Il Pss sui binari del domani

di Silvano De Pietro

Nonostante non sia un momento facile per la sinistra, il Pss non rinuncia a perseguire con determinazione i suoi obiettivi ed a dare battaglia sino in fondo. C'è una campagna elettorale federale che si apre tra due votazioni popolari: la prima, quella sulla cassa malati unica, svoltasi l'11 marzo e risoltasi con una sconfitta; la seconda, il referendum del 17 giugno contro la quinta revisione dell'Ai, che potrebbe produrre un'altra delusione. E c'è una sessione parlamentare appena conclusa che ha mostrato ancora una volta quanto necessaria sia una maggiore pressione popolare per correggere la direzione di marcia della politica svizzera. Questo non vuol assolutamente dire che le questioni per le quali la sinistra lotta e gli strumenti politici messi in opera per affrontarle siano sbagliati. Alla recente assemblea dei delegati tenuta a Locarno, il presidente del Pss, Hans-Jürg Fehr, ha fermamente sostenuto che il partito non deve rassegnarsi, ma deve continuare a credere in sé stesso. Ci sono almeno due buone ragioni che giustificano questa presa di posizione. Una è che comunque, al di là dei possibili inciampi della politica contingente, ci sono problemi politicamente centrali sui quali è importante discutere, dibattere, informare nel modo più completo possibile i cittadini, come soltanto con campagne per referendum o iniziative si può fare. E questo, anche se la tesi sostenuta dalla sinistra viene respinta: è una questione di democrazia sostanziale. L'altra motivazione è stata indicata dallo stesso Fehr, ed è rappresentata dalla progettualità politica di cui è capace il Pss rispetto al futuro. In altre parole, è certamente pagante impegnarsi su quelle tematiche di fondo che per il loro valore suscitano entusiasmo: l'età flessibile del pensionamento, la politica d'integrazione, la parità dei sessi, la giustizia fiscale, la svolta energetica. Quest'ultimi due argomenti sono i temi oggetto, all'assemblea dei delegati, di altrettante decisioni che confermano proprio la prospettiva tracciata dal presidente Fehr.


Per imposizioni eque

Il 23 marzo scorso la maggioranza borghese del Parlamento ha deciso ancora una volta di accordare privilegi fiscali ad una piccola minoranza di contribuenti agiati. Vengono in tal modo favoriti coloro che investono il loro denaro in azioni, rispetto a coloro che invece se lo guadagnano con il lavoro. Si tratta della seconda riforma dell'imposizione delle imprese, in base alla quale in futuro il reddito da dividendi, per tutti coloro che possiedono almeno il 10 per cento di un'impresa, sarà tassato soltanto nella misura del 60 per cento. È un regalo fiscale del 40 per cento fatto all'1,5 per cento dei contribuenti (60 mila su 4 milioni). Con questa riforma si finisce per incoraggiare gli azionisti-imprenditori ad aumentare i loro redditi ricavati dai dividendi, piuttosto che pagare a sè stessi stipendi o salari che sono sottoposti alla contribuzione Avs.
Risulta qui evidente l'intenzione di indebolire le assicurazioni sociali; ed il Pss si è battuto in Parlamento contro questa riforma voluta dai partiti borghesi. L'imposizione parziale dei dividendi appare: ingiusta, incostituzionale e dannosa. È ingiusta, perché privilegia i redditi da capitale rispetto ai redditi da lavoro. È contraria alla costituzione federale, perché viola il principio di uguaglianza di trattamento. Ed è dannosa, perché farà mancare annualmente all'Avs diverse centinaia di milioni di franchi ed alle casse pubbliche (federali, cantonali e comunali) circa un miliardo di franchi.
Finora sono tredici i cantoni che hanno introdotto l'imposizione parziale dei dividendi, associandola spesso ad altre modifiche della loro fiscalità. Questi privilegi fiscali cantonali arrivano a ridurre l'imposta sui redditi da dividendi sino al 20 per cento della tariffa. Segno di una concorrenza fiscale ormai fuori controllo, alla quale tuttavia la maggioranza parlamentare non ha voluto porre un freno. E se la tassazione parziale viene estesa anche a livello federale, questo non farà altro che incoraggiare ulteriormente i pagamenti in dividendi. Con un danno per la socialità, che Consiglio federale e Parlamento minimizzano.
Da qui la decisione del Pss di reagire. In definitiva, la riforma del trattamento fiscale delle imprese non appare diversamente da un ennesimo tentativo dei partiti borghesi di curare e privilegiare la loro piccola clientela benestante.
Già con la legge sull'imposizione dei collaboratori, che prevedeva sconti fiscali del 50 per cento sulle remunerazioni versate sotto forma di azioni e di opzioni, si volevano privilegiare i top-manager con i loro alti salari. Solo la paura di affrontare in pubblico, nel corso di un anno elettorale, la questione impopolare degli alti salari, ha indotto i partiti borghesi a congelare tale legge poco prima della sua approvazione nella primavera del 2006. La decisione popolare di un paio di anni fa, che bocciò il famoso pacchetto fiscale contenente regali fiscali per 4 miliardi di franchi, fa sperare bene nella riuscita del referendum, deciso dall'assemblea di Locarno dei delegati del Pss, contro la seconda riforma dell'imposizione delle imprese. Referendum sostenuto anche dall'Unione sindacale svizzera.


