Sindacato

Il Sindacato entra i corsia «per toccare con mano i problemi»

Enrico Borelli di Unia racconta la sua esperienza, un po’ fuori dal comune, di stagista presso una casa anziani: arricchito professionalmente e umanamente

Indagare la realtà di una casa per anziani entrandovi fisicamente per un paio di giorni, vestendo i panni delle persone che vi lavorano, operando (per quello che è possibile) al loro fianco e, soprattutto, osservando e ascoltando operatori e degenti. È l’esperienza vissuta da Enrico Borelli, sindacalista membro della direzione nazionale del settore terziario di Unia e co-responsabile del dossier “cure”, che il mese scorso ha svolto uno stage presso il Centro Sociale Onsernonese (CSO), istituto per anziani della Valle Onsernone, valle fluviale considerata tra le più selvagge e autentiche del Cantone Ticino. Obiettivo: identificare le complessità e le criticità del lavoro dei curanti, indica il programma di stage.

 

È certamente un’esperienza fuori dal comune per un sindacalista. Così come fuori dal comune è il CSO, una struttura dislocata su due sedi nelle frazioni di Russo e di Loco (a 20 rispettivamente 30 minuti di auto da Locarno), che per tutta una serie di peculiarità è qualcosa di più di una tradizionale casa per anziani. Soprattutto per la sua integrazione nel tessuto sociale della valle, per la filosofia su cui si regge e per l’estrema attenzione riservata alla qualità delle cure. Una realtà dunque interessante da indagare per un sindacalista come Enrico Borelli, impegnato nel progetto di costruzione sindacale di Unia nel settore delle cure e nelle case per anziani in particolare. Ce lo conferma l’interessato in questa intervista.

 

Enrico Borelli, come nasce l’idea di svolgere uno stage in una casa per anziani e perché la scelta è caduta sul CSO?
Nella mia attività di sindacalista ho sempre attribuito un ruolo centrale alla presenza sui luoghi di lavoro: per conoscerne le dinamiche e toccare con mano i problemi cui sono confrontate le lavoratrici e i lavoratori. In questo caso ho avvertito ancora di più questa esigenza, in quanto sono solo due anni e mezzo che mi occupo di cure. E tutto quello che ho imparato sin qui l’ho imparato soprattutto negli istituti di cura, nelle assemblee e nei confronti col personale. Il primo contatto con il CSO è avvenuto attraverso alcune curanti attive nel gruppo promotore delle Walk of care in Ticino (le “passeggiate collettive” per sensibilizzare la popolazione sulle problematiche che investono il settore delle cure e sulle rivendicazioni del personale, ndr) da cui ho percepito che il CSO rappresenta un unicum nel panorama delle case anziani in Svizzera e dunque una realtà interessante da indagare. Ho quindi preso contatto con la direzione, che ha accolto la mia richiesta di stage e ha organizzato in modo estremamente professionale la mia permanenza a Russo e a Loco. Un’esperienza breve ma molto intensa, arricchente ed emozionante, che mi ha permesso di vivere al fronte la complessità della gestione di una casa anziani e soprattutto del lavoro che svolgono i curanti, un lavoro eccezionale che richiede impegno e coinvolgimento totale. Tengo pertanto a ringraziare pubblicamente il direttore Michele Beretta e tutto il personale che mi ha istruito e accompagnato.


Quali compiti ha assunto durante queste due giornate di stage?
Sono stato essenzialmente un osservatore, ho potuto essere al fianco del personale nei diversi momenti della giornata, dalla preparazione alla somministrazione dei medicamenti e dei pasti, ai passaggi di consegne al cambio dei turni, alle relazioni terapeutiche e ai contatti con i pazienti, che mi hanno accolto con un affetto commovente e come se fossi un normale operatore della struttura. Ho vissuto momenti che confermano quanto siano importanti, per prestare cure di qualità, l’ascolto, il dialogo, il confronto continuo e la valorizzazione del residente. Aspetti che rappresentano la filosofia su cui si regge il CSO, dove ogni curante cerca sempre di offrire il massimo di autodeterminazione al residente e di porre al centro il rispetto della sua dignità e la qualità delle cure che gli vengono offerte. Per questo si punta molto sulla formazione continua e specialistica, sulla partecipazione, sulla motivazione e sulla grande professionalità del personale. Ho davvero potuto constatare come il contatto umano, l’affetto, la relazione continua e la valorizzazione del paziente siano elementi indispensabili per garantire buone cure. Il problema di fondo è che nel contesto attuale il tempo necessario purtroppo in genere manca. Inoltre questi sono aspetti che a torto non vengono presi in considerazione dagli indicatori che oggi si utilizzano per misurare l’entità del lavoro del personale.


