Ha destato molto scalpore in Italia e in gran parte d’Europa l’intervista che il presidente del governo italiano Silvio Berlusconi ha concesso alla “Voce di Rimini” e al settimanale inglese “The Spectator”. Nella prima parte dell’intervista, pubblicata il 4 settembre, Berlusconi se l’era presa in particolare con i giudici, disprezzando attraverso di loro anche le istituzioni democratiche. Il tutto perché ci sono dei magistrati e dei giudici che vogliono veder chiaro sul suo conto, anche se è presidente del governo. Berlusconi nell’intervista ha dapprima attaccato le procure di Milano e Roma, poi ha professato la sua estraneità all’accusa di corruzione che gli viene contestata nel processo Sme – ora sospeso solo nei suoi confronti – e infine ha commentato: «questi giudici sono doppiamente matti (...) Per fare quel lavoro devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche. Se fanno quel lavoro è perché sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana». Più gravi e più sconcertanti sono le dichiarazioni contenute nella seconda parte dell’intervista, pubblicata l’11 settembre. Rifiutando una sollecitazione degli intervistatori che tendeva a paragonare Saddam Hussein a Benito Mussolini, Berlusconi ha detto: «Mussolini non ha mai ammazzato nessuno, Mussolini mandava la gente a fare vacanza al confino». Sono affermazioni scandalose, perché banalizzano il fascismo e mirano pertanto a riabilitarlo. Berlusconi non è stupido, e se fa queste uscite è perché ha un disegno eversivo ben chiaro in testa. In Svizzera e in Ticino pochi si sono scandalizzati. Fra questi pochi c’è il regista cinematografico Villi Hermann, che ancora conserva intatta la capacità d’indignarsi, una qualità diventata sembrerebbe assai rara fra gli intellettuali contemporanei. Hermann ha chiesto di poter intervenire su area per ricordare cosa fosse il confino e chi fossero i fascisti. Lo ospitiamo volentieri. Gianfranco Helbling Durante le mie ricerche per il film “Luigi Einaudi. Diario dell’esilio” ho conosciuto Giovanni Ferro a Milano, che aveva incontrato Luigi Einaudi a Basilea, durante il suo esilio in Svizzera. Giovanni Ferro mi diceva che Luigi Einaudi «era desideroso di conoscere dei giovani italiani e noi eravamo desiderosi di conoscere dei vecchi italiani anche per domandare a loro perché era prevalso il fascismo in Italia, nel nostro paese. Erano delle discussioni forti, perché era un’altra generazione... Io a 19 anni ero già in prigione e quindi di responsabilità del fascismo non ne avevo, mentre le avevano quelli che dirigevano il paese prima di me». * * * Prima di rifugiarsi in Svizzera, Giovanni Ferro ha conosciuto le carceri e il confino durante il regime fascista. Le sue esperienze sono raccontate solo in parte nel mio film, visto il mio interesse particolare per l’atmosfera ed i contatti degli esuli in Svizzera. Giovanni Ferro veniva considerato un “uomo d'azione” dal futuro Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, che nel suo diario scriveva: «Ferro ha 32 anni. Liberato nel 1934, cospirò un po' dappertutto, specie a Milano; è di nuovo inviato alle isole. Conferma che i poliziotti li battevano. Passato al comunismo perché i vecchi agitatori socialisti non facevano nulla. Discorsi, maldicenza e poi finiva al caffèsacrificio. […] Pare abbia voglia di studiare; ma un po' non ebbe e non ha mai tempo, un po' non ha denari per libri; e un po' la scelta fatta a caso, sotto impulsi di propaganda». Ferro è citato un'altra volta nel diario di Luigi Einaudi: «Il Ferro aveva fatto buona impressione. Se ne ritorna al campo, trovando inutile fare il lavapiatti per dodici ore, senza costrutto. Mi aveva lasciato una lista di libri. Ma non so qui cosa posso fare. Bisogna che verifichi in biblioteca se i libri ci sono». Giovanni Ferro, avendo vissuto tutta la sua giovinezza sotto la dittatura fascista mi aveva confermato che l’esilio in Svizzera era stato molto costruttivo; in Svizzera aveva scoperto la libertà. * * * Giovanni Ferro è nato a Bergamo il 9 novembre 1911 ed è cresciuto a Rovigo. Fu arrestato nel 1930 per attività antifascista nelle fila del movimento “Giustizia e Libertà”, del quale faceva parte anche l’attuale Presidente italiano, Carlo Azeglio Ciampi. Ferro aveva 19 anni quando fu arrestato per la prima volta ad opera dell’Ovra, durante la dittatura fascista, e per 9 anni rimase