Le temperature di questo gennaio ci portano a pensare a un ritorno alla normalità. La comunità dei climatologi sembra essere d’avviso diverso: a preoccupare è il costante aumento della temperatura superficiale terrestre (terraferma e oceani) e le possibili conseguenze. Tra cui il rischio di un mutamento delle correnti marine. Come quella chiamata del Golfo ˗ cuore del sistema climatico terrestre ˗ che svolge un ruolo essenziale nella ridistribuzione del calore e nella regolazione delle condizioni meteorologiche in tutto il mondo. Dovesse cessare, avvertono gli specialisti, potremmo avere “freddo estremo in Europa e in alcune parti del Nord America, innalzamento del livello del mare lungo la costa orientale degli Stati Uniti, interruzione dei monsoni stagionali che forniscono acqua a gran parte del mondo”. Insomma uno scombussolamento con conseguenze inimmaginabili.
“Vi sono limiti allo sviluppo che bisogna trasformare in equilibrio globale e per riuscire ad indirizzarlo razionalmente dobbiamo cominciare a pensare, e presto, in modo globale e a lungo temine” recita il frontespizio de “I limiti dello sviluppo: verso un equilibrio globale” noto come Rapporto del club di Roma apparso nel 1972 che raccoglieva gli studi svolti al Massachussetts Institute of technology (MIT). Una pubblicazione ricca di fatti, analisi, problemi nonché proposte di soluzione che suscitò reazioni contrastanti: ammirazione perché sollevava nuove e fondamentali questioni sulle implicazioni del modello di sviluppo in auge; ma anche fastidio perché invitando a rivedere tale modello, metteva in causa gli interessi di parte (sia economici delle imprese multinazionali, sia geopolitici).


A 50 anni di distanza, malgrado ulteriori e fondamentali approfondimenti riguardo a cause e ripercussioni svolte sotto l’egida delle Nazioni Unite da specifici enti intergovernativi, siamo sostanzialmente ai piedi della scala: grandi dichiarazioni d’intenti, ma vaghezza riguardo a misure, relativi obiettivi e risultati attesi, oltre che nessun impegno vincolante sottoscritto dagli stati ad agire. Addirittura ulteriori spostamenti delle scadenze come avvenuto al recente COP 28 di Dubai. Di conseguenza non solo persistono, ma si amplificano i problemi ambientali.
Ogni sistema vivente, ogni ecosistema, secondo Ilya Prigogine è “una struttura dissipativa”, cioè un “sistema complesso lontano dall’equilibrio e che viene mantenuto in vita da un continuo flusso di energia necessario per riorganizzarlo”. L’essere umano non sfugge a ciò, come tutti gli esseri viventi, non potendo produrla, deve appropriarsene. La storia umana è quindi legata alla capacità di procacciarsi l’energia: predatore, cacciatore, coltivatore, allevatore via via fino all’uso delle risorse fossili da cui prese avvio la rivoluzione industriale.


La “rivoluzione verde” avviata a fine anni 60 del secolo scorso fu ritenuta ulteriore “conquista” per risolvere il deficit crescente di produzione di beni alimentari. Ma era negare nuovamente le leggi della termodinamica perché fertilizzanti, fitofarmaci, oltre che mezzi tecnici necessari non sono altro che “energia sussidiaria” ricavata mediante l’uso di idrocarburi frutto del complesso lavoro della natura!
Ma l’umanità se vuole sopravvivere deve giocoforza adottare un sistema economico consono. Modelli ed esperienze esistono; a far difetto è invece la volontà di cambiamento dei principali attori ovvero dei paesi occidentali ed emergenti.

Pubblicato il 

30.01.24
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