Per un futuro "verde"

«Con la legge sull'approvvigionamento elettrico e con la tassa sul CO2 la politica energetica e climatica della Svizzera fa un passo avanti». A dirlo è stata la presidente del gruppo parlamentare socialista alle Camere federali, Ursula Wyss. Ma se la legge sull'approvvigionamento, ha aggiunto Wyss, rappresenta una soluzione equilibrata, questo è avvenuto «grazie alla pressione esercitata dalla minaccia di referendum».
Si tratta di una soluzione «favorevole sia per i consumatori che per l'ambiente e l'approvvigionamento: referendum prima di una seconda tappa d'apertura, gestore della rete sotto controllo pubblico, 320 milioni di franchi per la promozione dell'efficienza energetica e delle energie rinnovabili».
Questo risultato, insieme all'introduzione della tassa sul CO2 (che «restituisce alla Svizzera una parte della sua credibilità»), costituiscono i punti fermi di una schiarita, di un nuovo orientamento che sembra defilarsi nella politica energetica e climatica svizzera. A questo risultato ha certamente contribuito il dibattito sulla politica climatica, anche se in apparenza inconcludente, tenuto al Consiglio nazionale nell'ultima settimana della sessione parlamentare di primavera. Non va però trascurato lo stimolo rappresentato dalla mozione socialista, approvata dal Nazionale, che chiede un piano d'azione per il periodo del dopo-Kyoto (dal 2012), come pure la decisione del Pss di lanciare insieme ad altre organizzazioni un'iniziativa per la protezione del clima.
Perché un'iniziativa sul clima? Entrata in vigore il 1° maggio 2000, la legge sul CO2 fissa degli obbiettivi vincolanti per ridurre, entro il 2010, le emissioni di CO2 del 10 per cento rispetto ai valori del 1990. La riduzione deve essere raggiunta in primo luogo mediante provvedimenti in materia di politica energetica, dei trasporti e dell'ambiente, nonché con iniziative volontarie delle imprese e dei privati. Ma occorre far presto. L'Unione europea ha deciso di abbassare i livelli delle emissioni di gas responsabili dell'effetto serra di almeno un quinto entro il 2020. Da noi il Pss e gli ecologisti hanno invece optato per una riduzione ancora più marcata di questi gas nocivi, nella convinzione che diminuire le emissioni di gas a effetto serra è sempre più urgente.
Da qui il lancio di un'iniziativa popolare che ne chiede la riduzione di almeno il 30 per cento rispetto ai livelli del 1990. In tal modo, la Svizzera sostiene gli sforzi dell'Ue, la quale vorrebbe a sua volta coinvolgere gli Stati Uniti e l'Australia in un accordo internazionale post-Kyoto. Altro scopo dell'iniziativa è il rafforzamento dell'efficienza nello sfruttamento delle risorse e nel ricorso alle energie rinnovabili. Tale ricerca di una migliore efficienza energetica è necessaria per raggiungere l'obiettivo di riduzione prefissato. In tal senso, esiste un grosso potenziale d'economie nel settore dell'edilizia, dove vanno elevati gli standard obbligatori al fine di ridurre i consumi energetici. Occorre infine sostenere le energie rinnovabili, che dovrebbero potersi vendere ad un prezzo costante.

Pubblicato il

30.03.2007 01:00
Silvano De Pietro