Una telefonata inattesa, una lettera improvvisa o un colloquio non programmato con il proprio datore di lavoro o capo del personale possono, di punto in bianco, mutare la situazione esistenziale e professionale di una persona. È uno scenario che si ripete con sempre maggiore frequenza ed è persino una storia vera, da quanto mi ha comunicato un conoscente mentre stavo scrivendo queste righe. Lo spettro della perdita dell'impiego si muove come un'invisibile spada di Damocle sopra la testa di chiunque, persino della nostra società nel suo insieme.
Allo stato attuale dei rapporti contrattuali nelle aziende, sia private che pubbliche, nessuno è ormai più preservato da un simile pericolo; neppure i quadri dirigenziali. Il licenziamento può cambiare la vita da un momento all'altro, con tutte le conseguenze del caso per individui, nuclei familiari e collettività. Lo confermano le indagini sociologiche: la precarizzazione del mercato del lavoro, nota come fenomeno economico e sociologico da ormai parecchi anni, ha inevitabili ripercussioni negative sullo stato d'animo delle persone. La sensazione di non avere più punti solidi d'appoggio e l'impressione di essere ormai inutili all'interno di un sistema, che macina gli esseri umani come materiale di scarto, sono fonti di tensione e sorgenti di forme diverse di aggressività e violenza.
Come meravigliarsi che le maglie della rete sociale esplodano, anche a motivo del progressivo retrocedere dell'Ente pubblico (fatto di cui anche la sinistra è responsabile)? Perché sorprendersi che i limiti etici diventino vieppiù labili ed i tabù invalicabili cadono come birilli? E quali prospettive si offrono, in particolare alle generazioni più giovani, da un mercato lavorativo saturo e sotto costante pressione per cause incomprensibili? Se è venuto meno il contratto sociale che storicamente ha retto per decenni le sorti della Confederazione e del Cantone, non è forse il caso di ripensarlo, aprendo così nuovi orizzonti specialmente a chi si affaccia appena al balcone del primo impiego?
Mi viene sovente in mente il volto in lacrime di un padre di tre figli, disoccupato ma con una gran voglia di lavorare, non ancora beneficiario delle indennità legali d'assistenza, senza un soldo in tasca e con il frigorifero quasi vuoto. La sua unica ancora di salvezza è stata la corda della campana del Convento, almeno per dare qualcosa da mangiare alla famiglia. È un esempio tra tanti, emblematico però di una tendenza in atto che, da quanto mi è dato di costatare, si sta accentuando in maniera preoccupante.
E dovrebbe dare a riflettere a tutti quanti, non solo ai nostri rappresentanti politici… Poiché dovrebbe essere la speranza di condizioni esistenziali migliori per ognuno a motivare il nostro impegno personale e collettivo, sul piano culturale e spirituale; ma si sa che uno stomaco vuoto non aiuta a pensare; e neppure una vita senza futuro è un incitamento a superare con fiducia i tempi di passaggio (o di crisi, se preferite) come sono gli attuali.

Pubblicato il 

23.06.06

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