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Il brutto Paese
di
Loris Campetti
Che Paese è quello in cui a trecento mila ragazzi, uomini e donne che chiedono la cancellazione del debito estero delle nazioni più povere, e ancora, fondi per la lotta contro l’Aids e giustizia sociale ed economica in tutto il pianeta si risponde con le armi da fuoco, si uccide un ragazzo, se ne mandano a centinaia all’ospedale, se ne arrestano altrettanti? Che Paese è quello in cui le caserme della polizia, e le carceri e persino gli ospedali vengono usati per picchiare e ferire giovani inermi, costretti a cantare inni fascisti? I cui poliziotti hanno come suoneria del cellulare «faccetta nera»? In cui, finita la battaglia, vengono assaltati una scuola dormitorio e un centro stampa e dei 90 ragazzi presenti più di 60 finiscono in barella in ospedale, non per essere curati ma ancora pestati? È l’Italia, bellezza. È l’Italia di Berlusconi, Fini e Bossi che non teme l’opposizione impotente anzi inesistente del Parlamento ma non tollera l’opposizione sociale, siano operai metalmeccanici o studenti, centri sociali o parrocchie cattoliche, ambientalisti o missionari in Africa.
Il silenzio dell’Ulivo
È l’Italia dove l’Ulivo sconfitto alle urne per codardia ed emulazione del nemico rinuncia persino a chiedere le dimissioni del ministro dell’Interno; e non si interroga sul ruolo da regista avuto a Genova dal post-fascista Fini; e difende il capo della polizia De Gennaro perché è un «suo uomo», nel senso che se a fare a pezzi pacifici manifestanti lasciando scorrazzare e devastare qualche centinaio di black bloc ampiamente infiltrati dalle «forze dell’ordine» è un poliziotto caro alla sinistra, i manganelli americani tonfa fanno meno male. Non è stata una bella immagine, quella data da Berlusconi al mondo intero: praticamente tutti i paesi dell’Unione europea, ma anche la Svizzera e persino gli Stati Uniti hanno protestato per vie diplomatiche contro il comportamento delle forze dell’ordine e del Governo italiani in occasione del G8 di Genova. Troppe proteste e ingiustificate, dicono i ministri e i generali, troppe immagini «decontestualizzate», dunque perché non mettere sotto accusa i giornali, televisioni e giornalisti?
La tv del padrone perde il guinzaglio
Per fortuna in Italia non è ancora stata abolita per decreto la divisione dei poteri, cosicché la magistratura sta facendo il suo dovere. Almeno ci prova. Il ministro di grazia e giustizia, il leghista Castelli, ha mandato a dire ai giudici di Genova che dovrebbero smetterla di accusare e indagare le forze dell’ordine, se la prendano piuttosto con i manifestanti, incriminino i capi del Genoa social forum; gli Agnoletto e i Casarini, nonché le 800 associazioni che aderiscono alle mobilitazioni antiliberiste, dalla Fiom ad Attac. È cominciato male il nuovo corso del governo fascista, leghista e liberista di Berlusconi. Ma non avrà vita facile: una parte consistente e importante, per quanto ancora minoritaria della società civile è «scesa in campo», come direbbe il cavaliere di Arcore. In testa i giovani, per la prima volta in queste proporzioni da un paio di decenni, con parole d’ordine semplici, aggreganti dunque forti. Il nuovo movimento è persino riuscito ad aprirsi un varco nel mondo asfittico della sinistra istituzionale conquistandosi l’adesione convinta dei metalmeccanici della Fiom e di una parte significativa della Ggil. Persino nel Ds, partito evaporato il giorno dopo la sconfitta elettorale, e di cui pochi in tutta sincerità sentono la mancanza, è ripartito uno straccio di confronto politico e di autocritica, tant’è che la parte meno compromessa nelle pratiche consociative e guerrafondaie di d’Alema ha presentato una sua mozione congressuale e un candidato perbene come Giovanni Berlinguer.
