Il cinema che non si vede

Qual è lo stato di salute del cinema nella Svizzera italiana? E come incrementare le possibilità di lavoro per i professionisti del settore e fare in modo che i frutti delle loro fatiche riescano a raggiungere il loro pubblico? Se ne discuterà giovedì e venerdì prossimi a Bellinzona nell'ambito di Castellinaria, il festival internazionale del cinema giovane che inizia domani (cfr. riquadrato). Organizzati in collaborazione con l'Ufficio federale della cultura e il Cantone, gli stati generali del cinema svizzero di lingua italiana hanno già raccolto un numero considerevole d'iscrizioni. Ne abbiamo parlato con Alberto Chollet, che ha un'ampia visione sullo stato del cinema svizzero e ticinese. Egli è infatti responsabile degli affari generali alla direzione della Ssr, dove si occupa delle coproduzioni della televisione con i produttori indipendenti. In precedenza ha svolto la stessa funzione alla Tsi.

Due giorni di riflessione sul cinema ticinese: Alberto Chollet, ce n'era bisogno?
Non so se ce n'era bisogno, ma è positivo che ci siano. È necessario infatti che ci si parli fra svizzero-italiani e resto della Svizzera e che si senta una volta l'opinione di tutti. Forse si troveranno anche nuovi modi di collaborare. Sarà però importante delimitare il campo: si parla di cinema, cioè di produzione e distribuzione di film pensati per essere prioritariamente diffusi in sala e con lo specifico linguaggio del cinema.
Data questa definizione esiste un'industria del cinema in Ticino o soltanto degli artigiani sparsi?
Non esiste un'industria cinematografica né in Ticino né nella Svizzera francese. Nella Svizzera tedesca negli ultimi anni si stanno invece formando delle condizioni abbastanza propizie per la rinascita di un'industria del cinema, anche per il grosso impegno che mette il canton Zurigo nella produzione (8 milioni all'anno). Di industria si può parlare quando c'è una produzione regolare. E in Ticino questa non esiste assolutamente.
C'è però un'industria dell'audiovisivo che è in grado di offrire opportunità d'impiego a chi nel cinema non riesce a lavorare.
È vero, considerando l'audiovisivo nel suo insieme le proporzioni in Ticino si rovesciano. Tra l'altro ci sono una radio-tv con mandato nazionale e due festival internazionali di cui uno molto grosso. Tutto questo forma interessi e crea aspettative maggiori che altrove. Malgrado le affinità il cinema non è la televisione, e viceversa. Un conto è realizzare un reportage, un altro è concepire un documentario cinematografico che presenta un'originalità di forme, di contenuti e di punti di vista forti, d'autore. Il cinema deve sempre muoversi in questa direzione. Qui però il discorso diventa difficile: a chi riconoscere tale facoltà? Con quali mezzi? Certo, ci vogliono i finanziamenti della Tsi e del Canton Ticino. Ma poi bisogna essere capaci di andare anche oltre Gottardo (Confederazione) e all'estero (fondi Media o Eurimages). Chi in Ticino pensa al cinema deve avere il potenziale per andare ben al di là del nostro territorio.
In tutto ciò qual è il ruolo della Tsi?
Nell'ambito del cinema la Tsi collabora con i produttori indipendenti mettendo a disposizione cifre ben precise, stabilite dal Patto dell'audiovisivo. La Tsi sostiene prioritariamente film di lingua italiana, e lo fa con quote proporzionalmente superiori rispetto alle altre regioni linguistiche. Inoltre la Tsi produce in proprio, con registi e maestranze interne all'azienda.
Per risolvere i problemi di qualità della fiction Tsi si è proposto da più parti di affidarla a produttori e registi indipendenti attivi sul territorio ticinese. È d'accordo? E non sarebbe anche un modo per ridistribuire il lavoro?
In tutto il mondo anche quando la produzione di fiction è affidata all'esterno, essa rappresenta un'espressione di ciò che la televisione ha bisogno. E quindi il diffusore segue e orienta il lavoro come se fosse una produzione interna (è il caso ad esempio della fortunata serie svizzero tedesca "Lüthi & Blanc" o dei telefilm della domenica sera sempre a Sf, che corrispondono ad una specifica esigenza di programmazione e come tali vengono prodotti). Sappiamo inoltre che la Confederazione può partecipare al finanziamento di un solo telefilm all'anno coprodotto dalla Tsi. E un telefilm all'anno non fa sistema. Questa sinergia fra Confederazione e televisione è in grado di creare sistema soltanto nella Svizzera tedesca, dove la produzione di telefilm ha raggiunto una certa serialità e un buon successo presso il pubblico.