Quali sono le particolarità del CSO che l’hanno particolarmente colpita?
Sono davvero tanti gli aspetti che mi hanno positivamente colpito. Ho innanzitutto percepito che al CSO i residenti si sentono a casa loro e vengono valorizzati (qualcuno anche svolgendo mansioni al bar o in cucina), il che ha ricadute positive sulla loro qualità di vita. Mi è capitato per esempio di assistere a scene di gioia per l’arrivo presso la residenza di Loco del cane, che è “ospite” fisso per un giorno alla settimana. Una delle tante iniziative originali e da cui i residenti del CSO traggono indubbi benefici, come i gatti che saranno introdotti nella casa di Russo o i soggiorni al mare in estate. E poi c’è un aspetto particolarmente toccante: il personale si è battuto e ha ottenuto l’accordo delle imprese di pompe funebri per poter effettuare la vestizione dell’ospite defunto, che loro considerano come un ultimo atto di cura, cui tengono molto. Inoltre, alcune settimane dopo il decesso di un ospite si organizza una cerimonia funebre con i parenti, con gli altri residenti e il personale in cui si ricorda la figura della persona scomparsa: un momento di congedo collettivo, che ben fa capire come al CSO il residente venga valorizzato.


Il CSO è insomma una casa anziani piuttosto speciale, ma è inserita in una realtà piccola, di valle, periferica. Ritiene che si tratti di un modello esportabile anche in un contesto urbano per esempio?
Il contesto certamente aiuta a far funzionare una struttura che vuole essere aperta, sviluppare un rapporto di osmosi con il territorio e promuovere lo scambio tra giovani e vecchi (fino a quando era presente la scuola in valle i bambini frequentavano per esempio regolarmente il centro di Russo), ma ritengo che determinante sia l’approccio. Tant’è che una parte degli ospiti viene da fuori la Valle Onsernone perché attratta da questo modello. È chiaro che un approccio di questo tipo necessita di una grande sensibilità e della condivisione di determinati valori: per il personale è molto impegnativo. In ogni caso, il fatto che al CSO si operi in questo modo dimostra che, anche in un contesto difficile come quello attuale, si può fare. La sfida è di coniugare la qualità delle cure con le restrizioni finanziarie dettate da un sistema che oggi penalizza la qualità delle cure. L’esperienza è dunque esportabile se si concepiscono le cure come una missione al servizio della collettività e se si impara a considerare il diritto dell’anziano a una vista dignitosa come un diritto inalienabile. Cosa che oggi, per le dinamiche che reggono il funzionamento delle case anziani, spesso non avviene.


La situazione delle case anziani in Svizzera è tanto distante da quella osservata al CSO?
Devo premettere che al CSO ho trascorso soltanto due giorni e quindi la mia è una visione parziale. Quello che ho potuto notare è che il personale viene valorizzato e coinvolto in tutta una serie di questioni (operative e strategiche), a partire da quella della pianificazione dei turni. E da quello che mi è stato raccontato, non si assiste ad un continuo ricambio di personale. Quella che tocchiamo con mano in tutte le regioni della Svizzera è una situazione diversa: condizioni di lavoro al limite del sopportabile e perenne carenza di personale, spesso costretto a lasciare la professione dopo pochi anni, esperienza e competenze non valorizzate, gestione verticistica, approccio economicistico e mancanza di competenze sociali nei gruppi dirigenti. E questi problemi, che mettono pesantemente in discussione la qualità delle cure, sono trasversali e sempre gli stessi, sia che si tratti di case di cura sia che si tratti di servizi di cure a domicilio.


