Il clima riscalda la campagna elettorale

Giro d’orizzonte su come i partiti politici hanno trattato la questione ambientale nei loro programmi in vista delle elezioni del 20 ottobre

In questo 2019 le preoccupazioni legate al cambiamento climatico sono diventate un tema importante nel dibattito pubblico. In Svizzera, le manifestazioni dei giovani in favore del clima hanno avuto il merito di porre la questione ambientale al centro della campagna elettorale per le elezioni federali del prossimo mese di ottobre. Già in primavera, le mobilitazioni a favore dell’ambiente si sono espresse in termini di consensi elettorali: in alcune elezioni cantonali si è infatti assistito a un’avanzata di Verdi e Verdi liberali, a una tenuta della Sinistra e a una perdita di consensi del Plr e dell’Udc, il partito più votato alle federali 2015. Volenti o nolenti i partiti hanno così dovuto posizionarsi e riflettere in merito alla propria strategia climatica. In che modo?

In vista delle elezioni e della grande manifestazione per il clima di sabato 28 settembre, ecco una panoramica della presa di coscienza ambientale delle principali forze politiche svizzere.

Udc: tutta colpa degli stranieri
L’inatteso arrivo al cuore del dibattito della questione climatica ha colto di sorpresa l’Udc, già preoccupata per la diminuzione dei richiedenti l’asilo. Dopo le sconfitte elettorali nei Cantoni, il partito ha così deciso di dire la sua sull’argomento. Secondo il partito «le manifestazioni sul clima sono azioni di una minoranza strumentalizzata» per cui «non esiste alcuna ragione valevole per parlare di uno stato d’urgenza climatica». In sostanza, per l’Udc, è tutta colpa degli «eco-socialisti» i quali «abusano di questa situazione senza vergogna per tentare d’imporre i loro rimedi inefficaci». Il partito, però, si divide tra chi, come il consigliere nazionale Roger Köppel o il presidente Albert Rösti porta avanti tesi vicine al negazionismo – «Si sente dire dappertutto che fa caldo, ma è normale. Approfittiamone!» – e chi chiede di rivedere la propria posizione in merito alla questione ambientale. In questo campo vi sono ad esempio gli agricoltori, importante bacino elettorale di quello che fu il partito agrario e primi a constatare di persona i danni del cambiamento climatico. È così che non sapendosi posizionare di fronte a questa «isteria climatica», l’Udc ha estratto dalla manica il proprio asso: gli stranieri. «Per il bene dell’ambiente – limitare l’immigrazione» si legge in una pubblicazione arrivata in tutte le case pochi giorni fa. Con un milione di stranieri in meno ci sarebbero più spazi verdi, meno cemento, meno auto, meno strade, più risparmio energetico eccetera. Una visione che in Ticino è inserita nel programma elettorale della Lega dei Ticinesi, movimento che si dice a favore di «una politica ambientale ragionevole» che però «passa in prima linea dalla riduzione dell’immigrazione e del frontalierato».

Il peccato originale dei liberali
Era il mese di febbraio quando la presidente Petra Gössi ha annunciato la «svolta verde» del Plr, partito che in Parlamento ha sempre sostenuto l’economia a discapito di un’efficace regolamentazione ambientale (si veda ad esempio l’attitudine avuta in Consiglio nazionale a riguardo della legge sul CO2, annacquata a tal punto da essere inaccettabile). I sondaggi davano da un lato il partito in perdita di consensi, dall’altro il clima in aumento nella scala di preoccupazioni degli elettori. Dopo aver consultato la base, il partito ha così presentato il proprio «riorientamento della politica ambientale». Una rivoluzione? Non proprio! Il partito riconosce certo il riscaldamento globale come «realtà innegabile» e propone la propria ricetta per «un utilizzo sostenibile ed efficiente dello spazio e delle risorse naturali». Riassunta, la strategia Plr è la seguente: in primo luogo occorre avere fiducia nella responsabilità individuale; poi ci vuole qualche misura incitativa; infine – come ultima ratio – si potrà anche accettare qualche piccola misura restrittiva. Tocca insomma all’individuo e alle imprese agire tramite misure volontarie per risolvere il problema ecologico, mentre lo Stato deve essere il meno presente possibile. Una strategia coerente con le fondamenta ideologiche del partito, ma che non rimette in questione l’origine del problema. Non è forse il (neo)liberalismo ad essere responsabile della catastrofe ecologica in atto su scala mondiale? Al di là dell’autenticità di questa «svolta verde» resta quindi da capire come il partito riuscirà a convivere con questa sorta di “peccato originale”.

