno portato visioni più internazionali nella conoscenza della fotografia a Chiasso. Dall’altra parte il comune ha acquisito immagini sulla cittadina iniziando di fatto un archivio fotografico di Chiasso». Guido Giudici è a tutti gli effetti un privato che fa cultura e quindi una delle dimostrazioni viventi che la figura di un operatore culturale non tarpa l’iniziativa dei privati. Anzi: la promuove. E Giudici non è certo un caso isolato: basti pensare al Cineclub del Mendrisiotto o alle molte altre iniziative simili. Viene dunque anche a cadere l’argomento con cui il vicesindaco di Lugano Erasmo Pelli, sempre su la Regione, cercava di calmare le acque qualche giorno dopo la scenata pubblica del sindaco di Lugano: «La mia preoccupazione è semmai che se avessimo un Domenico Lucchini di turno rischieremmo di scontarci con molti altri avvenimenti organizzati da queste realtà culturali locali» aveva detto Pelli. Per Giudici un argomento che non regge: «per una piccola organizzazione come la nostra collaborare con le istituzioni è a dir poco ideale». E per il pubblico? «L’evoluzione tiene il passo con le altre discipline – conclude Giudici – la risposta che dà il pubblico è in media con le altre manifestazioni culturali». Preoccupa invece la risposta che hanno saputo dare gli ambienti economici della cittadina che dopo il fallimentare progetto casinò non sembrano reggere il ritmo di questo progetto di rilancio. «Il progetto Casinò era promosso da privati» replica il sindaco Claudio Moro: «il comune ha avuto un ruolo di sostegno. Ci abbiamo creduto perché sarebbe stato importante per l’economia della nostra regione. Purtroppo la politica ci ha negato questa possibilità e stiamo ancora aspettando le motivazioni. In una democrazia mi sembra una situazione inaccettabile». Il comune da solo però non può continuare a sviluppare l’offerta. Questo non vi fa intravvedere qualche nube all’orizzonte? «Le grandi banche hanno offerto delle sponsorizzazioni. A livello politico ritengo che dobbiamo approfondire molto il discorso della fusione del nostro agglomerato. Avremmo solo da guadagnarci nei confronti dei poli forti del cantone. I due grandi progetti economici per il futuro, il Pian Faloppia e la stazione comune Chiasso-Como, devono per forza guardare verso la Lombardia. Le nostre risorse sono lì». Ma non solo, conclude il sindaco, anche nella grande progettualità dei chiassesi: «sul tavolo del consiglio di stato vi sono i progetti per la formazione: alludo alla facoltà dell’Usi oppure al progetto Supsi a Chiasso. Ma anche lo sforzo che il comune ha fatto per sviluppare l’ex Sqea mi sembra significativo». Indirettamente è anche la dimostrazione che la cultura in tutti questi anni è diventato un valore funzionale rispetto alle problematiche negative che sta vivendo la cittadina. «Il lavoro che abbiamo svolto a Chiasso ha una valenza sociale» interviene Domenico Lucchini: «abbiamo cercato di legare le proposte culturali al territorio e di non far convergere sulla città una cultura di facciata». Una strategia agli antipodi di quella proposta da Lugano: la cultura come specchio della valenza di una cittadina. E che produce indotto economico. «Non bisogna disgiungere cultura e economia. Lugano fa questo discorso: facciamo le grandi mostre perché ci costano un milione ma ne portano in cassa due. Noi non siamo partiti da questo concetto. O preconcetto. Chiasso non è una cittadina turistica». Una strategia culturale scevra da ogni forma di presunzione, dunque, che si è rivelata vincente: «abbiamo seguito in modo naturale una logica delle cose. Per questo è stato molto e più faticoso che in altre situazioni». Chiasso è dunque un modello di città che cresce grazie alla cultura? «Di fatto non è così però nelle prospettive che vedo per il futuro, la cultura può essere uno strumento molto importante. Non una compensazione ma una crescita dell’arricchimento spirituale dei cittadini». Si spieghi meglio? «Parto lasciando l’idea di creare un comparto culturale in cui c’è già una biblioteca, un teatro e domani uno spazio espositivo. E tutto questo potrà essere condensato in un progetto di polo culturale transfrontaliero». Un sogno? «No: la cultura di frontiera come osservatorio privilegiato per vedere i movimenti della società, le crescite e i passi indietro... Mi sembra una prospettiva di crescita interessante e questo senza voler trasformare Chiasso in una metropoli culturale». Un progetto di management culturale che Domenico Lucchini osserverà con un certo distacco. «Fossi rimasto avrei lavorato sicuramente in questa direzione». Dal primo gennaio dell’anno prossimo il suo impegno sarà tutto dedicato alla conduzione del Centro culturale svizzero di Milano.

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07.12.01

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