in carcere e al confino, prima di scappare in Svizzera nel settembre 1943. Dopo la guerra, nel 1946, fu il promotore della Casa della Cultura a Milano. A chi volesse sapere qualcosa in più sulla vita di Giovanni Ferro e le sue “vacanze”, come sostiene il signor B. dichiarando: «Il confino era una vacanza», consiglio di leggere il suo libro: G. Ferro, Noviziato tra le isole, Piero Lacaito Editore, 1998; o anche G. Ferro, Milano capitale dell’antifascismo, Mursia Editore, Milano 1985. * * * A Milano, nel febbraio 1999, Giovanni Ferro mi raccontò il suo primo arresto e i momenti vissuti sotto il regime fascista: «Ho diffuso il primo giornale antifascista “Giustizia e Libertà”, e diffondendolo mi sono guadagnato l’arresto di tutto il gruppo che era stato promosso da un certo Dottor Germani, amico di Matteotti. Lui fu arrestato, condannato a dieci anni di prigione. Ed è lui a cui ho dato gli indirizzi per mandare il giornale “Giustizia e Libertà” all’isola di Lipari... c’era un vagone cellulare, in cui noi ogni sette giorni si cambiava carcere e per arrivare a Lipari ho dovuto andare a Palermo, poi Milazzo, poi Lipari. Ho impiegato un mese, poi sono stato a Lipari tre anni. Poi dopo Lipari è stata soppressa... e sono passato all’isola di Ponza. Poi dopo mi hanno mandato a fare il servizio militare, perché non avevo fatto ancora il servizio militare e sono andato in una compagnia di disciplina. Dopodiché a Rovigo, che è una piccola città di provincia, non potevo vivere, perché la gente se poteva evitare anche il saluto lo faceva per paura di avere delle conseguenze. Mio padre, che era un artigiano, non aveva lavoro e allora sono venuto a Milano e ho trovato un posto come operaio in una fabbrica, la Philips Radio. Naturalmente ho preso accordi con Ferruccio Parri che avevo conosciuto a Lipari e con lui abbiamo ripreso l’attività politica. Questa attività è stata molto intensa. Quando è scoppiata la guerra civile in Spagna ci hanno arrestato con tutti i vecchi antifascisti, e allora altri quattro anni di confino, di prigione. Prima ho fatto l’isola di Ventotene, poi dopo sono stato trasferito in Calabria, in tutti i paesi della Calabria. In tutto, nove anni in galera e sulle isole». * * * Dopo aver letto varie testimonianze sulla vita in confino, volevo sapere da lui personalmente come si viveva in mano ai fascisti sulle isole: «...in mano a quella gente, perché i custodi erano gli ex-squadristi, che erano tutta gente di malaffare, di cui non sapevano più come sbarazzarsi: allora li mandavano a fare i custodi. Questa era la gente che ci custodiva e quindi si immagini... Molti hanno preferito scappare, venir via... Rosselli ha organizzato la fuga. Parri invece non ha voluto andare, anch’io ero della convinzione che bisognava combattere nel proprio paese». * * * Quando il signor B. afferma che «Mussolini mandava la gente a fare vacanza al confino» mi vengono in mente le parole di Giovanni Ferro: «Erano trascorsi tre mesi e mezzo dal giorno del mio arresto, quando ricevetti la comunicazione del mio deferimento alla Commissione provinciale per venire assegnato al confino di polizia, assieme ad una decina d’altri detenuti, per riconosciuta attività di propaganda comunista. I ferri ai polsi e legati a gruppi di tre con catenelle di prammatica, fummo accompagnati, questa volta dai carabinieri, alla locale Prefettura». E tutta questa violenza ad un’età d’adolescente, a 19 anni. Il calvario continuava. «Il viaggio verso l’isola mitologica durò ben trenta giorni a causa della tradizione ordinaria, che comportava una sosta obbligata in ogni carcere di passaggio...». La testimonianza di Giovanni Ferro è confermata da altre, quelle di Carlo e Nello Rosselli e di Emilio Lussu, che hanno altresì subito le “vacanze”. Con un comunicato si modificano le dichiarazioni del signor B. per il fatto che il dittatore M. «era benevolo, mandava la gente in vacanza al confino» e fra poco le “vacanze” entreranno a far parte dei libri di storia modificati, rivisitati, diffusi e pubblicizzati dai più grandi editori italiani in tutto il mondo, in parte in mano al signor B. Anche la storia italiana è stata globalizzata. Gli storici possono andare in “vacanza”, o saranno anche loro tutti «matti» e «antropologicamente diversi»?

Pubblicato il 

19.09.03

Edizione cartacea

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