Il capitalismo

Marx lo dava prossimo alla fine, pure chi scrive, quasi quarant’anni or sono, sognava che lo si potesse “rovesciare”, e invece, dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, è divenuto l’unico sistema economico-sociale esistente. Da allora, nel nome della ricerca del profitto individuale che è il suo primo comandamento, ne sono state combinate di tutti i colori. Il Fondo monetario (Fmi) viene criticato da destra perché crea, con obiettivi soprattutto politici, false aspettative di aggiustamento di situazioni sull’orlo della bancarotta, e da sinistra perché induce ad applicare terapie basate su privatizzazioni e liberalizzazioni premature e perché impone a paesi in recessione stangate fiscali e strette monetarie che seminano miseria e sofferenza senza riuscire a rilanciare la crescita. La concentrazione del potere finanziario ha abbassato a livelli negativi la trasparenza e il controllo e ha annichilito la concorrenza. La conseguenza più vistosa è stata lo sviluppo in borsa di una bolla speculativa senza precedenti favorita dalla diffusione del reato di manipolare i bilanci per attirare sempre nuovi capitali, nuovi investimenti attorno a un buco dentro il quale sono sprofondate le speranze di milioni di piccoli risparmiatori e le legittime attese di altri milioni di futuri pensionati. Come ciliegina sulla torta infine il capitalismo di questi ultimi anni ci ha offerto anche lo spettacolo di manager che hanno causato disastrosi fallimenti onorati con delle buone uscite milionarie. Anche da noi, con le modalità del fallimento Swissair, con la parabola speculativa di Martin Ebner, con gli stipendi e le liquidazioni a 7/8 cifre, con l’ideologia della crescita sfrenata che avrebbe reso inutili persino le Casse Pensioni e la stessa Avs, con la volontà dell’industria elettrica di sottrarsi al controllo pubblico nell’ambito della liberalizzazione del commercio dell’energia, se non è zuppa è pan bagnato. Eppure nessun economista serio oggi riproporrebbe l’ipotesi di un prossimo crollo del capitalismo per la semplice ragione che l’implosione dell’impero sovietico, il vuoto culturale lasciato in Russia dopo 70 anni di comunismo hanno rafforzato la convinzione che il capitalismo sia l’unica forma di organizzazione economico sociale in grado funzionare (anche) in un sistema democratico. I guai combinati dal capitalismo da quando è rimasto padrone assoluto del campo e l’importanza dei cambiamenti in atto stanno tuttavia convincendo economisti, politici e semplici cittadini che solo la trasparenza e il controllo garantiti dalla collettività possono limitare i guasti, i disastri, gli odi, le rivolte, le guerre, le sofferenze che la ricerca incontrollata del profitto individuale ha prodotto e potrà produrre in futuro. Il capitalismo, in definitiva, quando cerca di scacciare lo Stato produce ampi varchi che ne favoriscono il ritorno. Sono convinto che questo rappresenti una grande opportunità per tutta la sinistra. Purché sia una sinistra competente,concreta, moderna, disponibile al compromesso, che sappia trovare il giusto equilibrio tra spinta ideale e pragmatismo.

Pubblicato il

25.10.2002 14:30
Pietro Martinelli