Dopo le accuse di razzismo per le sue affermazioni sui richiedenti l'asilo nigeriani, area ha cercato di capire chi è il nuovo mister migrazioni Alard du Bois-Reymond, andando oltre il suo impeccabile curriculum professionale. Alla fine della nostra ricerca abbiamo deciso di scrivergli una lettera. Eccola:

Egregio signor du Bois-Reymond,
innanzitutto mi scuso per il ritardo nel felicitarmi per la sua nomina a direttore dell'Ufficio federale della migrazione. Una nomina peraltro meritata: stando al suo curriculum, lei è una persona di tutto rispetto e perfettamente idonea a coprire la carica attuale. Due cose di lei mi hanno colpito: che sua moglie è congolese e che suo padre ha perso entrambe le gambe a causa dell'esplosione di una mina durante la seconda guerra mondiale. È quindi legittimo aspettarsi da lei una certa sensibilità alla causa dei portatori di handicap e a quella dei migranti. E invece, se le sue esperienze professionali sono notevoli e concordano con questa aspettativa, la sua attitudine e le sue dichiarazioni lasciano quanto meno perplessi.
La sua carriera è costellata di episodi nei quali ha dato prova di poca flessibilità, perché, come ha affermato lei stesso di recente: «per essere umanitari bisogna essere rigidi, altrimenti è la rovina». Un po' meno rigido invece lo è nel suo stile comunicativo, con il quale spalanca le porte ai pregiudizi con affermazioni poco scientifiche ma di grande impatto emotivo. Lei si giustifica dicendo che le piace parlar chiaro e che non ama il "politicamente corretto" perché «impedisce di essere franchi».
Quando dice che le piace "parlar chiaro", intende come ha fatto con la recente campagna dell'Ufficio federale delle assicurazioni sociali (Ufas)? Pensava davvero che l'unico modo per sensibilizzare la popolazione all'integrazione dei diversamente abili e rompere con i tabu, era farlo con frasi dello stile: "basta pagare per gli handicappati" oppure "gli handicappati non vogliono lavorare"? È vero, il seguito della campagna prevedeva di completare poi i cartelloni con dei sottotitoli che avrebbero cambiato il senso di queste frasi, ciò non toglie che molte persone si sono sentite offese e ferite da quei cartelloni, al punto che la campagna è stata ritirata perché giudicata troppo scioccante.
Ma cominciamo dagli esordi della sua carriera. A 29 anni, quando era in Somalia come delegato per il Comitato internazionale della croce rossa (Cicr), ha negato acqua e cibo ad un gruppo di nomadi somali (donne, uomini e bambini) affamati e in fuga dalla guerra. Infatti, calcolatrice e tabelle alla mano, era arrivato alla conclusione che queste persone non rientravano, anche se di poco, nelle categorie per le quali il Cicr doveva prestare soccorso, perciò niente aiuti e li ha mandati via. Complimenti comunque per essersi preso la briga di andare personalmente a comunicare la sua decisione negativa ai diretti interessati, assumendosi il rischio di farsi prendere a sassate. È vero, oggi ammette di essere stato un po' troppo rigido in quell'occasione (errori di gioventù?), ma il suo motto resta lo stesso: «duro ma giusto».
Motto che l'ha accompagnata anche negli anni in cui era responsabile dell'Assicurazione invalidità (Ai), dove ha portato avanti una linea dura contro gli abusi ai danni dell'Ai, soprattutto da parte degli stranieri. Infatti, nel 2008, quando ha presentato alla stampa la possibilità per il suo Ufficio di avviare indagini segrete per verificare eventuali abusi, lei ha voluto tranquillizzare la popolazione dicendo che queste violazioni della sfera privata sono giustificabili solo in particolari circostanze, affermando che tra queste «c'è sicuramente il fatto di essere migranti». Poi, l'anno scorso, presentando i risultati del progetto pilota (in Kosovo e Tailandia) di lotta alle frodi all'estero, ha affermato che in alcune regioni «è noto che il rischio di frode è superiore alla media, in particolare in alcuni Paesi dei Balcani e in Turchia». Non è però chiaro su quali basi, secondo lei, questi paesi siano più propensi all'imbroglio. Tra l'altro, sarà casuale, ma è proprio quando lei era alla testa del settore Ai che il Governo elvetico ha deciso di non rinnovare l'accordo di sicurezza sociale con il Kosovo (veda area del 23 aprile).
In ogni caso, visto il suo feeling con quella fetta di popolazione residente in Svizzera che proviene da altri paesi, era quasi inevitabile che venisse prima o poi nominato direttore dell'Ufficio federale della migrazione. E infatti, non ha perso tempo per dimostrare la sua sensibilità alla loro causa, pronunciandosi subito riguardo all'integrazione dei musulmani in Svizzera: «dei 350 mila musulmani che risiedono nella Confederazione, circa 10 mila sono molto credenti. È a questi ultimi che bisogna far capire i nostri valori e le leggi in vigore nel nostro Paese». Poi però se l'è presa anche con gli svizzeri, quelli convertiti all'Islam, dicendo che tra loro «ci sono delle persone che intendono creare una società completamente diversa, e questa idea ha già fornito terreno fertile per potenziali terroristi in Germania e Gran Bretagna». Anche in questo caso però si è scordato di rendere credibili le sue affermazioni con dei dati più precisi e puntuali.
L'ultima sua uscita "in stile" è stata sui richiedenti l'asilo nigeriani: secondo lei non avrebbero nessuna possibilità di ricevere una risposta positiva alla loro domanda d'asilo perché «si tratta di persone che non vengono in Svizzera per motivi umanitari, ma economici. Sono qui per fare affari illegali soprattutto nel commercio della droga». Alle accuse di razzismo che hanno seguito queste sue affermazioni, ha risposto che si è semplicemente attenuto ai fatti: l'anno scorso un solo nigeriano ha visto accolta la sua domanda d'asilo, su oltre 1'700 domande «quindi il 99,5 per cento di loro non ha possibilità di veder accolta la sua domanda». Evidentemente, ognuno ha la sua logica nell'interpretazione dei fatti e nell'utilizzo dei numeri, ma il nesso tra la propensione dei nigeriani alla criminalità, il motivo per il quale chiedono asilo in Svizzera e il fatto che solo una domanda sia stata accettata nel 2009 non è proprio chiaro con questa sua spiegazione. Inoltre, come d'abitudine, ha scordato di accennare alle solite "basi scientifiche" a prova delle sue affermazioni.
Quindi, egregio signor du Bois-Reymond, in futuro cerchi di parlare magari meno "francamente", ma di spiegarsi meglio, utilizzando nella comunicazione la stessa rigidità matematica che applica nel concedere le prestazioni. Altrimenti rischia di essere frainteso e si potrebbe addirittura pensare che lei abbia dei pregiudizi. Augurandole di capire che per essere giusti non è necessario essere duri, colgo l'occasione per porgerle i miei migliori saluti.

Pubblicato il 

07.05.10

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