Il certificato Covid è il minore dei mali

Con un ritardo di un paio di mesi rispetto ai nostro vicini e alla maggior parte dei paesi europei e dopo aver incomprensibilmente tergiversato per settimane, il Consiglio federale ha finalmente deciso l’estensione dell’obbligo del certificato Covid, una misura che in questa fase della pandemia può contribuire a rallentare la diffusione del virus, a ridurre le ospedalizzazioni e la pressione sui reparti di cure intensive, che in diversi cantoni sono (nuovamente) prossimi al collasso. E magari anche a salvare qualche vita umana, un “dettaglio” che troppo spesso passa in secondo piano: come se i malati, i guariti che hanno subito danni permanenti e i morti fossero solo numeri.

Da lunedì 13 settembre solo le persone vaccinate, guarite dal Covid negli ultimi sei mesi o negative a un test effettuato nelle ultime 48 ore potranno accedere a bar, ristoranti, palestre, piscine coperte, musei, zoo, casinò, sale da biliardo e a manifestazioni al chiuso con più di 50 persone. Il certificato Covid sarà insomma obbligatorio in quasi tutti gli ambiti della vita pubblica. E le inosservanze potrebbero costare caro: multe di 100 franchi per l’avventore di un ristorante non munito di pass e fino a 10.000 per l’oste.

 

Giusto così. Alternative non ce ne sono. E si è già aspettato fin troppo. Perché la situazione negli ospedali svizzeri è tesa: la percentuale di pazienti Covid in terapia intensiva (più del 90% non sono vaccinati) è in continua ascesa e i posti cominciano a scarseggiare, in alcuni cantoni già si devono trasferire pazienti da un ospedale all’altro e si devono rinviare interventi chirurgici, anche su soggetti affetti da patologie gravi come il cancro, ha ammonito il consigliere federale Alain Berset presentando questa nuova fase della lotta alla pandemia. Una vera e propria svolta se si pensa che ancora una settimana fa il Governo, con un eccesso di ottimismo, reputava l’estensione dell’obbligo del certificato non ancora necessaria.


Una svolta dettata dal peggioramento della situazione delle terapie intensive nell’ultima settimana e una risposta ai pressanti appelli provenienti dagli ospedali. La misura mira innanzitutto a ridurre il rischio di trasmissione della malattia (perché nei locali chiusi si incontreranno solo persone che non sono contagiose o hanno poche probabilità di esserlo), dunque a ridurre il numero di nuovi casi, di nuovi ospedalizzati e di nuovi morti. Tenuto conto che essa consente pure di evitare nuove chiusure e sospensioni di attività (che produrrebbero danni economici e sociali ben peggiori) e a stimolare nella popolazione non ancora immunizzata l’interesse per la vaccinazione, che resta il migliore strumento di lotta alla pandemia, viene da chiedersi perché si è aspettato tanto. È perlomeno cinico attendere ogni volta una sovraoccupazione dei letti di terapia intensiva prima di reagire. Come se su quei letti vi fossero delle persone che si riposano e non dei candidati alla morte. Come se non fosse un dovere fare di tutto per salvare anche una sola vita.

Troppo potere ai datori di lavoro
Ma il nostro Consiglio federale in 18 mesi di pandemia ci ha ormai abituati a decisioni a volte tardive e altre lacunose, come quella riguardante l’impiego del certificato Covid nel mondo del lavoro, regolamentato in modo troppo poco preciso per mettere al riparo le lavoratrici e i lavoratori da ogni forma di discriminazione. Stando a quanto deciso dal governo infatti i «datori di lavoro potranno verificare se i loro dipendenti sono in possesso di un certificato» se questo «è necessario per l’attuazione di misure di protezione adeguate o di strategie di test». Una formulazione problematica: anche se i dipendenti dovranno essere consultati, di fatto la decisione sull’introduzione o meno del certificato in un’azienda e sulle sue modalità viene lasciata al datore di lavoro, con tutti i rischi che questo comporta in termini di protezione della privacy e di tutela da ogni forma di discriminazione. Ma anche di rispetto delle misure sanitarie e d’igiene, a cui certi padroni sperano di poter rinunciare. Anche se non è il caso.


Dovrebbe insomma essere l’autorità a regolamentare in maniera precisa l’utilizzo del certificato sul lavoro per assicurare che le regole rispettino il principio della proporzionalità e valgano per tutti. E nel mondo del lavoro anche sul fronte della campagna di vaccinazione resta molto da fare per informare i lavoratori in modo facilmente comprensibile e proporre loro delle possibilità concrete per farsi vaccinare, anche durante l’orario di lavoro e senza perdita di salario.

Pubblicato il

09.09.2021 10:47
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