Una buona notizia dall’Italia. Alle elezioni regionali si conferma la vittoria del centrosinistra in Emilia Romagna e l’Umbria viene strappata alle destre. Il PD torna a percentuali da prima repubblica e Giorgia Meloni incassa le prime sconfitte, mentre crollano la Lega e il Movimento 5 Stelle. Ma al tempo stesso, dalle urne arriva una notizia pessima: l’astensionismo è al massimo storico, meno di un cittadino su due va a votare. Si acuisce la crisi della democrazia. Non è scritto nel libro del destino che Giorgia Meloni debba sempre vincere tutto. Dopo il gol sbagliato a porta vuota in Liguria con cui le opposizioni hanno nuovamente consegnato la regione agli eredi dell’inquisito Toti, sia pure per una manciata di voti, il centrosinistra è riuscito a riprendere il controllo del campo e ha messo in rete due palloni, uno in Emilia Romagna, ed era il gol più facile da segnare per confermare il colore rossastro che dal dopoguerra tinge questa terra, e uno più difficile realizzato in contropiede in Umbria, strappandola finalmente alle destre. Così, la partita Schlein-Meloni sul controllo delle regioni italiane si è momentaneamente conclusa con un risultato positivo per la prima: 2 a 1. C’è un dato, però, che impedisce alle forze democratiche di gioire a tutto tondo ed è un dato importante e drammatico. Nella regione dove storicamente la partecipazione dei cittadini è più alta le urne sono rimaste semideserte e meno di un cittadino su due ha votato, per la precisione solo il 46% degli aventi diritto. In Umbria è andata appena meglio, con una percentuale di votanti del 52%. Ciò significa che sia i vincitori che i vinti hanno raccolto meno voti che nelle regionali precedenti, nonché alle politiche e alle europee. Si conferma così un trend iniziato anni addietro che segnala una crisi sempre più profonda della democrazia italiana, complici sistemi elettorali respingenti e, soprattutto, l’assenza di un’alternativa convincente ai valori del mercato (e delle destre) che fa dire a troppi “tanto sono tutti uguali”. C’è un dato che colpisce per la sua crudezza: il PD ha raccolto il 43% dei consensi in Emilia Romagna, una percentuale altissima, mai toccata dalla fine del PCI e cioè da 35 anni. Ciononostante, il partito di Elly Schlein ha perso in 5 anni 200mila voti per effetto dell’astensione aumentata di 20 punti rispetto alle regionali precedenti, quando il PD aveva il 7% in meno di oggi. Nella regione di Bologna, di Prodi, delle Coop, della CGIL e della FIOM, del buon governo e della mortadella e del parmigiano in 5 anni si sono persi complessivamente 800mila voti. E così tutti i partiti, sia quelli che hanno vinto che quelli usciti sconfitti dalle urne, hanno perso una parte importante del proprio elettorato. Eppure, già l’indomani del voto questo elemento, strutturale per chi ha a cuore la democrazia, è finito a margine delle analisi. Si può capire la voglia a sinistra, finalmente, di gioire nella speranza che il voto in Emilia Romagna e in Umbria segni un’inversione di tendenza rispetto alla morta gora degli ultimi anni, ma se si rimuove la frattura tra rappresentanti e rappresentati i risultati di oggi possono trasformarsi in una vittoria di Pirro. Il crollo di Salvini e pentastellati Giorgia Meloni ha perso per strada voti e percentuali, sia rispetto alle europee che alle politiche ma il vero sconfitto è Matteo Salvini crollato tanto in Emilia Romagna quanto in Umbria da più del 30% a meno del 7% e dietro una Forza Italia rinvigorita dal crollo leghista. La fascistizzazione del partito, il linguaggio violento e troglodita, l’uso indecente delle paure per i diversi dal modello ariano ha svuotato la cassaforte elettorale di Salvini. L’altro sconfitto è il Movimento 5 Stelle, sceso in entrambi i test elettorali sotto il 5% e dunque distante anni luce dalle percentuali incassate da Elly Schlein. Non un buon segnale per l’assemblea costituente che in questo fine settimana dovrebbe ridisegnare scelte, programmi, identità e alleanze del M5S di cui il fondatore, l’“elevato” Beppe Grillo, pretenderebbe l’estinzione (muoia Sansone con tutti i filistei). La crisi del battaglione di Antonio Conte non fa bene neanche a Elly Schlein perché rafforza l’ala riformista del PD, quella ancora tentata dalle sirene centriste e renziane. E non fa bene al movimento pacifista: sia il M5S che l’Alleanza Verdi Sinistra, premiata dagli elettori, finora hanno frenato il bellicismo atlantico del Partito democratico. A questo proposito, è una buona notizia l’elezione alla presidenza dell’Umbria di Stefania Proietti, una candidata civica ambientalista e pacifista, già sindaca di Assisi che è per antonomasia la città della pace. In Emilia Romagna ha influito sul voto la mancata gestione delle conseguenze delle alluvioni da parte del governo, impegnato a penalizzare con ogni mezzo le amministrazioni di sinistra e di conseguenza i cittadini da esse amministrate. Verso lo sciopero generale È grazie a uno dei pochi punti su cui le opposizioni stanno marciando unite che la destra è stata sconfitta: la sanità. I tagli del governo sulla pelle e la salute dei cittadini, il finanziamento alla sanità privata e lo spostamento di risorse a favore del riarmo hanno incrinato i consensi alle armate meloniane. Mercoledì medici e infermieri hanno incrociato le braccia contro le politiche del governo, la stessa scelta di lotta hanno già fatto gli insegnanti, i metalmeccanici, il pubblico impiego e altri settori del mondo del lavoro e si avvicina la data del 29 novembre quando saranno tutti i lavoratori italiani a scendere in sciopero e in piazza dietro le bandiere di CGIL e UIL. Torna lo sciopero generale contro la manovra economica classista del governo, in difesa dell’istruzione e della sanità, per la sicurezza sul lavoro (già superate le 1.000 vittime) e il salario minimo, per il rinnovo dei contratti. La CISL conferma la sua scelta al fianco di Giorgia Meloni con l’ennesimo accordo separato alle Poste. Se le opposizioni saranno in grado di raccogliere l’incoraggiamento delle urne e il PD non si farà prendere da smanie egemoniche, le forze politiche democratiche potranno incrociare lungo la strada un paese in parte sconfitto ma non pacificato, in cui si manifestano mille grumi di resistenza: contro la guerra, al fianco dei migranti, contro le leggi securitarie del governo, in difesa dei beni comuni, della scuola e della salute. Un ritorno ai cittadini, all’ascolto dei problemi e delle difficoltà di lavoratori, precari, pensionati, giovani costretti all’esilio sarebbe un primo passo per cominciare a riempire il fossato che divide la società dalla politica e svuota le urne. Sarebbe… |