La maggior parte degli indicatori del settore industriale svizzero non ha dato alcun segno di ripresa nel quarto trimestre del 2002. Rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, la produzione è diminuita del 2,1 per cento e il giro d’affari ha subito un calo dell’1,1 per cento. È quanto indica l’Ufficio federale di statistica (Ustat). Seppure gli ordinativi hanno registrato un leggero incremento dell’1,3 per cento, le commesse in portafoglio sono diminute dell’1,1 per cento e gli stock di merci del 2,2 per cento.
Nel trimestre in rassegna la produzione (costruzioni escluse) è scesa soprattutto nel settore dei beni di consumo, come si era già verificato nel trimestre precedente, prosegue la nota dell’Ustat. Per la prima volta dal secondo trimestre del 2001, l’andamento dei beni di investimento non è più di segno negativo.
Le diminuzioni più ingenti si sono avute nelle costruzioni e nel ramo altre industrie manifatturiere. Gli ordini in portafoglio si sono ridotti per il quinto trimestre consecutivo (1,1 per cento). Si è quindi in piena recessione.
Per far fronte a tale situazione negativa, il Sindacato dell’industria, della costruzione e dei servizi (Flmo) ha presentato lunedì un piano di rilancio. Piano suddiviso in 12 punti e per nulla velleitario, anzi.
«La recessione non è una fatalità», ha dichiarato Jean-Claude Rennwald, membro del comitato esecutivo del sindacato Flmo, che a inizio settimana ha illustrato a Berna un programma di rilancio dell’economia. Esso prevede misure congiunturali (investimenti pubblici anticiclici e maggiore offerta di posti di lavoro per apprendisti) cui si alternano misure strutturali a favore della formazione continua e la creazione di nuove imprese.
Presa di mira anche la Banca nazionale svizzera, cui Rennwald ha rimproverato di aver condotto una politica monetaria che ha apprezzato il valore del franco. A suo parere, «si tratta di una politica che favorisce soprattutto coloro che vogliono piazzare capitali in Svizzera nascondendosi dietro il segreto bancario». «A soffrirne è l’industria – ha sottolineato – a causa del calo delle esportazioni».
Delle altre misure proposte abbiamo parlato con Renzo Ambrosetti, presidente nazionale della Flmo.
Signor Ambrosetti, un altro strumento che a giudizio di molti blocca lo sviluppo dell’economia è il cosiddetto “freno all’indebitamento”. Il sindacato vorrebbe eliminarlo?
Purtroppo non si può eliminare questo strumento che il popolo ha accettato in votazione popolare. Possiamo però renderlo meno vincolante, o meglio relativizzarlo. Siamo in crisi; l’orizzonte economico – con la guerra in corso – è ancora più fosco. Possiamo dire che a situazioni estreme, si risponde con estremi rimedi. Se c’è quindi la volontà politica, tutto è possibile. Magari attraverso decreti federali urgenti. Questo “freno” è controproducente, specialmente in una situazione di bassa congiuntura. In questo periodo il Consiglio federale dovrebbe attuare politiche anticicliche. In realtà Villiger fa esattamente l’opposto: risparmia.
Magari anticipando determinati investimenti?
Certamente. La Confederazione ha già deciso degli investimenti pubblici programmati. Anticipiamoli anche ricorrendo all’indebitamento. Rompiamo questo tabù. Se si risparmia e si taglia ci si scava letteralmente la fossa.
Nel vostro documento chiedete anche una politica monetaria meno restrittiva. Magari svalutando il franco svizzero?
Su questo punto siamo intervenuti più volte in passato. Non diciamo di svalutare il franco svizzero, ma ci sono altri mezzi. Nel nostro programma chiediamo di adottare un sistema che garantisce gli esportatori dal rischio cambio. È chiaro che significa di intervenire sul mercato dei cambi. È anche altrettanto chiaro che chi propugna (leggasi destra, ndr) una netta separazione tra politica monetaria e politica economica, non ne vuole sapere. Mi chiedo però se vale la pena compromettere lo sviluppo del paese per ragioni ideologiche.
Voi chiedete anche degli aiuti finanziari per la creazione di nuove imprese. È una novità da parte sindacale?
Questa è una delle misure di tipo strutturale. Le altre sono di carattere congiunturale che esplicano i propri effetti nel breve-medio periodo. L’aiuto alle imprese è invece a lungo termine. Il sostegno, diciamo noi, deve essere attuato nei confronti di quelle aziende particolarmente innovative. Molto spesso tali imprese non hanno accesso ai finanziamenti bancari, o almeno risultano difficoltosi. Non vuol dire sostenerle tutte. In questa ottica si inserisce anche la garanzia del rischio dell’innovazione. Una misura già pensata 10 o 20 anni fa che fu rifiutata dalla maggioranza borghese alle camere federali. Anche in questo caso per colpa dell’ideologia che andava, secondo loro, contro le regole del libero mercato. Anche qui, se non corriamo ai ripari, rischiamo di perdere il treno dell’innovazione tecnologica. Misure che nella liberale e liberista america, sono state prese. E noi, in Svizzera, vogliamo essere più papisti del papa?
A proposito: il libero mercato in pratica, lo vediamo tutti i giorni, non esiste. È un’economia cartellizzata?
In Svizzera i prezzi alla distribuzione sono mediamente più cari rispetto al resto d’Europa di circa il 30 per cento. Faccio l’esempio dell’industria farmaceutica perché si ripercuote anche sui costi della sanità: non ho mai capito, e con me tanti cittadini, perché l’aspirina a Ponte Chiasso (Italia) costi un terzo rispetto a Chiasso (Svizzera). Un riduzione dei prezzi, per giunta, aumenterebbe il potere di acquisto dei salariati.
Il nostro obiettivo, con la presentazione di questo piano, è quello di suscitare un dibattito attorno alla situazione attuale. La settimana scorsa il consigliere federale Joseph Deiss ha descritto in Parlamento una situazione rosea. Noi sappiamo che non è così: la disoccupazione continua ad aumentare, le aziende annunciano licenziamenti. E lui viene a dirci che tutto va bene. Qui bisognerà reagire con misure concrete. L’obiettivo, come detto prima, è quello di suscitare dibattito intorno a questo programma d’impulso e credo che anche le nostre controparti possano avere motivi di convergenza su molti punti. Per esempio sulla formazione.
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