Muoiono di caldo le persone più fragili, i malati, gli anziani, i bambini, i detenuti ammassati in celle sovraffollate e surriscaldate. Muoiono di caldo anche i lavoratori più sfruttati costretti a lavorare sotto il sole a 40 gradi, i muratori nei cantieri, i rider pedalando alle 13 in quei forni che sono le città della Pianura padana, i dipendenti di ditte ecologiche dentro i pozzi, le buche e le vasche industriali, i dipendenti di aziende che lavorano in appalto e subappalto nella manutenzione di strade e autostrade. Chiunque viaggi in autostrada d’estate si sarà imbattuto in quei poveracci con la pettorina gialla costretti a operare sull’asfalto rovente a più di 40°. Muoiono di caldo i braccianti che raccolgono angurie e pomodori a mezzogiorno sotto il sole della Puglia, della Campania, del Veneto. Muoiono per l’incuria e l’ingordigia di padroni senza scrupoli che non sono disposti a interrompere la catena del profitto, a nessun costo, a nessuna ora del giorno. Poi ce ne sono alcuni umani, di padroni, come quelli di Glovo, il colosso del food delivery che si fanno carico dell’emergenza caldo e del disagio dei rider costretti a consegnare pizze e sushi all’ora di pranzo sotto il solleone (o d’inverno durante un temporale o una nevicata). Così i boss di Glovo hanno deciso di assegnare un bonus del 2% a chi lavora per loro a temperature fra i 32° e i 36°, del 4% fra i 36° e i 40° e addirittura dell’8% sopra i 40° perché possano comprarsi acqua, sali minerali e creme protettive. Perché la salute si vende e si compra come le pizze, secondo il top management di Glovo, e a che prezzo: nelle suddette tre fasce di calore il bonus sarà rispettivamente di 5, 10 fino a un massimo di 20 centesimi di euro. Se non sono crepati di caldo spingendo sui pedali, non subito ma a settembre potranno incassare il bonus, intanto cremine solari e acqua dovranno pagarseli. Per quattro soldi gli schiavisti non pretendono di comprare solo le braccia, le gambe e i polpacci dei loro schiavi, ma anche la loro dignità, la loro salute e in qualche caso la loro vita. Molte regioni sono intervenute negli ultimi tre giorni per imporre alle aziende sospensioni del lavoro nelle ore più calde, ma solo un paio inseriscono tra le categorie interessate anche i rider, escludendo partite IVA e autonomi. E con notevole e criminale ritardo anche Confindustria ha accettato di addivenire con i sindacati a un protocollo che estenderà a tutto il territorio nazionale le misure di protezione. Senonché l’Italia è segnata dal lavoro nero, dai caporali, dalle finte partite IVA e da una mancanza strutturale di controlli, nonché da una bassa o quasi impossibile sindacalizzazione nelle categorie più fragili, dove ogni lavoratore è solo sotto i ricatti e la frusta del padrone. Va segnalato, lo fa persino il presidente Mattarella, che le imprese sono tenute a stipulare assicurazioni contro i danni economici e umani provocati da terremoti e alluvioni, mentre la copertura andrebbe estesa, subito, ai danni provocati dal cambiamento climatico. Le temperature folli, come i rovesci, le inondazioni, le terribili grandinate non rappresentano più eventi straordinari ma la normalità di un clima che abbiamo fatto impazzire e ormai da anni rappresentano la normalità delle nostre estati. Ma il governo Meloni non conosce la parola prevenzione, ogni estate cade dalle nuvole e si sveglia a babbo morto. Sono la normalità come gli incendi, sia quelli per autocombustione che quelli provocati per mano dell’uomo a fini speculativi. Muoiono o finiscono al pronto soccorso degli ospedali intasati soprattutto i lavoratori stranieri, come Brahim, marocchino edile morto mentre lavorava all’aperto sotto il sole dell’entroterra bolognese, ma anche gli italiani ci lasciano la pelle, nelle campagne di Andria, o in una buca a Tezze sul Brenta. Almeno di due al giorno si ha notizia, altri lavoratori fantasma scompaiono e basta. Sono assassinii che si aggiungono ai tre al giorno dei giorni “normali”, e ancora una volta quest’anno il numero supera quello dell’anno precedente. Ben più di 1.000 per l’Inail, 1.500 se si considerano anche le vittime in realtà lavorative irregolari. Come ricorda Marco Revelli sulla Stampa, la cosiddetta “legge Griseri” per fermare il lavoro dei rider in condizioni climatiche estreme, giace dimenticata in Parlamento. Paolo Griseri è stato un bravo giornalista, oltre che un carissimo amico e compagno di lavoro, che si è battuto contro le forme estreme di sfruttamento. |