"La mia colpa ? Non ho vinto nulla!": questa frase di Carlo Ancelotti, malamente ed ingiustamente cacciato dalla Juventus, nonostante due anni più che positivi sul piano dei risultati e del rendimento generale, mi porta a fare qualche riflessione sulla teoria del "conta vincere e basta", una corrente di pensiero che è tra quelle dominanti nella società odierna. Spesso e volentieri non si tengono in considerazione i meriti, la dignità e le qualità di chi non vince; inoltre, pure il "come si è vinto", non è un concetto secondario in tempi in cui, ogni tanto, si dimenticano e si ignorano certi principi che dovrebbero valere per chiunque pratichi un’attività e per chiunque la segua per interesse, per passione o per professione. È risaputo che importa vincere sportivamente, in modo "pulito", ossia senza il ricorso a sostanze dopanti, rispettando le regole, dimostrandosi superiori all’avversario e disdegnando ogni tipo di accordo tendente a falsare e a modificare l’esito di una competizione. Questa la teoria; la pratica, poi, ci dice e ribadisce — e lo abbiamo visto anche al recente Giro d’Italia — che i fautori del "conta vincere, non importa come" percorrono quelle strade che poco o nulla hanno a che vedere con il "vincere sportivamente e con fair-play". A proposito del modo in cui si vince, nel calcio non sempre vince il migliore. Il discorso può valere indistintamente per ogni disciplina nella quale il fattore "dea bendata" è strettamente connesso. Nella storia, anche in quella sportiva, la sorte, talvolta, si è rivelata decisiva e determinante per i vincitori. La fortuna da cercare lealmente unita alle leggi da rispettare ed ad un approccio alla competizione corretto e privo di inganni costituiscono, in ogni caso, le basi di partenza da prendere in considerazione per affacciarsi al mondo agonistico con la giusta mentalità, seguendo quelli che sono i criteri e i parametri generali del fair-play. Poi nello sport vi sono i soldi che, oggi più che mai, contano parecchio. Ed allora è stimolante la proposta di Fabio Fazio, l’oramai ex brillante conduttore di "Quelli che il calcio", che sul settimanale "Rigore" proponeva la norma delle pari opportunità: "Trovo che sarebbe straordinario inserire, e al primo posto, una nuova regola nel mondo del calcio: tutte le squadre, come in tutti i giochi che si rispettano, devono partire dalle medesime condizioni. Hanno cioè un identico budget da spendere per comprare i giocatori all’inizio di ogni campionato e solo mano a mano che vincono possono usufruire di ulteriori risorse da investire in nuovi acquisti. Come a Monopoli. Non si è mai giocato a scala quaranta, a briscola o a poker distribuendo ai giocatori un numero di carte differente. Si parte sempre, ovviamente, alla pari. Se un pericolo c’è, è quello che il nostro calcio, tanto e sempre più ricco, ci stia rendendo tutti più poveri, prendendo le distanze dalla categoria dei "ludici" per inserirsi a pieno titolo in quella del "business"(...)". Se fosse così, il prossimo anno il campionato italiano lo potrebbe vincere anche il Chievo..: e che ci sarebbe di strano?

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22.06.01

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