La passione delle idee
Nella speranza che non sia troppo tardi per far riscoprire a un corpo politico agonizzante la passione delle idee, che non siano quelle dei liberisti. Ora, il movimento che è sceso in piazza a Genova con amici e terminali in tutto il mondo deve rafforzarsi, cercare una sua strada anche oltre gli appuntamenti altrui, G8, Nato, Wto, Fmi, Banca mondiale e quant’altro, evitando di farsi rinchiudere nella spirale lotta-repressione-lotta. È una ricerca, questa, che sta andando avanti con serietà e passione, purtroppo con pochissime sponde politiche. Ma non saranno soltanto gli antiglobalizzatori a essere messi alla prova nell’autunno che si avvicina e si preannuncia caldo come mai, forse dal lontano ’69. L’elenco degli interventi promessi anche solo minacciati dal Governo fa paura, dovrebbe far paura a tutta la società italiana, nonché ai paesi europei. La ministra dell’istruzione Moratti vuole sbaraccare la scuola pubblica per favorire quella cattolica e padronale, come se l’Ulivo non avesse già fatto abbastanza. Il ministro Buttiglione vuole buttare alle ortiche la legge sull’aborto, arrivando a spaventare persino le donne di Forza Italia. Con il sostegno dei poteri forti, trasferitisi in massa nella villa di Arcore, l’intero Governo promette di cancellare l’articolo 18 della Costituzione, quello che prevede la giusta causa per i licenziamenti: basta pagare quattro soldi all’operaio o all’impiegata che ci sta sulle scatole, dicono in coro il governatore della Banca d’Italia Fazio e il padrone del vapore Agnelli con l’assenso ossequioso dell’esecutivo, ma al lavoro i licenziati non devono più rimettere piede.
Flessibilità e sinistra indulgente
Tutto questo non farebbe tanta paura, se dal fronte dell’Ulivo e dei Ds non arrivassero consensi e comprensioni, perché in tanti si sono convinti che per aumentare l’occupazione bisogna dare ai padroni il diritto di licenziare come e quando vogliono, salvo pagare una buonauscita un po’ più ragguardevole. Flessibilità e modernità sono le parole d’ordine della maggioranza diessina che si schiera dietro la candidatura di Pietro Fassino (cioè di Massimo D’Alema). Per ultima, segnaliamo l’uscita che ha dell’incredibile di un altro ministro berlusconiano: «con la mafia bisogna convivere». Non bastano i poteri economici forti tradizionali, adesso torna di moda anche Totò Rijna. Postscriptum: l’immigrazione. Un nuovo giro di vite per introdurre il reato di immigrazione clandestina e l’espulsione al termine dei contratti di lavoro. Settembre sarà un mese importante per capire non solo e non tanto il futuro del governo Berlusconi, quanto quello dell’Italia democratica che dalla fine della seconda guerra mondiale è stata capace di costruire un sistema di valori e relazioni che andassero oltre il danaro e i conti in banca. A settembre riaprono le scuole e partirà la mobilitazione di studenti, precari e insegnanti contro lo smantellamento della scuola pubblica. Altre proteste si annunciano nel settore sanitario. E, soprattutto, ricominceranno gli scioperi dei metalmeccanici per un contratto vero, contro quello farsa firmato separatamente dai padroni, dalla Fiom e dalla Uilm. Come risponderanno il governo e le sue forze dell’ordine, come a Genova? A fine mese, a Napoli, o più probabilmente nel bunker di Pozzuoli, si riunirà la Nato, e il movimento contro la globalizzazione dell’economia e della guerra non resterà a guardare. Infine, a novembre è prevista una grande manifestazione internazionale a Roma, in occasione dell’assemblea della Fao, sempre che i sondaggi non convincano Berlusconi ad annullarla, contro la volontà della Fao, degli altri paesi, del movimento che tra i suoi tanti nemici non annovera certo la Fao o l’Onu. Ne vedremo delle belle, ma il sogno di Berlusconi e camerati di decretare la fine del diritto a manifestare, quello resterà un sogno di una notte di mezza estate.
Pubblicato il
31.08.01
Edizione cartacea
Anno IV numero 25
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