Un altro grosso problema è la distribuzione. Gli ultimi due film ticinesi per il cinema usciti nelle sale ("Promised Land" di Michael Beltrami e "Face Addict" di Edo Bertoglio) non sono certamente stati favoriti dai distributori.
Un film prodotto nella Svizzera italiana deve per forza ambire anche al mercato italiano. In questo senso sia il film di Beltrami che quello di Bertoglio sono partiti svantaggiati dal fatto di essere stati girati in inglese. Da Airolo a Chiasso il potenziale di pubblico nelle sale è limitato, e sicuramente non basta per giustificare le operazioni più ambiziose e relativi budget. Possono invece funzionare operazioni come "Azzurro" di Denis Rabaglia, con Paolo Villaggio, concepite per un pubblico più largo (un progetto, questo, che la Tsi ha seguito fin dall'inizio con un atelier di sceneggiatura cui parteciparono sei registi-sceneggiatori). Solo in Svizzera "Azzurro" ha abbondantemente superato i 100 mila spettatori in sala. Ma per un buon esempio così ve ne sono molti altri che finiscono la loro carriera ad Airolo, rispettivamente a Chiasso. Se davvero si vuole fare del cinema in Ticino è fondamentale aprire il progetto al resto della Svizzera e all'estero.
Il Cantone versa 2,6 milioni all'anno per il cinema. Di questi però ben 2 milioni vanno al Festival di Locarno. Non c'è una sproporzione rispetto a quanto viene investito nella produzione?
Dovremmo cercare di rispondere alla seguente domanda: è utile investire nella produzione? Secondo me sì, ma oggi in Ticino questo discorso non ha ancora convinto tutti. E in questo senso il ruolo di Locarno può essere fondamentale. Con la sua presenza esso dà valore a produzioni straniere validissime, a budget limitato, provenienti da paesi cinematograficamente "di nicchia". E indica l'utilità di raccontare storie legate all'immaginario di questo territorio dal nostro punto di vista, senza che siano altri a farlo per noi. Bisogna poi sapere valorizzare l'indotto legato alla produzione cinematografica, ai mestieri e ai posti di lavoro che vi sono legati, alle competenze tecniche e professionali che si sono sviluppate sul territorio.
Il Ticino non ha un potenziale da sfruttare meglio come set cinematografico per produzioni che vengono da fuori?
Assolutamente sì. Abbiamo delle location fantastiche, un clima molto favorevole alla produzione cinematografica, produttori e tecnici preparati e capaci. È una via che dovrebbe essere meglio sfruttata istituendo ad esempio una Film Commission che sappia muoversi bene all'estero, sull'esempio di quanto molte regioni non solo italiane già hanno fatto.
Con l'Italia è appena stato rinegoziato l'accordo di coproduzione. Servirà?
È un accordo fra Svizzera e Italia, ma in realtà riguarda un territorio di 300 mila abitanti che si confronta con un paese di 60 milioni di abitanti. Lo squilibrio è evidente. Questo spiega quanto possa essere difficile ottenere la necessaria attenzione per i nostri progetti o, per usare un termine tecnico, la reciprocità. Abbiamo poche sceneggiature da mettere sul piatto rispetto a quanto può offrire l'Italia. Tenuto conto di queste difficoltà non dovrebbe però accadere che a un giovane ma solido regista ticinese, con una valida sceneggiatura, sostenuto dalla Tsi, dal Cantone e da un grande coproduttore italiano venga a mancare l'indispensabile aiuto della Confederazione. I motivi, in questo caso almeno, mi sono sembrati del tutto opinabili e sostanzialmente formali. Bisogna essere pragmatici e realistici. Se c'è un buon progetto per un film svizzero in italiano, bisogna farlo, malgrado i dubbi di dettaglio (che ci sono per tutte le produzioni). Tra l'altro, quel film ora si fa, grazie anche al sostegno di Eurimages (che ha criteri severissimi). Non si pretende che il sostegno al cinema ticinese sia automatico. Ma almeno non si devono mettere inutilmente in difficoltà i professionisti che vivono e operano in Ticino.
Val la pena sostenere qualunque progetto purché si dia lavoro ai tecnici ticinesi?
No, assolutamente. La validità della sceneggiatura o del progetto documentario è il fattore determinante.

Pubblicato il

17.11.2006 04:00
Gianfranco Helbling
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