In che misura pensa di poter sfruttare questa esperienza di stage nell’ambito dell’attività sindacale?
Lo stage è stato un’ottima occasione per conoscere e per capire che quando si segue una certa filosofia si può fare, remando un po’ controcorrente, un ottimo lavoro. Dunque un contributo importante al lavoro d’inchiesta che Unia sta svolgendo in collaborazione con la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana e con cui si chiede al personale impiegato al fronte quali siano i passi da intraprendere per poter veramente garantire la qualità delle cure in Svizzera. Un’inchiesta che sfocerà in un Manifesto sulla qualità delle cure, con cui spero il movimento sindacale potrà contribuire a indirizzare in maniera diversa l’organizzazione delle cure. Cioè mettendo al centro la qualità di vita dei residenti e condizioni di lavoro dignitose che permettano di garantire buone cure. È chiaro che per farlo si dovrà modificare il sistema di finanziamento delle case anziani e sarà necessario che tutto il settore della sanità miri alla qualità di vita e al benessere delle persone e non al profitto.


Pensa che la sua sia un’esperienza esportabile anche in altri settori del sindacato? Sarebbe utile per un segretario sindacale che si occupa di edilizia fare degli stage sui cantieri o per una sindacalista che si occupa di vendita lavorare in un supermercato?
Mi sento certamente di consigliare questa esperienza, perché ne sono uscito arricchito sia dal profilo professionale sia dal profilo umano. Un’esperienza del resto facilitata anche dal fatto che nel contesto ticinese il sindacato è più radicato nella società che altrove ed è un attore riconosciuto, proprio grazie alla sua tradizionale presenza sui luoghi di lavoro.

 

Le impressioni dei direttore e della caporeparto: «Un confronto utile anche a noi»; «Un’opportunità per il personale»

«Noi siamo da sempre aperti ad accogliere qualcuno interessato a conoscere la nostra realtà lavorativa, di cui tutti sentono parlare ma pochi conoscono a fondo, in particolare per quanto riguarda lo sforzo psicofisico necessario che deve mettere in campo un operatore di casa anziani, costantemente confrontato con persone fragili e con bisogni potenzialmente infiniti». Sono le parole del direttore del CSO Michele Beretta, cui abbiamo chiesto una valutazione dell’esperienza svolta da Enrico Borelli. «L’apertura − spiega Beretta − aiuta a generare una presa di coscienza da parte di chi vive l’esperienza, ma serve anche a noi perché ci consente di confrontarci con delle persone che ci possono aiutare a riflettere su alcune pratiche, a metterci in discussione e dunque a migliorarci. Tra l’altro tutti i collaboratori del reparto cure hanno seguito una formazione specifica per occuparsi degli stagisti, indipendentemente che si tratti di studenti, di militi, di potenziali futuri operatori sanitari, di professori universitari o di sindacalisti come in questo caso. Ho sempre considerato i sindacalisti degli attori del sistema in cui operiamo e dunque figure da integrare nel nostro modo di praticare le cure. Del resto sarebbe illusorio pensare di poter affrontare i problemi e la loro complessità in modo unilaterale e da soli. La complessità cui siamo confrontati ci obbliga a cooperare con tutti gli attori del sistema, il che è fondamentale per evitare l’insorgere di situazioni critiche. L’arrivo di un sindacalista in reparto è stata dunque anche per noi un’esperienza estremamente interessante e arricchente», conclude il direttore Beretta.


«Posso assolutamente affermare che l’ho percepita come un’opportunità», gli fa eco Elena Pinaglia, caporeparto della sede di Loco che ha accompagnato Borelli durante una giornata di stage. «La sua presenza ci ha dato la possibilità di presentare la nostra filosofia delle cure e di mostrare come la concretizziamo ogni giorno a beneficio dei nostri residenti. Ma anche di far toccare con mano ad un sindacalista che si occupa di cure quali siano le difficoltà vissute dall’équipe curante (e anche dai quadri direttivi) nella gestione dei nostri residenti in condizioni sempre più complesse e con scarse risorse». «D’altro canto − aggiunge la nostra interlocutrice − noi abbiamo potuto capire il valore del lavoro sindacale che si sta facendo. Nella consapevolezza che se riusciamo a migliorare le condizioni lavorative del personale sanitario, possiamo garantire le cure di qualità che merita ogni residente di casa anziani».

Pubblicato il

03.05.2023 13:56
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