La banalità del Ppd
Nel 2007, Greenpeace aveva manifestato all’Assemblea del Ppd esortando i delegati a non utilizzare il clima come semplice slogan elettorale. A volte (leggermente) a sinistra, spesso a destra, al centro sempre e comunque: il Ppd è decisivo nelle scelte fatte in Parlamento, anche quelle che riguardano l’ambiente. Essere l’ago della bilancia permette al partito di contare di più rispetto al suo reale peso numerico. Un esempio su tutti: la scelta di uscire dal nucleare, appoggiata dal Ppd, da sempre foraggiato dalla lobby dell’atomo ma il cui cambio di rotta ha dato una svolta decisiva alla Strategia energetica 2050. Un successo messo d’altronde in continuo risalto in una campagna elettorale dove il partito si presenta l’unico a proporre una politica climatica «ponderata e socialmente sostenibile». In difficoltà in termini di consensi elettorali, il Ppd ha lanciato una campagna tutta all’attacco degli altri partiti. Una strategia aggressiva che non è piaciuta e che si è espressa anche in merito alla questione ambientale: «Mentre Sinistra e Verdi cercano i colpevoli e chiedono divieti, l’Udc non propone alcuna soluzione (...) il Plr ha reagito con il panico (...) e ora si vanta della sua improvvisa svolta verde». Insomma, in un contesto in cui la Sinistra «propone ad oltranza i divieti e dà giudizi moralizzatori» mentre la Destra «si affida solo al mercato», il Ppd propone la sua originale strategia per il clima: «Una Svizzera innovativa e rispettosa dell’ambiente».

Verdi liberali? Un ossimoro!
I sondaggi danno i Verdi liberali in crescita. Dopo lo schiaffo del 2015 – meno 5 seggi in Parlamento e bocciatura storica (92% dei votanti) della loro iniziativa per una tassa sull’energia – il partito ha semplificato il messaggio. La campagna per le federali 2019 è «Cool Down 2040», un piano d’azione che dovrebbe permettere alla Svizzera «di essere neutra in termini di emissioni di carbonio entro 21 anni». Riassunti, i concetti sono due: sostegno agli incentivi piuttosto che alle misure vincolanti e la convinzione che gli interessi dell’economia e dell’ecologia siano conciliabili. Né più né meno che quanto dice ora il Plr, con cui i Verdi liberali sembrano condividere “il peccato originale”. Il nome del partito è un motto destinato ad attrarre i liberali delusi, che risentono del disagio esistenziale di chi inquina, ma che non vogliono mettere in discussione il modello economico alla base di questo malessere.

I Verdi sulla cresta dell’onda
Da mesi sono annunciati come  i grandi vincitori delle elezioni. Per cui, qualora le previsioni non fossero rispettate, gli ecologisti saranno i grandi perdenti delle elezioni. Il clima è però rimasto al centro del dibattito pubblico anche in queste settimane finali di campagna: dal dibattito sulla legge sul CO2 fino al vertice dell’Onu, il partito ecologista ha avuto la possibilità di surfare sull’onda Verde fino alla fine. Si dicono «il partito dell’ambiente» e grazie a un programma ricco e dettagliato affermano di essere la sola forza politica «a coniugare coerentemente la questione ambientale con le questioni sociali e i diritti fondamentali». L’obiettivo è rosicchiare voti anche a sinistra, cercando di profilarsi quando si può su questioni sociali. In Ticino, l’alleanza con la Sinistra alternativa costituisce la vera novità di questa campagnaelettorale.

Ps: verdi prima dei Verdi
Secondo gli ultimi sondaggi il Ps è in leggera perdita di consensi. Anche se le posizioni ambientali sono vicine a quelle dei Verdi, i socialisti sembrano non aver beneficiato dello stesso successo nell’appropriarsi della mobilitazione climatica. Anzi, inizialmente il partito è apparso piuttosto defilato sul tema, quasi non volesse tirare la volata ai cugini politici. Poi quest’estate è stato presentato quello che è stato definito «Piano Marshall per il clima», sorta di programma con il quale si vorrebbero raddoppiare gli investimenti privati nelle energie rinnovabili e nell’efficienza energetica e che ha permesso al partito di ribadire che «la crisi climatica è la minaccia più grave dei nostri tempi». A chi lo ha accusato di essersi dato una tinta verde per puri scopi elettoralistici, il presidente Christian Levrat ha affermato che il Ps è «il primo partito ambientalista svizzero». Un modo per ribadire che quando i socialisti proposero l’uscita dall’atomo voi Verdi non eravate ancora nati. Piccoletti!

Pubblicato il

25.09.2019 09:54
Federico Franchini